Diritti delle donne: che parità 25 anni dopo Pechino?
Dal 9 al 20 marzo si terrà a New York la 64esima sessione della Commissione sulla condizione femminile (Csw) delle Nazioni Unite; dal 7 all’8 maggio a Città del Messico e dal 7 al 10 luglio a Parigi il Generation Equality Forum. Unico scopo: fissare l’agenda per la realizzazione dei pieni diritti delle donne di qualsiasi età nel decennio 2020-2030. Orizzonte: la IV Conferenza mondiale sulle donne di Pechino 25 anni dopo.
Sotto i riflettori la Dichiarazione e la Piattaforma d’azione che nel 1995 nella capitale cinese furono adottate da 189 Paesi. La marea rosa che riempì il Centro sportivo nazionale di Pechino – e che vide una battagliera Hillary Clinton attaccare il governo cinese sui diritti umani – dette uno scossone alle politiche nazionali.
Quadro a tinte fosche
Ma che ne è stato dei 12 obiettivi strategici che identificavano aree precise dove intervenire per raggiungere la parità di genere: povertà, istruzione, salute, violenza, conflitti armati, economia, potere e processi decisionali, progresso, diritti fondamentali, media, ambiante, bambine? Nei giorni scorsi l’Ufficio per la Commissione Anglicana alle Nazioni Unite (Acoun) ha inviato alla Csw, in vista dell’incontro di marzo, un documento con sette raccomandazioni che sollecitano gli Stati membri ad attuare quanto ancora incompiuto della Piattaforma di Pechino. Il rapporto delle Nazioni Unite Progress of the world’s women 2019-2020: families in a changing world e il Global Gender Gap Report 2020, pubblicato dal World Economic Forum, non sono confortanti in questo senso.
Nessun Paese, infatti, ha pienamente soddisfatto gli intenti di Pechino: lo ha detto chiaramente Phumzile Mlambo-Ngcuka, direttrice esecutiva di UN Women, l’organismo dell’Onu che il 2 luglio compirà 10 anni. L’Italia è al 76esimo posto, ma anche le prime in classifica (Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia) si attestano tra l’82 e l’88% del soddisfacimento degli obiettivi. È stato calcolato come soltanto tra 99,5 anni uomini e donne godranno dello stesso trattamento economico e delle stesse opportunità. Esaminando i diritti delle donne nelle varie legislazioni esistenti, l’Onu ha rilevato che in un Paese su cinque donne e uomini non hanno gli stessi diritti sull’eredità e che in 19 Paesi le donne sono obbligate per legge a ubbidire ai mariti.
Il ruolo delle chiese
Di fronte a una fotografia con ancora troppe ombre, le Nazioni Unite hanno già lanciato la nuova campagna Planet 50-50 by 2030: Step it up for gender equality. Il calendario degli appuntamenti internazionali è fitto e coinvolge la società civile, le organizzazioni non governative, i movimenti femminili. Si preannuncia nient’affatto defilato anche l’articolato mondo delle chiese. Gli anglicani chiedono, nel messaggio inoltrato al Csw, che sia riconosciuto il ruolo positivo della fede e delle comunità di fede in campo sociale nella promozione dei diritti e del benessere dell’umanità, senza alcuna distinzione. Nel 1995 a Pechino la presenza della Santa Sede fu massiccia. La professoressa Mary Ann Glendon presiedeva una delegazione composta da due ecclesiastici, 13 donne e 7 uomini. Tra le principali preoccupazioni del Vaticano c’erano i temi del matrimonio, della famiglia, della salute sessuale, della riproduzione. Il dibattito fu accesso attorno a un diverso modo di intendere la dignità femminile e la sua emancipazione da paradigmi per gli uni di ordine naturale, come la famiglia eterosessuale, per gli altri di origine storica.
A distanza di un quarto di secolo è prevedibile un confronto ancora più vivace; basta leggere i sei punti all’ordine del giorno delle azioni della Generation Equality: violenza, giustizia, autonomia corporea, diritti sessuali e riproduttivi, giustizia climatica, tecnologia e innovazione a servizio dell’eguaglianza di genere, leadership femminile. Molte cose sono cambiate dal 1995, in primis il contesto geo-politico mondiale. Al soglio pontificio non c’è Karol Wojtyla bensì Jorge Mario Bergoglio e all’interno della stessa Chiesa cattolico-romano il fermento su questi temi è in crescita. Papa Francesco non manca mai di rimarcare l’importanza di valorizzare le donne nella chiesa, ha istituito una commissione apposita, ma mentre auspica donne teologhe più numerose, per quanto riguarda la gerarchia ecclesiastica al massimo si ipotizza di ordinarle diaconesse, non pastore come invece accade in buona parte, non tutta e non senza difficoltà, della realtà protestante.
Il recente Sinodo sull’Amazzonia con 128 sì e 48 no, ha aperto al sacerdozio di uomini sposati in analogia con quanto accade nelle chiese cattoliche di rito orientale dove chi è già marito può diventare prete, non viceversa. Sarebbe miope ridurlo a un semplice modo di contrastare la crisi di vocazioni. La parità di genere porta con sé eguaglianza, umanizzazione. I preti sposati in Italia guidano parrocchie in oltre una trentina di città. Sono comunità di circa 70mila fedeli, per lo più di origine ucraina e romena. Le immigrazioni stanno cambiando anche il volto delle chiese. Delle donne e degli uomini.