IAI
1-Il Piano di pace per il Medio oriente

Arcipelago Cisgiordania: indipendenza o protettorato?

30 Gen 2020 - Francesco Bascone - Francesco Bascone

Il ‘piano di pace del secolo‘ presentato a Washington il 28 gennaio alla presenza di un raggiante Netanyahu non ha nulla a che vedere con i seri tentativi di mediazione intrapresi da altri presidenti americani o segretari di Stato, da Carter a Clinton e da Rogers a Kerry. Il presidente statunitente Donald Trump aveva da tempo abbandonato la tradizionale pretesa degli Stati Uniti di essere un fedele alleato di Israele e allo stesso tempo fungere da ‘onesto sensale’ di bismarckiana memoria.

Aveva anzi dimostrato concretamente la sua volontà di accogliere richieste di Israele incompatibili con varie risoluzioni delle Nazioni Unite, creando ‘fatti compiuti’ che i suoi predecessori avevano sempre considerato inopportuni: riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, trasferimento dell’Ambasciata nella città contesa, sdoganamento degli insediamenti illegali in Cisgiordania.

In tal modo si sdebitava con il suo grande finanziatore Sheldon Adelson, re dei casinò di Las Vegas, e svuotava alcune delle potenziali contropartite a disposizione dei palestinesi in un ipotetico negoziato. Mettendo fine agli aiuti bilaterali ai palestinesi e al contributo americano all’Unrwa, li aveva ulteriormente indeboliti e messi con le spalle al muro.

Uno Stato palestinese, ma enclavizzato e spezzettato.
Trump aveva anche smontato il mantra della two-state solution, dicendosi in proposito agnostico, aprendo cioè anche all’ipotesi della annessione. Se ora torna alla formula dei due Stati, non si tratta di una apertura: lo fa in termini pienamente rispondenti agli obiettivi del governo a guida Likud. L’annessione dell’intera Cisgiordania (one-state solution) non è infatti nelle mire di Netanyahu perché sconvolgerebbe gli equilibri demografici di Israele, che già conta quasi due milioni di cittadini arabi all’interno dei propri confini riconosciuti, cui si aggiungono 300 mila abitanti arabi di Gerusalemme-Est, annessi ma senza status di cittadini.

La soluzione più conveniente per Israele è proprio quella di appropriarsi delle zone abitate prevalentemente da coloni ebrei e di altre poco popolate ma di interesse strategico (e turistico), lasciando fuori quelle più popolate da arabi. A questi viene in sostanza offerto di costituire uno Stato vassallo, smilitarizzato, totalmente enclavizzato (cioè circondato dal territorio sotto sovranità israeliana), privo di compattezza territoriale perché attraversato da alcuni corridoi e da un reticolo di strade che collegano gli insediamenti fra loro e con Israele propriamente detto.

Una condizione che ricorda da vicino quella del Transkei e del Bophutatswana, arcipelaghi di riserve etniche costretti dal Sudafrica ad una fittizia indipendenza nel 1976 e 1977 rispettivamente.

Con l’annessione non solo degli insediamenti e loro dintorni ma anche dell’intera valle del Giordano e della riva occidentale del Mar Morto, la Cisgiordania perderà – rispettivamente – importanti risorse agricole e idriche, e risorse turistiche; e sarà mutilata del 30% del suo territorio; in cambio le si offrono lontani frammenti di deserto nel Negev.

Conferma dell’annessione di Gerusalemme-Est
Un secondo aspetto inaccettabile per i palestinesi è la ratifica della annessione (già unilateralmente proclamata nel 1980) di Gerusalemme-Est, compresi la Città Vecchia con i Luoghi Santi e gli altri quartieri arabi al di qua del Muro. Dei vari nodi negoziali questo è sempre stato il più delicato; ma complicate formule di compromesso erano state studiate ai tempi di Clinton; Trump ha preferito ignorarle e tagliare il nodo gordiano, seguendo le indicazioni di Netanyahu. La libertà di visitare le due Moschee è ben modesta concessione.

Alla aspirazione palestinese di avere la propria capitale a Gerusalemme si viene incontro molto parzialmente, proponendo (come in vari piani precedenti) di insediarla nel lontano sobborgo di Abu Dis, al di là del Muro, liberi di chiamarlo Al Quds (‘la Santa’…): per i palestinesi una presa in giro.

Altre dure condizioni
Inoltre, questa soluzione calata dall’alto  è sottoposta a pesanti condizioni: che la parte palestinese riconosca Israele come ‘Stato ebraico‘ (cioè che ratifichi le discriminazioni presenti e future dei cittadini o sudditi arabi); che rinunci anche a limitati ritorni di rifugiati (previsti in piani precedenti); che revochi i sussidi alle famiglie di prigionieri e di ‘martiri’; che, oltre ad impedire attività terroristiche, ottenga il disarmo delle milizie a Gaza (si precostituisce così un pretesto per dichiarare inadempiente l’Autorità Palestinese).

Se si aggiunge che non potrà, senza il permesso di Israele, divenire membro di organizzazioni internazionali, né concludere accordi con altri Paesi in materia di sicurezza o intelligence,  che non avrà il diritto di presentare ricorsi contro Israele, gli Stati Uniti o loro cittadini, e che tutti i valichi di frontiera e lo spazio aereo rimarranno sotto il controllo di Israele, appare chiaro che non stiamo parlando di uno Stato indipendente ma al massimo di un protettorato.

Altre condizioni sono probabilmente contenute nelle 80 pagine del documento e altre ancora potranno essere dettate nel corso dei negoziati. Solo a conclusione di questa trattativa, cioè dopo quattro anni, i palestinesi otterrebbero il loro pseudo-Stato. E non prima di aver ottenuto dal governo israeliano un giudizio di idoneità riguardo alle istituzioni politiche ed economiche in base a standard occidentali, depurato i testi scolastici e creato forze di polizia efficienti. Mentre l’annessione degli insediamenti e della valle del Giordano può avvenire a giorni.

[Segue…]

La seconda parte dell’articolo sarà pubblicata su AffarInternazionali sabato 1 febbraio 2020.