Putin riformatta il sistema e licenzia Medvedev
Vladimir Putin ha iniziato l’anno con una riformattazione del suo sistema di potere e il licenziamento del collaudato governo di Dmitry Medvedev. Nel progetto del Cremlino – da approvare in un referendum, altra novità inedita – il presidente avrà più potere sul potere giudiziario e legislativo: è vero che la Duma potrà esprimere un premier e non soltanto ratificare la nomina presidenziale, ma in compenso il capo di Stato potrà bloccare attraverso la Corte costituzionale le leggi, invece di porre un veto che il Parlamento potrebbe superare. La riforma prevede anche la creazione di un organo costituzionale come il Consiglio di Stato, del quale faranno parte governatori, ministri e parlamentari, una sorta di governo allargato, dalle funzioni ancora da definire.
È evidente che questa mossa a sorpresa segna l’inizio di una transizione di potere da Putin a Putin, una scadenza attesa quanto temuta nel 2024, che il presidente ha deciso di anticipare, anche per spiazzare eventuali cordate alternative. Putin non si può più ricandidare, essendo al secondo mandato consecutivo (e quarto in totale), e l’opzione di spostarsi alla guida del Consiglio di Stato (non eleggibile) è già stata collaudata da un altro insostituibile presidente post-sovietico, il kazako Nursultan Nazarbaev. L’alternativa di formare un nuovo Stato con la Bielorussia (quindi con Costituzione e presidente non vincolati da precedenti) è stata a quanto pare accantonata, anche perché avrebbe significato concessioni a un partner astuto, popolare e ambizioso come Aleksandr Lukashenko, e Putin non è mai stato propenso ad avere soci.
L’obiettivo del Cremlino appare quello di mantenere lo status quo, in condizioni di crescente scontento delle élite e degli elettori. La proposta della norma costituzionale sulla prevalenza della legge russa rispetto al diritto internazionale, e le allusioni di alcuni media governativi come l’agenzia Ria-Novosti sulla necessità di una struttura compatta per reagire a “imprevisti internazionali come quello recente con l’Iran”mettono una pietra sopra le speranze di quei pochi che auspicavano un disgelo del regime. Tutto rimarrà come prima, e a quelle élite russe che chiedono un avvicendamento generazionale in una “verticale di potere”congelata da vent’anni il Cremlino propone un po’ più di spazio di manovra tra Duma e governatori, ma all’interno del sistema esistente.
Resta la domanda sull’escamotage che Putin userà per succedere a se stesso: un eventuale spostamento al supergoverno del Consiglio di Stato implica, infatti, l’elezione di un nuovo presidente, che sarà dotato di poteri enormi. La coabitazione con il pur leale Dmitry Medveder, presidente dal 2008 al 2012 con Putin premier, ha mostrato i limiti di un tandem in un sistema pensato come monolitico. La candidatura del nuovo premier Mikhail Mishustin appare l’identikit del funzionario perfetto secondo Putin: 53enne (quindi ha svolto quasi tutta la sua carriera sotto l’attuale presidente), ingegnere di famiglia militare, dirige da 10 anni il Fisco russo, per il quale ha introdotto un sistema elettronico che permette di vedere online tutti gli scontrini battuti in Russia. Efficienza, controllo, lealtà allo Stato e assenza di notorietà pubblica: tutto quello che Putin può volere da un “delfino”. Resta da capire se resterà un premier tecnico, funzionale a dare un’impressione di svecchiamento e a reprimere eventuali ambizioni presidenziali di Medvedev, o se gli verrà costruita intorno un’operazione di “successione”, sul modello di quella che Boris Eltsin nel 1999 aveva costruito per lo stesso Putin.
Il vero problema di fattibilità però nasce proprio dall’anzianità ventennale del potere putiniano. Il presidente aveva già riformattato altre volte l’assetto costituzionale, sempre in funzione di una maggiore centralizzazione e minor spazio alle variabili della democrazia. Il progetto lanciato il 15 gennaio ha tutte le specifiche del suo modus operandi:segretezza totale, annuncio improvviso in un discorso trasmesso perfino sulle facciate di alcuni palazzi di Mosca, apparizione immediata di una nutrita commissione di sportivi, artisti e operai che discuterà la riforma costituzionale. Un procedimento collaudato, che però non tiene conto dei cambiamenti nella società russa.
Le generazioni sovietiche – delle quali Putin incarna lo shock post-traumatico – stanno cedendo il posto ai loro figli, ai quali il putinismo appare semplicemente obsoleto, e che non tollerano il fatto che gli ascensori sociali siano stati messi fuori uso. Putin si sta comportando come se un suo pensionamento non fosse nemmeno in discussione: non ha mai menzionato la scadenza del 2024, né la prospettiva di un altro presidente. Mosse possibili quando aveva un indice di gradimento dell’86%. Oggi, le TV federali tolgono sui loro siti l’opzione di commentare i discorsi del presidente, perché altrimenti i pollici versi superano stabilmente di tre-quattro volte i “like”. È comprensibile che in questa situazione Putin voglia mettere in sicurezza il suo potere, ma non è chiaro se ha le risorse per farlo.