Turchia/Libia: truppe, Mediterraneo e ombre russe
L’audace e ambiziosa politica estera della Turchia del presidente Recep Tayyp Erdoğan, costruita negli ultimi dieci anni, continua a raccogliere i suoi frutti, che rischiano di essere invece acerbi per l’Europa.
Ankara è pronta a sfruttare le molteplici alternative che l’evoluzione della politica globale da un sistema bipolare a uno multipolare può offrire. A pronunciare queste parole, domenica 22 dicembre, è stato Mustafa Şentop, uomo dell’Akp – il partito di Erdoğan – e, dal 2011, presidente della Grande assemblea nazionale turca. Lo ha fatto in un discorso al Parlamento, durante il quale ha commentato gli aspetti più importanti della politica estera del Paese, divisa tra le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e la ratifica da parte dell’Assemblea di due Memorandum sottoscritti da Erdoğan e dal premier libico Fayez al-Sarraj lo scorso 27 novembre.
I due accordi riguardano la cooperazione militare e la demarcazione dei confini marittimi – non condivisi tra i due Stati, ma al centro di interessi comuni da rivendicare -.
Cooperazione militare
La Mezzaluna di Erdoğan non ferma dunque le sue mire geopolitiche, passando dal controllo del solo Mediterraneo dell’est fino al Mediterraneo centrale. Da tempo la Turchia vanta la sua influenza sull’Africa (con gli accordi in Somalia, Nigeria e Ciad), sui Balcani (con Albania e Kosovo e con l’inaugurazione della nuova autostrada che farà da raccordo tra Sarajevo e Belgrado), fino al Qatar, dove è presenta una nuova base militare turca.
Ma non basta. L’accordo tra Turchia e Libia, che vede il benestare della Russia di Vladimir Putin, prevede un appoggio militare al governo di al-Sarraj. Il Parlamento turco ha infatti votato a favore della possibilità di inviare delle truppe in Libia qualora il governo di Tripoli ne facesse richiesta. L’appoggio turco, fino ad ora limitato all’utilizzo di droni e di armamenti, comporterebbe l’invio dei militari, come ribadito dai ministri degli Esteri, Mevlüt Çavuşoğlu, e della Difesa, Hulusi Akar, durante un incontro con al-Serraj in Qatar.
Un mare diviso
Con l’accordo tra Tripoli e Ankara, la ridefinizione delle acque, apparentemente avanzata solo per fini commerciali, andrà in realtà a ridistribuire i diritti di esplorazione su una superficie di vasta estensione che potrebbe arrivare a contenere giacimenti di gas per un valore di 2.100 miliardi di metri cubi. Un fatto che crea problemi all’Italia così come alla Francia, dividendo in due il Mediterraneo per ciò che riguarda le esplorazioni dei fondali attorno all’isola di Cipro.
Al centro della questione relativa alla ridefinizione delle acque del Mediterraneo c’è la Zee, la Zona economia esclusiva, sulla quale ogni Stato ha diritti sovrani ai fini della gestione delle risorse naturali, principalmente idriche, e della protezione ambientale. Una disputa che, se calata nel Mar Egeo, vide la luce per la prima volta nel 1973 per via delle trivellazioni turche contestate dalla Grecia e che è stata di fatto mantenuta sopita negli ultimi anni anche grazie alla mediazione della Nato. Ankara è sempre stata dell’idea che la questione andasse risolta per via politica, mentre la Atene si è contrapposta preferendo le vie istituzionali dettate dal diritto internazionale. Una differenza di posizioni che ritorna anche oggi e che è inasprita dall’attivismo turco e degli accordi firmati con l’Egitto (2003), il Libano (2007) e Israele (2010).
La recente mossa di Erdoğan rovescia adesso il tavolo: la Turchia sceglie come frontista la Libia con la fascia divisa attraverso il Memorandum che arriva dal confine dell’Egitto fino a Derna, nella parte nord-orientale della Libia. Si tratta di una zona di mare abbastanza limitata che rasenta le isole di Rodi, Scarpanto e Creta. Resta poi sempre valido l’interrogativo legato alla possibilità del governo della Gna di Tripoli di sottoscrivere un accordo, se esso abbia una statualità piena, seppur sia riconosciuto dalla comunità internazionale.
Mosca, alleato o rivale?
La Russia, nel frattempo, non si frappone all’espansionismo turco: i contatti tra Ankara e Mosca sono molto frequenti in questi giorni. Aspettando il summit dell’8 gennaio a Sochi, sul Mar Nero, l’intesa militare tra Turchia e Libia non è stata di fatto osteggiata dal Cremlino, nonostante lo stesso Putin abbia dichiarato durante la sua conferenza di fine anno che la Russia è vicina sia al generale Haftar sia al governo di al-Sarraj e in Libia siano presenti i mercenari russi del Warner Group in appoggio ad Haftar. Un fatto che divide l’establishment russo, come si intravede nelle parole pronunciate da Lev Dengov, inviato speciale di Mosca in Libia. “Il conflitto andrà avanti fino a quando non emergerà un leader capace di unire tutti” e “se quel leader fosse Haftar, sarebbe già a Tripoli e la città sarebbe già caduta, senza combattere”, ha dichiarato Dengov a Bloomberg.
I rapporti tra Turchia (che, non bisogna dimenticare, è membro della Nato) e Russia mutano dunque nuovamente a fronte dello scacchiere libico, dopo l’acquisto dei missili a lunga gittata S-400, le operazioni congiunte in Siria e l’importante accordo energetico del Turkish Stream. La presenza russa e turca nel Mediterraneo rischia quindi di diventare “pesante”: a chiudere il cerchio, il nuovo dichiarato impegno di Mosca nel porto di Tartus in Siria, dove il Cremlino sta lavorando per rafforzare la sua presenza con un investimento di 500 milioni di dollari.