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Previsioni impossibili sulle elezioni

Le mille incognite delle presidenziali Usa2020

16 Gen 2020 - Massimo Teodori - Massimo Teodori

Per la prima volta in tempi recenti sulle presidenziali Usa del 2020 pesano molteplici incognite che non permettono una chiara visione.

La prima riguarda la scelta del candidato democratico. Secondo i sondaggi nazionali, i candidati in prima linea oggi sono quattro: Joe Biden (27% nei sondaggi), Bernie Sanders (19%), Elizabeth Warren (16%) e Pete Buttigieg (5%). Tutti, però, soffrono di un qualche handicap: Biden per l’affaire ucraino; Sanders e Warren perché sono ‘radicali’, e quindi difficilmente in grado di conquistare l’elettorato di centro necessario per vincere; e il giovane Buttigieg, pur in fase ascendente, perché la sua aperta condizione di gay non è apprezzata dagli afro-americani, essenziali per i Democratici.

La seconda delle incognite è la candidatura di Michael Bloomberg che investe nella battaglia contro il presidente in carica Donald Trump 1 miliardo di dollari. Il tycoon newyorkese sarebbe in grado di raccogliere voti liberal fuori dal recinto democratico, ma incontrerà l’ostacolo delle primarie condizionate da quel vasto elettorato ‘populista di sinistra’ che nel 2016 votò Sanders alle primarie e negò il voto a Hillary Clinton.

La tenuta dell’elettorato trumpiano e il peso dei latinos
La terza incognita riguarda la misura in cui il presidente Trump riuscirà a mantenere quel 40% circa dell’elettorato per due terzi ‘bianco’ che nel 2016 lo portò alla Casa Bianca e che ha continuato a costituire il nucleo dei suoi sostenitori, non maggioritario tra gli americani, ma compatto e motivato.

La quarta delle incognite – forse la più importante per il risultato finale – è il peso crescente degli elettori non-bianchi, in particolare degli ispanici che rappresentano circa il 16% di tutta la popolazione americana, concentrati negli Stati del sud-ovest (California, Texas, Arizona, New Mexico, Colorado). L’interrogativo è se il mutamento etnico influirà sull’orientamento del secondo Stato per popolazione, il Texas (39 grandi elettori), tradizionalmente orientato in senso conservatore, ma che potrebbe passare ai democratici grazie al voto dei latinos.

Gli eventuali terzi incomodi
La quinta incognita – mai valutata a sufficienza – è la presenza di ‘terzi’ candidati che sono risultati sempre decisivi per l’elezione di un presidente politicamente a loro più lontano. La vittoria di Bill Clinton nel 1992 fu determinata dalla presenza a destra del candidato Reform Ross Perot; l’elezione a destra di George W. Bush nel 2000 fu decisa dai voti dispersi per il Green Ralph Nader, e la vittoria di Trump è stato dovuta al trasferimento dei voti democratici (ex Sanders) sui candidati green e libertarian nei tre Stati decisivi, Pennsylvania, Michigan e Wisconsin.

Il primo ciclo di caucus e primarie a febbraio – Iowa, New Hampshire, South Carolina e Nevada – che vedrà in gara Biden, Sanders, Warren e Buttigieg, in realtà è poco indicativo della sfida interna al partito democratico. Solo il ‘Supermartedì‘ del 3 marzo e con la discesa in campo di Bloomberg negli Stati più importanti – California, Texas, Massachusetts, North Carolina e Michigan, rappresentanti il 40% dei delegati alla Convenzione nazionale democratica – indicherà chi sarà l’avversario di Trump.

Come previsione finale, sulla base dell’esperienza storica, mi sento di affermare che se i democratici non sceglieranno un candidato radicale, avranno buone probabilità di battere il presidente uscente.