Pace fragile a Mosca
Sono state ore frenetiche quelle vissute a Mosca lunedì scorso: l’attesa per la sigla della tregua in Libia tra il Governo di accordo nazionale e il generale della Cirenaica, Khalifa Haftar, ha portato al momento a un nulla di fatto. Il premier Fayez al-Sarraj ha detto ‘sì’ al cessate il fuoco elaborato sotto l’egida di Turchia e Russia, mentre Haftar ha deciso di prendersi un paio di giorni prima di sciogliere la riserva.
I colloqui con la diplomazia russa si sono svolti in stanze separate, come ha riferito Khaled al Mishri, presidente dell’Alto Consiglio di Stato di Tripoli, arrivato a Mosca con Aguila Saleh, presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk. La loro presenza è termometro del clima non proprio disteso che si respirava.
Nonostante l’indecisione (o il tentativo di ottenere di più dalle trattative), Haftar, secondo un tweet di al-Arabiya, che a sua volta cita ‘fonti arabe’, ha tuttavia deciso di accettare l’invito della Germania per la Conferenza di Berlino di domenica 19 gennaio, quando si troveranno al tavolo i principali attori della crisi libica e dunque le cancellerie di Italia, Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Russia, Cina, Emirati Arabi, Turchia, Repubblica del Congo, Egitto, Algeria, Nazioni Unite, Unione europea, Unione africana e Lega araba. Per Ankara resta il timore che la conferenza possa in parte perdere di valore per via della posizione intransigente manifestata da Haftar. E oggi, durante un incontro a Bengasi in vista della conferenza di domenica, il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas avrebbe ricevuto dal generale rassicurazioni circa il rispetto del cessate il fuoco deciso a Mosca.
L’accordo per la tregua in sette punti
Sono sette i punti presentati ai due leader libici per la definizione della pace, tra cui osservare in maniera incondizionata il cessate il fuoco, ritirare le truppe di entrambi gli schieramenti per prevedere una de-escalation delle ostilità e normalizzare la situazione in tutto il Paese, sospendere l’invio delle forze turche in Libia, prevedere la supervisione del cessate il fuoco da parte della missione delle Nazioni Unite Unsmil con una commissione militare 5+5. Sul tavolo, resterebbero però altri nodi da sciogliere: in particolare Haftar dovrebbe indietreggiare, concedendo la ridefinizione dei territori libici e delle sue competenze.
Il generale della Cirenaica ha tuttavia risposto con un secco ‘no’ a queste ultime condizioni, volendo invece mantenere le posizioni conquistate vicino a Tripoli, mostrando così le pressioni degli Emirati Arabi, volenterosi di mantenere una roccaforte in Tripolitania per le attività energetiche. Secondo quanto deciso dalla pace sotto l’egida turco-russa, ad Haftar sarebbero affidate le attività antiterrorismo, per volontà dell’Egitto che considera il generale l’uomo giusto per respingere le minacce nella regione, insieme alla sicurezza dei pozzi petroliferi, la cui gestione resterebbe però nelle mani di Tripoli.
Erdoğan e la ‘lezione’ per Haftar
Il presidente turco Recep Tayyp Erdoğan ha così minacciato di “infliggere una lezione” al generale Khalifa Haftar se dovesse riprendere i suoi attacchi, mentre per il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, “se Haftar continua così, la Conferenza di Berlino non avrà senso”. Nel frattempo, il premier del governo di Tripoli Fayez al-Sarraj si è recato a Istanbul, dopo l’incontro a Mosca per il cessate il fuoco.
Gli interessi turchi in Libia seguono di fondo alcune importanti direttive: ricostruire i rapporti in Medio Oriente, dopo il deterioramento delle relazioni con l’Arabia Saudita e i suoi alleati; contenere il blocco saudita, così come accaduto in Siria, dove inoltre l’allontanamento degli Stati Uniti crea un vuoto importante per Ankara; reagire al recente accordo, siglato il 2 gennaio, tra Grecia, Cipro e Israele per la costruzione del gasdotto EastMed.
L’attivismo turco
E a proposito di accordi energetici, lo scorso 8 gennaio Turchia e Russia si sono avvicinate ancora di più, dopo quanto accaduto sullo scenario siriano e in Libia, con l’inaugurazione del gasdotto Turkstream, costato 7 miliardi di euro e in grado di attraversare il Mar Nero con due linee della portata di 15,75 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno ciascuna.
Le due linee riforniranno il ‘Paese della Mezzaluna’ e i Paesi europei, in primis Bulgaria e Serbia. Un progetto che dimostra come il rapporto tra Mosca e Ankara si stia sviluppando in diverse aree e grazie al quale Erdogan coglie la possibilità di rendere la Turchia vero hub energetico del sud Europa. A farne le spese è questa volta l’Ucraina, bypassata per il gas diretto in Turchia e Bulgaria (ora sospeso) proprio a seguito del lancio del TurkStream.