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Osservatorio IAI/ISPI

Difesa: missioni internazionali come strumento di politica estera

3 Dic 2019 - Michele Nones, Ester Sabatino - Michele Nones, Ester Sabatino

L’impegno dell’Italia nei teatri operativi internazionali deve essere visto nel quadro degli obiettivi di politica estera del nostro Paese e ci consente, sul piano internazionale, di porci allo stesso livello di altri Stati europei e d’Oltreoceano.

Le nuove linee programmatiche presentate a fine ottobre dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini evidenziano un potenziale cambio di rotta rispetto al passato. Oltre a riaffermare la specificità del comparto difesa, il ministro ha riconosciuto che l’impiego dei nostri militari nell’operazione ‘Strade sicure’ dovrà essere cambiato. Quest’operazione impiega da più di dieci anni i nostri militari sul territorio nazionale con dei numeri che da tempo hanno ormai superato quelli delle forze impiegate all’estero.

Nonostante la valenza di quest’operazione, specialmente nei primi anni, nel rassicurare e proteggere i cittadini italiani, il mandato delle Forze armate non può essere ridotto al pattugliamento delle nostre strade. Non solo perché all’interno delle Forze armate vi sono i Carabinieri, il cui compito è proprio quello di assicurare l’ordine pubblico, ma anche perché i 7.000 soldati dell’Esercito potrebbero essere impiegati diversamente e a supporto delle operazioni all’estero. Sembra, inoltre, essere venuto a mancare lo stato di necessità ed urgenza cui fa riferimento la normativa in vigore (decreto legge 66 del 15 marzo 2010).

Missioni in atto e loro importanza
Secondo quanto disposto nel documento di autorizzazione e proroga delle missioni internazionali nel 2019, la consistenza media dei contingenti militari impiegati in missioni internazionali è di 6.290 unità, in lieve calo rispetto a quella del 2018. Questa riduzione risulta, però, più marcata se si considera la consistenza massima raggiungibile: per il 2019 il numero massimo di personale militare è di 7.343 unità, un calo dell’8,5% rispetto a quanto previsto per il 2018. Dopo la dichiarazione del ministro Guerini di ottobre, ci si aspetta, quindi, che questa tendenza venga invertita e che il numero di personale impiegato nelle missioni all’estero torni a salire.

La continuazione delle missioni internazionali è importante principalmente per due motivi. Da un lato, esse rappresentano un valido strumento di politica estera e di stabilizzazione internazionale, dall’altro, esse permettono alle Forze armate di potersi addestrare sul campo e aumentare le proprie capacità operative. Per quanto riguarda il primo aspetto, le operazioni militari rafforzano la proiezione internazionale del nostro Paese nel quadro di cooperazione internazionale. Essere attivamente coinvolti in missioni Nato, dell’Unione europea o delle Nazioni Unite permette all’Italia di aver un maggiore ruolo ai tavoli decisionali di queste organizzazioni e di aumentare la propria credibilità internazionale.

Le 37 missioni in cui i nostri militari sono impiegati sono svolte in tre aree geografiche che riflettono gli interessi strategici italiani. Attraverso le missioni militari si garantiscono non solo la sicurezza e la stabilità nazionali, ma anche delle zone di nostro interesse strategico. Fra queste, al primo posto vi sono l’Europa settentrionale e balcanica e il Mediterraneo. Pesano la prossimità geografica ma anche l’instabilità e la fragilità politica e sociale soprattutto del fronte sud. La lotta al terrorismo nella regione africana e in quella asiatica completano il quadro di proiezione internazionale italiana. In quest’ambito, il recente attentato che ha colpito i nostri militari in Iraq conferma che il terrorismo è la prima minaccia all’Italia e alla comunità internazionale e che è indispensabile proseguire nell’attività di contrasto e di supporto ai Paesi più esposti.

Addestramento sul campo e aumento delle capacità operative
Per quanto riguarda il secondo aspetto, per partecipare alle missioni c’è bisogno di personale adeguatamente formato e protetto. L’addestramento impone un considerevole sforzo finanziario perché bisogna poter far esercitare continuamente il personale, alternando missioni, riposo e addestramento in un ciclo continuo che lo rende indisponibile per qualsiasi altro compito. L’utilizzo per attività secondarie può, quindi, essere giustificato solo da eventi eccezionali e non dovrebbe diventare sistematico. Questa esigenza si scontra, inoltre, con l’ormai cronica difficoltà di utilizzare le nostre aree addestrative per operazioni che possano coinvolgere anche un numero significativo di uomini o che possano simulare operazioni interforze con l’utilizzo di un numero significativo di mezzi. Dover utilizzare aree addestrative estere ha un costo elevato e non consente la necessaria continuità di questa attività.

Per quanto riguarda, infine, la protezione degli uomini e delle donne impiegati nelle missioni internazionali vi è stato un grande impegno in questo ventennio, ma molto si può ancora fare. Le minacce degli Improvised Explosive Device (Ied) e quelle portate da missili e droni richiedono uno sforzo ancora maggiore nello sviluppo di sistemi d’identificazione, soppressione e difesa attiva e passiva del personale e dei mezzi. Questo può essere assicurato solo se si hanno continuità di investimenti e fondi adeguati, che nel nostro Paese spesso risentono dei cambiamenti politici.

Opportunità a livello europeo
Tramite la creazione della Direzione generale per l’industria della difesa e lo spazio, responsabile del futuro del Fondo Europeo di Difesa, la nuova Commissione europea a guida Ursula von der Leyen ha voluto sottolineare la strategicità del settore industriale e incentivare gli Stati membri a spendere meglio e in maniera più coordinata sugli equipaggiamenti militari che saranno indispensabili negli scenari operativi futuri.

In questo contesto l’Italia potrebbe riuscire a trovare la spinta politica e l’incentivo economico necessari per poter continuare a garantire la protezione e l’efficacia delle nostre Forze armate impiegate all’estero e ad avere un ruolo di rilievo al tavolo europeo. Ma questo risultato sarà possibile solo se l’Italia riuscirà a fare sistema, coordinando i principali attori e stakeholder del settore. Questo è quello che possiamo fare per proteggere meglio le nostre donne e i nostri uomini che ci difendono in giro per il mondo.

Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dello IAI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.