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I dati del rapporto annuale Eda

Difesa: Ue, aumento di spesa con retrogusto amaro

29 Dic 2019 - Gaia Ravazzolo - Gaia Ravazzolo

Non sempre un aumento di spesa porta ai risultati desiderati. Ciò che traspare dal rapporto annuale pubblicato il 16 dicembre dall’Agenzia europea per la difesa (European Defence Agency, Eda), riferito al periodo 2017-2018, è un “dolce” incremento del 3% delle spese complessive per la difesa da parte degli Stati europei su base annuale. Aumento accompagnato, però, da un’amara e preoccupante diminuzione di investimenti nelle collaborazioni europee nella difesa, in joint procurement, e in ricerca e sviluppo di nuove tecnologie.

L’Eda raccoglie ed elabora dati su base annua dal 2006. I ministeri della Difesa dei 27 Paesi membri dell’Agenzia (tutti gli attuali stati dell’Unione europea, Regno Unito compreso, ad eccezione della Danimarca) forniscono le informazioni e l’Agenzia  li trasforma in dati aggregati nei propri rapporti annuali. Dalla cronistoria si evince che ancora non si sono raggiunti in Europa i livelli di spesa che si registravano prima della crisi finanziaria iniziata nel 2008. Ma i bilanci dei Paesi europei, nonostante tutto, vi si avvicinano sempre più: nel 2018l totale ammontava a 223,4 miliardi di euro contro i 225 miliardi del 2007. L’attuale livello di spesa per la difesa rappresenta l’1,4% del Prodotto interno lordo (Pil) e il 3,1% della spesa pubblica del complesso degli stati considerati.

Altro importante dato che emerge dal rapporto è che circa il 96% del totale della spesa per ricerca e sviluppo tecnologico (R&T) proviene da soli otto Stati membri, segno di una grande differenza tra il peso militare dei Paesi europei, e quindi di un’Unione che in questo settore continua giocoforza a viaggiare a velocità differenti.

Pochi investimenti in cooperazioni e tecnologie
Dopo aver sofferto duramente per i tagli durante la lunga crisi economica, dal 2014 si registra un aumento nelle spese per la difesa. Eventi quali la crisi in Ucraina e la destabilizzazione di Nord Africa e Medio oriente hanno infatti dato nuovo slancio nel riconoscere non soltanto che il bilancio destinato alla difesa debba aumentare, ma che debba essere speso in modo più efficiente per raggiungere obiettivi strategici comuni. Certo la crisi, si sa, non è facile da smaltire, ma negli ultimi cinque anni questo trend positivo farebbe pensare di aver imboccato insieme la strada giusta.

Non appena si guarda all’altra faccia della medaglia, però, si vede come la spesa per il rispetto degli obiettivi collettivi non sia riuscita a tenere il passo in investimenti, ovvero ricerca tecnologica ed acquisizione di equipaggiamenti, in modo collaborativo. Questi livelli sono ancora tutti al di sotto del dato del 2008. Fra il 2007 e il 2014 tali investimenti sono diminuiti del 22%, raggiungendo il minimo record di 35,8 miliardi di euro nel 2014. Da allora, vi è stato un significativo rialzo raggiungendo i 44,5 miliardi, che risultano però insufficienti  se si guarda agli altri attori globali: lo scorso anno la Cina ha destinato agli investimenti circa 60 miliardi di euro, ovvero il 41% del suo bilancio della difesa , mentre gli Stati Uniti hanno investito 160,5 miliardi di euro (il 30%).

Infine, secondo il rapporto Eda, nel 2018 le spese per la ricerca e sviluppo tecnologico sono aumentate per il secondo anno consecutivo, raggiungendo 2,1 miliardi di euro, una quota che rimane tuttavia ancora bassa come percentuale del bilancio complessivo.

Iniziative Ue alla prova dei tagli finlandesi
In questo contesto, l’Unione ha concretamente deciso di investire nel settore, allocando 590 milioni di euro per il periodo 2018-2020. Per il prossimo Quadro finanziario pluriennale (Qfp) dell’Ue per il settennato 2021-2027, la Commissione prevedeva di destinare circa 13 miliardi in sette anni al Fondo europeo per la difesa (European Defence Fund, Edf), a cui si aggiungono circa 6,5 miliardi per adeguare le infrastrutture europee al transito di assetti militari (military mobility) e 14 miliardi della European Peace Facility (Epf) a supporto delle operazioni europee.

Ma a livello politico la stessa Unione sembra fare ora un passo indietro, preannunciando possibili tagli per la difesa, almeno secondo quanto emerge dalla proposta negoziale al ribasso avanzata dalla presidenza di turno finlandese del Consiglio dell’Unione, che non ha riscosso grande successo dopo la presentazione al Vertice di dicembre. Nonostante l’avvio di importanti progetti nella cornice della Preparatory Action Defence Research (Padr) e il parallelo Programma europeo di sviluppo dell’industria della difesa stiano di fatto preparando il terreno per l’Edf, per quest’ultimo si prevedono tagli fino a farne scendere il bilancio a circa 6 miliardi. Un duro colpo alle risorse per la difesa comune che pare essere contraddittorio rispetto anche a quanto auspicato nella relazione riguardo l’attuazione della politica di difesa e sicurezza comune dello scorso 11 dicembre. In esso si evidenzia sì un lento adattamento politico e militare dell’Unione alle nuove crisi nel contesto internazionale, sottolineando l’insufficienza degli investimenti per la difesa e la mancanza di sviluppo di capacità e di interoperabilità. Ma si auspica, di contro, un approccio collettivo affinché l’Unione possa assumersi sempre maggiori responsabilità per la propria sicurezza e difesa. Su questo punto si è espresso di recente anche il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli,  augurandosi che i negoziati possano correggere i tagli discussi: in caso contrario potrebbe non esserci l’approvazione da parte dell’Europarlamento.

Buoni propositi per il nuovo anno
La politica di difesa e sicurezza comune è sicuramente uno dei progetti più ambiziosi perseguiti dall’Unione europea, e la sua attuazione è continuamente ostacolata da una linea di politica estera non ancora univoca da parte dei Paesi membri. Un taglio ai nuovi fondi europei destinati al suo sviluppo provocherebbero una diminuzione in termini di efficienza ed efficacia. L’aumento di spesa a livello nazionale, tuttavia, c’è stato e bisogna tenerne conto.

Il rapporto Eda fa presagire che il trend continui, ma lo si deve fare insieme tramite progetti cooperativi ed una sempre più forte dimensione Ue, nella speranza che il 2020 porti con sé buoni propositi anche in questo campo cruciale per la pace e la stabilità di cui l’Europa unita ha bisogno.