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Leadership e ambiguità

Brexit: una mela avvelenata per il Labour

31 Gen 2020 - Eleonora Poli - Eleonora Poli

La Brexit non più è solo la storia di come il Regno Unito lascerà l’Unione europea, ma anche quella del tracollo politico del Partito laburista. Le elezioni generali del dicembre 2019 sono costate al partito la perdita dell’8% dei voti dal 2017 e di diverse circoscrizioni storicamente rosse, come Colne Valley, Dewsbury, Keighley e Newcastle-under-Lyme.

All’indomani dei risultati, dopo aver incassato una delle peggiori sconfitte elettorali dal 1935, il leader dei laburisti Jeremy Corbyn ha annunciato che non avrebbe più guidato il partito, dando inizio ad una corsa interna per nominare il suo successore. Al di là dei nomi in lista che si stanno contenendo il trono di Corbyn – e che vanno da Keir Starmer, attualmente in testa, a Rebecca Long-Bailey, Lisa Nandy, Jess Philips e Emily Thornberry -, è interessante capire perché i laburisti abbiano perso così tanta legittimità. In altre parole, quanto è stata centrale la Brexit nel determinare la loro sconfitta?

Il peso dell’incertezza sull’uscita dall’Ue
Fino alle dimissioni di Theresa May dalla guida del Paese nel luglio 2019, il Labour sembrava in effetti sulla cresta dell’onda e i sondaggi lo davano testa a testa con i Conservatori. Corbyn, un noto Brexiteer, aveva mantenuto un approccio abbastanza neutrale sulla questione, sostenendo che se proprio la Brexit andava fatta, bisognava comunque arrivare ad un accordo che garantisse sicurezza sociale ed economica alle classi meno abbienti.

Nonostante un numero elevato di parlamentari laburisti si mobilitasse di fatto a favore dei Remainer, l’orientamento tiepido di Corbyn aveva permesso al partito di non schierarsi mai pienamente a favore o contro la Brexit, diversamente invece da quanto fatto dalla maggioranza dei Conservatori che in versione hard o soft supportavano la fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Unione europea.

Nemmeno l’ascesa di Boris Johnson al potere e l’orientamento più aggressivo di quest’ultimo nel raggiungere un accordo con l’Unione europea aveva spinto Corbyn a modificare radicalmente il suo approccio. L’idea di rinegoziare nuovamente l’accordo con Bruxelles e chiedere un secondo referendum popolare era sicuramente democraticamente corretta, ma è stata politicamente suicida per il Labour. Questa strategia avrebbe probabilmente prolungato un’incertezza che era già durata tre anni, determinando una polarizzazione ancora più dura della società britannica in generale.

Dai risultati elettorali di dicembre si evince che è stata proprio l’incertezza a costare al Labour un gran numero di voti. Circa 800.000 elettori tradizionalmente laburisti ma pro-Brexit hanno votato per conservatori. Invece, più di 1 milioni di elettori ha abbandonato i laburisti per sostenere partiti più esplicitamente pro-Remain, principalmente i liberaldemocratici, che sono passati dal 7.4% del 2017 all’11.4% nel dicembre 2019.

La mancanza di leadership e la povertà
Allo stesso tempo, la Brexit non è stato l’unico motivo della sconfitta del Labour. Secondo un’analisi di Opinium, il 43% di quegli elettori che hanno abbandonato i laburisti per votare altri partiti sostiene di averlo fatto perché non apprezzava la leadership di Corbyn. Secondo questi dati, la posizione del Labour sulla Brexit e le politiche economiche proposte sono motivi secondari che si collocano rispettivamente al secondo (17%) e al terzo (12%) posto nella lista delle ragioni che hanno scatenato la defezione al partito.

Il dato sulle politiche economiche è molto interessante considerando che dal 2010, nel Regno Unito, il numero dei poveri è aumentato del 2%, raggiungendo un totale di 14,3 milioni di persone. Allo stesso tempo, nonostante la disoccupazione sia al 3,8% con un livello di occupazione al 76% (il tasso più alto dalla Seconda Guerra Mondiale), l’insicurezza del lavoro e i bassi salari reali hanno spinto molte persone a svolgere due o più lavori o a lavorare più ore per combattere il fenomeno della povertà lavorativa che negli ultimi 25 anni è aumentata del 5%, toccando il 18% dei lavoratori.

Per questo, l’agenda politica del Labour, basata sulla necessità di sostenere i molti e non i pochi, si era appunto concentrata su un’espansione della spesa pubblica di 135 miliardi di sterline, il più grande aumento dagli Anni Sessanta. Probabilmente queste erano idee giuste, ma affidate al leader sbagliato. Inoltre, la poca attenzione elettorale data alle riforme economiche prospettate dai laburisti è stata semplicemente data dal fatto che, secondo Opinium, il 33% degli elettori è andata a votare per o contro la Brexit, mentre solo il 23% ha votato a sostegno di particolari politiche sociali. In altre parole, nonostante il tentativo dei Laburisti di non concentrare le elezioni sulla Brexit, il voto si è concentrato una seconda volta molto sulla questione ‘Leave‘ o ‘Remain‘.

Il difficile futuro del partito
Toccherà ora al nuovo leader dei laburisti raccogliere i cocci del partito e fare i conti con una società altamente polarizzata, dove molti di coloro che tradizionalmente facevano parte dell’elettorato dei laburisti si sono rivolti altrove perché alienati da Corbyn o dalle posizioni ambigue sulla Brexit. Se il problema della leadership del partito si risolverà in fretta, rimane però ancora aperta la questione della Brexit.

È evidente che nonostante le parole rassicuranti di Boris Johnson, i negoziati con l’Unione europea sulle future relazioni economiche non cesseranno di tormentare la politica britannica almeno per un altro anno, così come le divisioni sociali create dalla Brexit. Ad oggi, secondo i sondaggi di Pool of Pools, il 50% dei cittadini britannici è ancora a favore di rimanere nell’Ue mentre il 45% vuole la Brexit.

Su questo terreno scivoloso i laburisti dovranno ricostruire la propria identità, decidendo finalmente se schierarsi in un campo o nell’altro, definendo un approccio nuovo alla Brexit, che esuli dalla terza via di Corbyn. In effetti, se c’è qualcosa da imparare dalle elezioni di dicembre è che di fronte a sfide politiche esistenziali come la Brexit, la mancanza di coerenza e lo stile ‘prendi tutto’ non pagano. Per riconquistare il sostegno degli elettori il Labour dovrà ora portare avanti una visione e un’identità politica precisa.