La Cancelliera porta a casa un accordo sulla Libia
Missione compiuta per Angela Merkel. La Conferenza di Berlino sulla Libia si è chiuso ieri con la firma di un documento in 55 punti che ricalca la bozza già girata prima del vertice e strutturata su cinque capitoli: cessate il fuoco; embargo sulle armi; avvio di un processo politico; riforma delle istituzioni economiche e finanziarie del Paese; diritti dell’uomo e situazione umanitaria.
Altissimo il livello dei partecipanti e significativa la posta in gioco: da un lato, salvare la reputazione delle Nazioni Unite, con il governo di unità nazionale presieduto da Fayez al-Serraj sotto assedio da mesi e le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla Libia platealmente violate e disattese; dall’altro, evitare che il conflitto tra le due anime contrapposte della Libia deflagri in una guerra regionale rischiando di far esplodere i contrasti nel Mediterraneo orientale tra Turchia, Egitto, Grecia e Cipro.
Assenti, ritardatari, osservatori e attori esterni
Importanti anche le assenze ed i mancati o tardivi inviti, non privi di polemiche: dalla vicina Tunisia, all’Arabia Saudita, fino al Qatar. Ma soprattutto a Berlino c’era poco della Libia e quel poco non si è neanche incontrato: il generale Khalifa Haftar e al-Serraj, non gli unici ma i due principali attori libici del conflitto, sono stati invitati con lo strano ruolo di osservatori, non risultando di fatto tra i partecipanti effettivi alla conferenza. Non hanno discusso tra loro né lavorato al testo del documento, ma si sono incontrati separatamente con i rappresentanti del governo tedesco, prestando la massima attenzione a che le due delegazioni non si incrociassero o finissero nella stessa stanza. Nonostante ciò, questa diplomazia asimmetrica è riuscita ad ottenere un importante elemento piuttosto utile per la trasformazione della tregua in un cessate il fuoco: la nomina del Joint 5+5 Military Committee, un organo tecnico congiunto nominato dalle due parti in conflitto per monitorare la tregua.
Il vertice sulla Libia senza i libici non rappresenta un fallimento della Conferenza di Berlino; essa è piuttosto la conseguenza del fatto che il processo di Berlino, partito nell’agosto 2019 dopo il fallimento dei summit di Parigi (maggio 2018) e di Palermo (novembre 2018) e dopo l’avvio della campagna di Haftar per conquistare Tripoli (aprile 2019), si era posto un obiettivo più limitato e circoscritto: il coinvolgimento dei cosiddetti attori esterni, quelli che sostengono politicamente l’una o l’altra parte o che, addirittura, alimentano il conflitto attraverso l’invio di armi, uomini e mezzi.
Approccio regionale alla crisi
L’approccio tedesco alla crisi libica è stato dunque un approccio sostanzialmente regionale, volto a depotenziare il conflitto libico, restituendolo al livello di bassa intensità che lo ha caratterizzato negli anni precedenti ed impedendo che esso alterasse oltre un certo limite le relazioni tra le potenze nel Mediterraneo orientale.
Il grande risultato di questo vertice è stato, al di fuori del teatro libico, quello di allineare le posizioni di Germania, Russia e Turchia sulla possibilità di riduzione del conflitto libico, di cui i tre Paesi hanno ben chiaro il potere destabilizzatore dei delicati equilibri regionali. Berlino ha idealmente raccolto la staffetta dal summit di Mosca della scorsa settimana, cercando di favorire le condizioni affinché la tregua conseguita sotto l’egida di Russia e Turchia diventi un progressivo cessate il fuoco a cui allacciare un processo politico libico. Processo politico a cui la Germania non appare tanto interessata, quanto invece ai riflessi che esso ha negli equilibri nella regione del Mediterraneo orientale, balcanica e del Mar Nero.
Ambizioni tedesche e spazi di manovra per l’Ue
Per questo Berlino non cerca la soluzione al probabilmente insolvibile rebus libico, ma piuttosto una de-escalation sostenibile per far rispettare l’embargo delle Nazioni Unite, interrompere il sostegno dei Paesi terzi alle due parti in guerra e sganciare il conflitto libico dalle altre instabilità mediterranee e medio-orientali. In questo l’accordo raggiunto tra i principali finanziatori esterni, sponsor e broker del conflitto rappresenta un risultato che – ancorché reversibile – è un passo avanti significativo.
Una strategia d’intervento, quella di Berlino, che ben risponde alle ambizioni regionali e globali tedesche ma che appare lasciare pochissimi spazi di manovra all’Unione europea sia al livello politico che a quello militare. Certo, da una stabilizzazione della Libia l’Europa beneficerà nella ricostruzione del Paese e dalla riduzione di una importante minaccia per la sicurezza. Ma potrebbe essere al prezzo di un ulteriore indebolimento della dimensione della sua politica estera e di sicurezza. Venticinque anni dopo la sua nascita, sulle ceneri del conflitto jugoslavo, l’Unione europea della politica estera e della difesa è stata ieri a Berlino la grande assente.