MO: Trump e la legalità degli insediamenti israeliani
Il segretario di Stato Mike Pompeo ha annunciato un cambio di indirizzo dell’Amministrazione Usa riguardo lo status giuridico degli insediamenti israeliani costruiti nei Territori occupati dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967. Secondo le dichiarazioni rese lunedì 18 novembre, le colonie israeliane in Cisgiordania non sarebbero tutte edificate in violazione del diritto internazionale: ne andrebbe invece effettuata una disamina caso per caso.
E’ una scelta controversa, in contrasto con quella che era stata la posizione della maggioranza delle Amministrazioni Usa negli ultimi 50 anni, ma in linea con le mosse più recenti del presidente Donald Trump. Circa un anno dopo essersi insediato, il presidente Usa aveva infatti riconosciuto Gerusalemme come capitale d’Israele, spostandovi la sede della propria ambasciata . Lo scorso aprile, Washington ha invece riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture del Golan, territorio siriano anch’esso sotto occupazione militare israeliana dal 1967.
La presa di posizione di Washington è l’ennesimo segnale di sostegno di Trump al governo d’Israele, che negli ultimi anni ha accelerato un processo di annessione strisciante di parte dei Territori occupati. Strumenti principali di questa strategia sono stati, da un lato, l’edificazione di un numero sempre crescente di insediamenti oltre la Linea Verde, storicamente indicata come confine fra lo Stato d’Israele e i Territori occupati; dall’altro, la costruzione (motivata come misura di sicurezza) di una barriera di separazione fra Israele e gli stessi Territori, il cui tracciato tuttavia penetra profondamente all’interno della Cisgiordania, accorpandone ampie porzioni al territorio israeliano.
Il quadro giuridico applicabile
Perché gli insediamenti israeliani violano il diritto internazionale? E come mai Israele non può far proprie di diritto parti di territorio conquistate nel corso di un conflitto armato? A impedire che ciò accada è stato l’affermarsi nel diritto internazionale del divieto dell’uso della forza militare nelle relazioni tra Stati. Ogni acquisizione territoriale ottenuta mediante il ricorso all’uso, o alla minaccia dell’uso, della forza militare è pertanto illegale. Corollario di detto principio è il divieto per gli Stati terzi di riconoscere come giuridicamente legittima qualsiasi annessione territoriale unilaterale.
Durante un conflitto armato internazionale, l’ottenimento del controllo effettivo su un territorio nemico non ne autorizza dunque l’annessione. Trova invece applicazione il diritto internazionale umanitario e in particolare i disposti che stabiliscono poteri e doveri della potenza occupante sul territorio occupato. L’assunto su cui si fondano tali norme è che l’esercizio di autorità sul territorio nemico sia uno stato di cose transitorio e che non possa condurre a una modifica unilaterale dello status giuridico delle terre occupate. La potenza occupante assume invece il ruolo di amministratore del territorio, finché non si realizzino le condizioni perché lo stesso venga restituito allo Stato che ne detiene la sovranità.
Ciò significa che lo Stato occupante ha l’obbligo di preservare, per quanto possibile, lo status quo ante nei territori che controlla, tenendo in considerazione sia gli interessi della popolazione locale, sia quelli dello Stato sotto occupazione. Dello status quo fa ovviamente parte la composizione demografica del territorio occupato, che non può essere modificata né trasferendo la popolazione del territorio sotto occupazione verso altre aree geografiche, né trasferendo parte della propria popolazione civile nel territorio occupato (Quarta Convenzione di Ginevra del 1949, Art. 49). Tale condotta è considerata talmente grave, da essere elencata come un crimine di guerra nello Statuto della Corte penale internazionale (Art. 8 (2) (b) (viii)).
Le pronunce degli organismi e dei tribunali internazionali
Non sorprende dunque che gli insediamenti israeliani siano stati riconosciuti come illegali da numerosi organismi internazionali. Li ha ritenuti tali il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, da ultimo nella Risoluzione 2334 (adottata nel 2016 con 14 voti a favore e l’astensione degli Stati Uniti), nella quale si ribadisce che la presenza di colonie israeliane costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale e un grave ostacolo per il raggiungimento della pace nella regione.
Anche la Corte internazionale di Giustizia ha avuto modo di esprimersi sulla questione. Chiamata a fornire un parere consultivo sulla legalità della barriera di separazione edificata da Israele, ha riaffermato la contrarietà degli insediamenti al diritto internazionale. Analoghe posizioni sono state espresse dall’Assemblea generale dell’Onu e dal Comitato internazionale della Croce Rossa.
L’ultimo organismo giurisdizionale a pronunciarsi sull’argomento è stata, il 12 novembre scorso, la Corte di Giustizia dell’Unione europea. La Corte è stata chiamata ad esprimersi sull’etichettatura di prodotti originari degli insediamenti israeliani nei territori occupati destinati al mercato Ue. I giudici hanno ritenuto che l’indicazione “insediamento israeliano” debba aver carattere obbligatorio. Ciò perché gli insediamenti sono stati edificati in attuazione di una politica di trasferimento della popolazione nei Territori occupati che viola il diritto internazionale umanitario. Privare il consumatore europeo di tale informazione gli impedirebbe di effettuare scelte consapevoli e rispettose di considerazioni di ordine etico e attinenti al rispetto del diritto internazionale.
A breve anche la Corte penale internazionale potrebbe esprimersi sull’argomento, vista la decisione della sua procuratrice capo di aprire un’inchiesta per crimini di guerra che sarebbero stati commessi nei Territori occupati.
Reazioni internazionali e prospettive future
La comunità internazionale ha condannato in maniera quasi unanime la mossa dell’Amministrazione americana. Il 19 novembre stesso, un portavoce delle Nazioni Unite ha espresso profondo rammarico per la decisione statunitense, precisando che il cambiamento di opinione di uno Stato non modifica il diritto applicabile, né l’interpretazione datane dalla Corte internazionale di Giustizia e dal Consiglio di Sicurezza. Anche l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha espresso posizioni analoghe, invitando Israele a interrompere la colonizzazione dei Territori.
Non è al momento chiaro cosa abbia spinto l’Amministrazione Trump ad adottare una posizione tanto eterodossa. Commentatori autorevoli affermano che Trump volesse sostenere l’alleato Benjamin Netanyahu nel suo tentativo di formare un nuovo governo. Altri leggono la mossa come una manovra per accattivarsi l’elettorato evangelico e l’appoggio di altri gruppi d’interesse filo-israeliani, in vista delle elezioni presidenziali del novembre 2020. Quale che sia la motivazione, sembra chiaro che il risultato immediato sia stato di compromettere ulteriormente la posizione degli Stati Uniti come mediatore credibile nella risoluzione dell’annoso conflitto arabo-israeliano.