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Insicurezza e autoritarismo

Camerun: al voto con il miraggio di un rinnovamento

5 Feb 2020 - Lo Spiegone - Lo Spiegone

Domenica 9 febbraio il Camerun andrà alle urne per scegliere i membri dell’Assemblea Nazionale e i rappresentanti locali. Queste elezioni arrivano tardi, dopo che il presidente Paul Biya, al potere dal 1982, ha deciso di posticiparle due volte, senza dare troppe spiegazioni e aggrappandosi ai problemi di sicurezza del Paese.

Secondo l’articolo 15 della Costituzione camerunense, il presidente può, in caso di “seria crisi” o “quando le circostanze lo legittimano”, consultati il Consiglio costituzionale e le camere, richiedere all’Assemblea Nazionale di estendere o accorciare il proprio mandato. La disposizione non pone limiti temporali al mandato dei deputati dell’Assemblea, ma esiste una legge ordinaria che non permette che tale pratica possa essere ripetuta più di due volte consecutive.

Paul Biya ha sfruttato tutte le opportunità previste dalla Costituzione, avendo richiesto di rimandare le elezioni sia nel luglio 2018 sia nel luglio 2019 – fissando la data di scadenza del mandato dei componenti dell’Assemblea al 29 febbraio di quest’anno – ma, senza violare la legge, ha fissato le lezioni per domenica prossima.

Un contesto insicuro 
Come anticipato, i problemi di sicurezza del Paese sono stati usati per spiegare il rinvio delle elezioni: il Camerun è infatti da decenni teatro di uno scontro, continuato e a tratti violento, tra il governo centrale francofono e le regioni occidentali anglofone.

Il bilinguismo camerunese ha radici coloniali. Il controllo dei territori dell’attuale Camerun fu affidato a Francia e Regno Unito dalla Società delle Nazioni alla fine della Prima guerra mondiale, a seguito della sconfitta della Germania, vecchia dominatrice della zona ottenuta al Congresso di Berlino del 1884.

La natura giuridica dei territori occidentali dal Camerun è cambiata più volte dall’indipendenza del Paese, avvenuta nel 1960. La prima Costituzione prevedeva un sistema federale che, però, si scontrava con un decreto presidenziale che divideva il Paese in sei regioni amministrative, una delle quali era proprio il Camerun occidentale. Il federalismo fu ufficialmente abolito nel 1972 e una decina di anni dopo la regione occidentale fu divisa in due province, North West e South West, diminuendone ulteriormente l’influenza politica. Oggi il Camerun è uno “Stato unitario decentralizzato”, come illustra il primo comma dell’articolo1 della Costituzione, mentre il secondo ne ricorda l’indivisibilità.

A partire dal 2016 le proteste della minoranza anglofona si sono intensificate, per poi esplodere l’anno successivo. Attraverso manifestazioni e scioperi, gli abitanti delle regioni occidentali chiedevano il rilascio dei detenuti politici, le dimissioni del presidente Paul Biya e il passaggio a un sistema federale, minacciando la secessione nel caso in cui le loro richieste non fossero state accettate. Il 1° ottobre 2017, infatti, i manifestanti hanno dichiarato l’indipendenza simbolica dell’Ambazonia.

Le spinte secessioniste della minoranza anglofona e le incursioni di Boko Haram nella regione settentrionale, al confine con la Nigeria, hanno reso negli ultimi anni il Camerun un Paese fortemente instabile.

Il sistema politico
Come la Francia, il Camerun è una repubblica semi-presidenziale, con un sistema multipartitico de iure, ma de facto dominata dal Rassemblement Démocratique du Peuple Camerounais (Rdcp) guidato dall’intramontabile Paul Biya, che dal 1982 ha le redini del potere esecutivo, controlla le istituzioni del potere giudiziario ed è a capo delle Forze armate.

Il presidente viene eletto ogni 7 anni a suffragio universale con il metodo del first-past-the-post: ciò significa che a prescindere dalla percentuale di preferenze ottenute, il candidato con più voti ottiene la carica.

L’apparato legislativo è rappresentato da un Parlamento bicamerale costituito dal Senato e dall’Assemblea Nazionale. Il Senato è composto da 100 senatori di cui 70 eletti dai consigli locali e 30 nominati dal presidente. Questo sistema permette a ogni regione di avere alla Camera alta 10 rappresentanti – 7 eletti 3 tre nominati, come previsto dalla Costituzione. L’Assemblea nazionale è composta da 180 deputati eletti a suffragio universale con il sistema del first-past-the-post, di cui 34 scelti in distretti uninominali e 146 in distretti plurinominali. Il mandato di entrambe le camere dura 5 anni.

Dalle ultime elezioni, avvenute nel 2018, siedono in Senato 63 rappresentanti del partito di governo, il Rassemblement Démocratique du Peuple Camerounais, mentre il maggior partito di opposizione, il Front Sociale Démocrate, è riuscito a far eleggere soltanto 18 senatori. Anche nell’Assemblea uscente, eletta nel 2013, il Front Sociale Démocrate ha 18 rappresentanti, mentre sono 148 i deputati del partito del presidente.

Il Paese è composto da dieci regioni, suddivise in dipartimenti a loro volta strutturati in sottodivisioni, per un totale di 360 consigli di governo locale. Secondo la Costituzione, i consigli regionali e locali hanno autonomia finanziaria e amministrativa. La maggior parte di questi sono a oggi controllati dal Rdpc, da solo o con altri gruppi politici che sono riusciti ad avere successo in aree geograficamente limitate.

Un regime elettorale autoritario
La longevità del ruolo di presidente di Paul Biya – permessa dalla revisione costituzionale del 2008 che ha eliminato il limite di due mandati per il capo di Stato – e il ruolo dominante del suo partito in Parlamento e nei consigli dei governi locali, fanno sì che si possa parlare di “regime elettorale autoritario”, un sistema nel quale le elezioni di ogni grado, presidenziali, legislative e locali, si tengono con scadenze regolari, ma non permettono alla minoranza di vincere.

Ciò avviene perché, sin dall’avvento del sistema multipartitico negli anni Novanta, il Rdpc ha spinto per la creazione di piccoli partiti, nella maggior parte dei casi a lui direttamente o indirettamente collegati, che non permettano all’opposizione di raggiungere risultati abbastanza consistenti da mettere in discussione il potere quasi illimitato del partito di governo. Una denuncia ribadita anche in occasione delle nuove consultazioni dal leader del Mouvement pour la renaissance du Cameroun, Maurice Kamto, arrivato secondo alle presidenziali del 2018: la sua forza di opposizione ha annunciato che boicotterà il voto per protestare contro un sistema elettorale fatto su misura per garantire chi è al potere.

La situazione politica camerunese non è dissimile da quella di molti altri Stati del continente africano. La Guinea Conakry, per esempio, un altro Paese che rinnoverà il suo apparato legislativo quest’anno, o il Ruanda, da ormai più di 25 anni sotto il controllo del Rwanda Patriotic Front di Paul Kagame. E la lista potrebbe essere più lunga: in Africa, spesso, una costituzione democratica e un sistema multipartitico non bastano a permettere il ricambio politico nelle istituzioni rappresentative.

A cura di Eleonora Copparoni, caporedattrice Africa de Lo Spiegone.

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