L’Oman dopo Qaboos: la scommessa della continuità
La scomparsa del sultano dell’Oman, Qaboos bin Said Al Said, avvenuta il 10 gennaio a Muscat, priva il Medio oriente di uno dei protagonisti più longevi (regnava dal 1970) e stimati. Dopo aver pacificato e modernizzato il paese negli anni Settanta, Qaboos è divenuto un instancabile mediatore regionale. Infatti, il sultano era un raffinato campione della diplomazia informale: dentro ogni crisi e tensione (Stati Uniti contro Iran, Arabia Saudita contro Iran, Arabia Saudita-Emirati Arabi Uniti contro Qatar), si poteva scorgere il prezioso, poiché discreto, lavoro di dialogo e ricucitura dell’Oman.
Il nuovo sultano, il 65 enne cugino Haitham bin Tariq Al Said, ha esordito in piena continuità, promettendo, nel suo primo discorso pubblico, “coesistenza pacifica con le nazioni”, “non interferenza” e “cooperazione internazionale. Mentre il processo di transizione non ha fin qui riservato incognite, il percorso politico del ‘nuovo Oman’ sarà condizionato dall’intrecciarsi di difficoltà finanziarie e rivalità regionali.
Qaboos, ancora identificato con la nazione stessa, lascia un vuoto enorme. Ma il sultano, malato da anni, aveva preparato la transizione che, finora, si è rivelata rapida e consensuale, dunque ‘morbida’. Il Consiglio di famiglia si è riunito dopo l’ufficializzazione della morte di Qaboos e, dinnanzi al Consiglio di difesa, è stata aperta subito la lettera del defunto con il nome di chi avrebbe dovuto succedergli. Il prescelto è stato Haitham. Pertanto, il processo di transizione ha fin qui inviato un messaggio di stabilità e di continuità, in un Medio oriente ancora in tumulto dopo l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani.
Identikit di Haitham
Il nuovo sultano ha alcuni tratti in comune con Qaboos. Infatti, egli è anglofilo (ha studiato a Oxford), di carattere riservato ed è stato fra i tessitori della politica estera omanita. Già sottosegretario e poi segretario generale agli Affari esteri (1986-94; 1994-2002), è stato inviato speciale di Qaboos nonché, dal 2002, ministro della Cultura e del patrimonio. Haitham è inoltre alla guida di “Vision 2040”, il piano di trasformazione economica e sociale che l’Oman ha lanciato per superare progressivamente la dipendenza dalla rendita energetica, che costituisce ancora il 70% delle entrate statali. Dunque, egli arriva al trono da insider delle istituzioni omanite e figura di fiducia di Qaboos: ciò dovrebbe garantirgli il sostegno di tutte le anime religiose-territoriali dell’Oman (sunniti e minoranza sciita oltre alla maggioranza ibadita, élite mercantile costiera e tribù dell’entroterra).
A dispetto della continuità politica e geopolitica, il nuovo sultano non potrà certo eguagliare il carisma di Qaboos. Quindi, è assai probabile che la sua leadership si distinguerà per un approccio al potere più collegiale, ovvero meno personalistico e centralizzato (redistribuzione dei portafogli in vista?). Il ruolo dei due fratelli del neo-sovrano, Asad e Shihab, sarà fondamentale: per esempio, Haitham manca dell’expertise militare che costituiva l’imprinting di Qaboos. Il defunto leader aveva infatti contribuito a forgiare il moderno Oman anche grazie al ruolo delle Forze armate come strumento di socializzazione nazionale fra omaniti di etnie e identità diverse (compresi i baloci), eredità di quel Sultanato a trazione marittimo-commerciale che si estendeva da Gwadar (già enclave in Pakistan) a Zanzibar (oggi Tanzania).
Da una prospettiva militare, il coinvolgimento di Asad (fratello maggiore di Haitham), formatosi – come Qaboos – alla prestigiosa accademia militare britannica di Sandhurst e già comandante dell’esercito omanita, potrebbe risultare prezioso: egli è già vice primo ministro dal 2017, nonché rappresentante speciale del sultano. Il terzo fratello, Shihab, anch’egli già consigliere di Qaboos, è stato comandante della Royal Navy e ora si occupa di istruzione e ricerca. Sarà interessante osservare il posizionamento della nuova generazione di reali omaniti, dato che tutte le classi dirigenti del Golfo si stanno rinnovando anagraficamente: per esempio, Haitham ha quattro figli, fra cui due maschi tra i venticinque e i trent’anni.
Economia e disoccupazione
Come responsabile di “Vision 2040”, Haitham ha spronato i giovani omaniti a cercare o creare lavoro nel settore privato facendo leva, come il saudita Mohammed bin Salman e l’emiratino Mohammed bin Zayed, sulla mentalità imprenditoriale dei nationals. Certo, il settore pubblico è ormai saturo e la disoccupazione giovanile in Oman sfiora il 50%: proprio la mancanza di lavoro fu al centro delle inusuali proteste, sedate dalla polizia, che nel 2011 accesero le principali città costiere.
Diversificare l’economia significa oggi moltiplicare gli investimenti privati, le infrastrutture, i progetti industriali e il turismo: un trend comune all’area. Tuttavia, l’Oman si è sempre distinto per la gradualità delle scelte politiche: ma che fare quando le casse statali impongono decisioni nette?
Il nodo cinese
Le necessità finanziare possono complicare la tradizionale politica estera neutrale di Muscat. La Cina, primo importatore di petrolio omanita, è qui molto presente con investimenti e prestiti: Pechino potrebbe, nel medio-lungo periodo, cercare una base militare in Oman. In un Golfo ancora polarizzato, i donors Arabia ed Emirati potrebbero spingere il sultano a distanziarsi da Qatar e Iran, mentre Haitham avrebbe maggiori margini geopolitici in caso di de-escalation. E quale approccio in Yemen, dato che i sauditi sono ormai presenti, anche militarmente, nella regione di Mahra al confine con il Sultanato, un’area mai raggiunta dal conflitto con gli huthi (che proprio in Oman colloquiano informalmente con i sauditi)?
Il nuovo sultano parte con una forte aura di legittimità: è lui il prescelto da Qaboos. La scommessa più grande, che però dovrà affrontare da solo, è rinnovare l’Oman nella continuità.