Necessario un dibattito pubblico nel Paese
Alla fine del 2019 il Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, aveva annunciato l’imminente approvazione della delibera annuale riguardante le operazioni militari internazionali, confermando la presenza di truppe italiane nei principali teatri operativi. A gennaio, di fronte alle Commissioni Difesa di Senato e Camera, il Ministro ha ribadito tale impegno, evidenziando al contempo come la recente evoluzione dello scenario internazionale – dalla Libia all’Iraq – abbia influenzato il processo di ‘costruzione’ del decreto missioni.
In attesa che si svolga finalmente la discussione in Parlamento, alla luce del processo di trasformazione della politica di difesa italiana negli ultimi decenni, ed in seguito ai cambiamenti avvenuti nel contesto internazionale e in quello nazionale negli ultimi mesi, possiamo delineare alcuni pattern ricorrenti nella modalità con la quale i partiti italiani hanno affrontato il tema delle operazioni internazionali. Questa riflessione consente di collocare il prossimo dibattito sulle missioni militari all’interno di un quadro di analisi più ampio e strutturato, evidenziando fattori di continuità, possibili elementi novità e pressanti necessità che caratterizzano la politica di difesa italiana.
I pattern ricorrenti nella politica di difesa
Attraverso la (limitata) letteratura in materia possiamo mettere in luce almeno quattro fattori costanti che hanno segnato la discussione parlamentare delle missioni nell’epoca post-bipolare. Il primo è il supporto sostanzialmente bipartisan rispetto alla scelta di inviare contingenti militari all’estero. Per esempio, anche la politica del governo ‘giallo-verde’, nonostante la retorica del ‘cambiamento’ e le precedenti prese di posizione in materia, è stata caratterizzata da una forte continuità sulle missioni. I vincoli di appartenenza ad organizzazioni regionali e internazionali, il ruolo delle alleanze nonché il peso di attori istituzionali interni rilevanti, sono tutti aspetti centrali nel promuovere una forte continuità negli impegni militari.
Il secondo pattern è invece rappresentato dalla perdurante e superficiale retorica delle ‘missioni di pace‘, narrazione condivisa dai principali partiti in quanto base essenziale del citato supporto bipartisan in relazione a scelte spesso non sostenute dall’opinione pubblica.
Il terzo elemento è il livello sorprendentemente basso di attenzione pubblica riservata al voto sulle missioni, al quale si è abbinato un coinvolgimento drammaticamente limitato del Parlamento rispetto alle decisioni dell’Esecutivo, sia nella fase di invio dei contingenti sia in quelle successive. Più in generale, il controllo del Legislativo in relazione ai temi della difesa, così come il dibattito pubblico sul tema, è ancora (per motivi storici, politici e culturali) decisamente scarso.
Infine, l’ultimo aspetto costante nella discussione parlamentare sulle missioni, è la ‘strumentalità’ del voto, al di là delle caratteristiche delle singole operazioni. L’appartenenza al governo o all’opposizione frequentemente si rivela infatti il driver principale dietro la scelta di deputati e senatori, soprattutto per alcune formazioni partitiche (per esempio la Lega), le quali hanno attribuito da sempre poco o nessuna salienza alla difesa.
Le ultime auspicate novità
A fronte di questi pattern ricorrenti, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da alcune novità. Sebbene non si possa parlare ancora di discontinuità tali da mettere in discussione le scelte della politica di difesa italiana, siamo sicuramente di fronte a cambiamenti interessanti. Il primo, e più importante, è dato dalla rinnovata centralità strategica del cosiddetto ‘Mediterraneo Allargato‘ .
In seguito alla crisi finanziaria, ai fallimenti delle complesse operazioni in Iraq (2003-2006) e Afghanistan, alle conseguenze dell’intervento libico del 2011 e all’evoluzione dello scenario regionale (caratterizzato da ‘nuove’ minacce transnazionali), gli attori politici italiani – dal Libro Bianco (2015) in poi – hanno attribuito maggiore attenzione ad aree come il Sahel (si veda la missione in Niger), evidenziando (finora più a parole che nei fatti) la necessità di avviare un ‘riposizionamento’ strategico in aree vitali per l’interesse nazionale (concetto spesso rimosso dalla discussione ed ora timidamente riapparso nel dibattito). Vedremo quindi se la prossima delibera porterà avanti – e in che modo – un percorso già avviato (anch’esso a livello bipartisan) e costituito da un lento ricollocamento delle forze verso aree come Nord Africa e Sahel.
La seconda novità è l’approvazione – attesa invano per lustri – di una legge organica sulle missioni (la 145, approvata nel 2016) che finalmente regola l’invio dei contingenti all’estero, consentendo ai parlamentari di discutere e votare ogni singola operazione (e non il semplice rifinanziamento complessivo). Purtroppo l’implementazione della legge è stata parziale, con voti e discussioni avvenuti in gravissimo ritardo. Un dibattito parlamentare gennaio o (al massimo) febbraio sarebbe quindi un passo avanti.
Le necessità più urgenti nella difesa
Tra pattern ricorrenti e novità, occorre infine ricordare alcune urgenti necessità che riguardano la difesa italiana e l’impegno militare nazionale all’estero. Si segnalano almeno quattro priorità. La prima è quella di una strutturata riflessione strategica che definisca in modo chiaro obiettivi e interessi, sulla base dei quali prendere (o meno) delle scelte in ambito militare, al fine di evitare decisioni imprudenti e controproducenti, un impiego inappropriato delle forze (su ‘Strade Sicure’ si dovrebbe aprire un capitolo a sé stante…), e una superficiale reiterazione di impegni presi.
La seconda priorità è alimentare un ampio dibattito pubblico sulle missioni e sulla difesa italiana, coinvolgendo soggetti portatori di idee e interessi anche divergenti, favorendo una diffusa cultura in materia ed evitando approcci ‘tecnici’ a questioni politiche.
La terza necessità impellente, come evidenziato anche dal recente bilancio della difesa, è risolvere il perenne (e sempre più grave) squilibrio che attanaglia il budget nazionale, caratterizzato dalla sproporzione di risorse destinate al personale. Questo fattore, assieme ad altri problemi significativi irrisolti, mina la sostenibilità stessa della difesa.
L’ultima priorità è data infine dalla paradossale assenza di una valutazione dell’impegno miliare italiano all’estero. Diversamente da altri Paesi in Italia non abbiamo avuto una rigorosa valutazione dei risultati di decenni di operazioni all’estero, nonostante gli alti costi (economici ed umani) sostenuti. Senza un’adeguata valutazione (con metodo scientifico) di quanto fatto in passato sarà complesso ‘riorientare’ la politica di difesa italiana e le sue missioni.
Questo articolo è il quinto di una serie dedicata a una riflessione sul ruolo dell’Italia nelle missioni militari internazionali, aperta da Vincenzo Camporini e Michele Nones.