Trump – Cina: primo round
Più ci avviciniamo alla scadenza elettorale del 3 novembre, più il presidente statunitense Donald Trump cerca di affermare un’immagine positiva della sua presidenza, su tutti i fronti politici, militari o economici. Per cui anche operazioni ambigue o mezzi successi vengono presentati come svolte storiche, che cambieranno in meglio le sorti degli Stati Uniti. Abbiamo visto queste narrative più o meno fantasiose annunciate al mondo dalla Casa Bianca o, più spesso, rese trionfalmente note direttamente dai tweet del presidente Trump. Questo è stato il caso dell’aumento delle spese per la difesa degli alleati europei e della ‘vittoria’ sull’Iran e ora è il caso dell’accordo commerciale con la Cina.
Anche in questo caso un esame più ravvicinato dei fatti invita a moderare i termini. Certamente Usa e Cina hanno raggiunto un primo accordo sulla guerra dei dazi, e questo è positivo, ma si tratta solo di un primo passo, largamente incompleto, che si limita a rimandare a una seconda fase i problemi più sostanziali. In pratica, i cinesi si impegnano ad acquistare, entro il 2021, circa 200 miliardi di dollari di beni e servizi americani e ottengono in cambio la sospensione dei dazi su 160 miliardi di esportazioni e la riduzione a metà (dal 15% al 7,5%) dei dazi su altri 120 miliardi. Inoltre la Cina si impegna genericamente a favorire una maggiore apertura alle imprese e servizi finanziari americani e a non compiere svalutazioni competitive. L’accordo non è privo di ambiguità. Ad esempio da parte cinese si precisa che la quantità delle loro importazioni dipenderà anche dall’andamento della domanda nel loro mercato interno.
Rimangono di fatto fuori dell’accordo, non solo i dazi del 25% che Trump ha imposto su altri 250 miliardi di beni, ma anche questioni cruciali quali la protezione della proprietà intellettuale (i brevetti) e gli aiuti di stato alle imprese cinesi, nonché le questioni scottanti, di grande importanza strategica, sullo sviluppo dell tecnologie cyber. E naturalmente rimangono fuori anche altre questioni di grande importanza politica, come ad esempio la difesa dei diritti umani.
Alcuni osservatori ritengono che l’accordo sia stato pensato dall’Amministrazione americana in chiave elettorale, sottolineando ad esempio come esso preveda acquisti di prodotti agricoli per circa 40 miliardi: una notizia che dovrebbe aiutare Trump a consolidare la sua posizione tra l’elettorato di alcuni Stati del Midwest. Ma quali che siano i calcoli di breve termine, rimane il fatto che il grosso dei problemi è rimandato a un secondo round, per il quale non è stata ancora annunciata alcuna data.
In realtà, ad essere onesti, bisogna riconoscere che era molto difficile ottenere di più subito. Le problematiche da affrontare sono complesse e le posizioni dei due Paesi rimangono molto distanti. Con questo accordo Trump non risolve il problema cinese, ma attenua alcune delle conseguenze negative che egli stesso aveva provocato iniziando la guerra dei dazi. In tal modo egli spera di dare più fiato alla crescita economica, nell’anno elettorale. Poi si vedrà.
Rimane soprattutto irrisolta la questione centrale di quale sarà la strategia americana nei confronti della crescita della potenza cinese. I documenti di indirizzo strategico di questa Amministrazione hanno chiaramente individuato la Cina come il potenziale avversario numero uno degli Stati Uniti, ma, a parte la guerra commerciale (che riguarda un po’ tutti, alleati o meno degli Usa), non sembra delinearsi una politica conseguente di dissuasione e contenimento. In particolare è del tutto carente una chiara ed esplicita politica di alleanze con gli altri Paesi direttamente interessati a questo stesso problema. Al contrario sono sempre più tesi i rapporti con la Corea del Sud e con il Giappone, mentre sembrano scarseggiare le iniziative nei confronti dell’India. Persino in Medio Oriente la politica americana lascia ampi spazi all’iniziativa diplomatica cinese (oltre che a quella della Russia).
In questa situazione è giocoforza constatare che il bicchiere non è mezzo pieno, ma quasi vuoto.