Italia sempre più sola: una ricetta per tornare a contare
Il nuovo decennio si è aperto all’insegna di novità che, per quanto prevedibili nelle loro linee generali sulla base degli eventi precedenti, ci espongono a nuove sfide e ci confermano nella necessità di stabilire linee d’azione, anche in campo militare, per preservare gli interessi nazionali. Tra questi, il più importante consiste nel confermare l’Italia quale interlocutore obbligatorio nel Mediterraneo, centro di convergenza di interessi per lo più conflittuali di altri attori europei ed extraeuropei.
Ad ora, la situazione è caratterizzata da un inasprimento della crisi in Medio oriente, con riferimento al pericoloso braccio di ferro che si è innescato tra Usa e Iran dopo l’assassinio del generale Qassem Soleimani in Iraq, da un miglioramento della crisi siriana anche grazie a un disgelo russo-turco che ha portato i siriani a tornare a est dell’Eufrate e a spingere per la liberazione di Idlib, nonché da un parziale sblocco della situazione in Libia con la discesa in campo della Turchia a favore del premier di unità nazionale Fayez al-Serraj, che provoca una conseguente marginalizzazione del ruolo dell’Italia e dell’Unione europea nelle dinamiche per la risoluzione del conflitto.
Le mosse di Mosca, Londra e Washington
Il tutto, per confermare una prima crisi strutturale della Nato, con la Turchia che si è smarcata dal ‘gioco comune’ per avvicinarsi alla Russia con l’accordo in Siria, l’acquisto degli S-400 e l’inaugurazione del Turkstream, una seconda crisi di credibilità dell’Ue, costretta ad una difficile rincorsa per non restare all’angolo dopo l’iniziativa turco-russa in Libia, nonché a far fronte al venir meno dell’apporto politico-militare del Regno Unito post-Brexit e, infine, una terza crisi di legittimità dell’Onu stessa che di fatto avrà il ‘proprio uomo’ al-Serraj rinforzato palesemente dai jihadisti filo-turchi rischierati da Erdogan in Tripolitania.
Gli Stati Uniti, in questo contesto, dimostrano un’inedita ritrosia ad esercitare il loro tradizionale ruolo di leader della Nato e del mondo occidentale in generale, perseguendo prioritariamente i propri interessi nell’area nonché quelli di loro alleati che nulla hanno a che fare con l’Alleanza Atlantica, Arabia Saudita e Israele in primis.
Strategia di attesa
Ecco. Il succo della faccenda è che adesso siamo soli, o comunque molto più soli di quanto non fossimo abituati a considerarci in passato, quando avevamo elaborato un comodo costume nazionale, in politica estera, che consiste nello sposare acriticamente la ‘soluzione di cattedra‘ indicataci da l’una o l’altra delle bandierine azzurre dietro le quali ci inquadriamo disciplinati. Da qui, la difficoltà prima di tutto culturale di concepire i nostri interessi se non come derivata di interessi altrui.
Ma ora, il rimescolamento dei ruoli causato dalla contingenza attuale costringe a rivedere questa comoda impostazione, precisando cosa scegliere e cosa scartare di quanto ci viene proposto, proprio per non abdicare ad un ruolo nel Mediterraneo che prima che dagli alleati ci è stato imposto dalla geografia.
Per ora, all’Italia resta solo lo spazio per una strategia di attesa, che dovrebbe sfruttare per ridotarsi di capacità che le consentano di non fare la fine del vaso di coccio tra vasi di ferro. Dovrà risolversi ad essere forte, anche militarmente, confermandosi in grado di controllare la sua area di interesse a partire dal Mediterraneo centrale, ora abbandonato alla proattività turca e testimone delle iniziative di Ong del tutto distanti dai nostri interessi; soprattutto dovrà dare ossigeno al nostro Esercito, soffocato da decenni di sotto-finanziamenti e ridotto quantitativamente a livelli di forza inaccettabili per un Paese del nostro taglio, in ossequio ad una ‘ideologia’ delle operazioni di pace che non è più sufficiente per affrontare il futuro.
Ne dovrà ripristinare la componente pesante e le scorte, applicando una politica degli arruolamenti che torni a farlo crescere e non ne subordini le necessità a quelle delle Forze dell’ordine. Dovrà inoltre porre rimedio all’assenza di una riserva cospicua e credibile, venuta meno con la fine della leva ed essenziale per la sostenibilità di sforzi prolungati.
L’indispensabile autorevolezza dell’apparato militare
Tali strumenti, lungi dall’essere realtà fini a se stesse, dovranno consentire al nostro Paese di essere presente nelle aree di crisi che ci circondano con un’autorevolezza che solo un apparato militare credibile assicura, appoggiando ad essi una politica estera meno passiva di quella del recente passato.
Il tutto, a partire dalla Libia, quando e se ne presenterà l’occasione – ma anche nell’Africa sub-sahariana, dove crescono minacce che saremmo incoscienti a trascurare – senza avere nel mentoring a favore delle truppe locali il limite invalicabile imposto da un’assenza di ambizione politica che ci sta portando all’irrilevanza.
Non sarà un’Italia debole, infatti, ostinata solo nelle sue perorazioni per pace, democrazia e accoglienza che potrà farsi valere in un Mediterraneo non più solo a stelle e strisce, e dovrà fare i conti con l’esigenza di fare da sola, se necessario, per evitare che si ripetano errori come quelli in Libia che ci hanno condannati a questo presente terrorizzato dal futuro.
Questo articolo è il secondo di una serie dedicata a una riflessione sul ruolo dell’Italia nelle missioni militari internazionali, aperta da Vincenzo Camporini e Michele Nones.