Agenda digitale europea: le tre priorità dell’Italia
L’insediamento della nuova Commissione europea avviene in un momento di straordinario cambiamento: la storia sembra aver cominciato a scorrere più veloce. Uno dei drivers di questo cambiamento è certamente rappresentato dall’evoluzione tecnologica e digitale, che avrà effetti sempre più dirompenti sulle nostre società, le nostre economie e la nostra sicurezza.
Per affrontare al meglio i rischi connessi all’avvento dell’età digitale l’Unione europea e l’Italia hanno cominciato a dotarsi di quadri regolamentari per cercare di cogliere in sicurezza le opportunità della trasformazione digitale. Infatti, la condizione di forte interdipendenza socio-economica tra i Paesi europei, nonché la natura ubiqua e transnazionale della dimensione cibernetica, sono due fattori che hanno indotto Bruxelles a diventare uno dei principali centri di gravità per lo sviluppo di politiche del settore digitale, con un approccio del tutto innovativo e peculiare rispetto ad altri ordinamenti (come quello statunitense, russo o cinese).
I ritardi dell’Europa e le esigenze dell’Italia
Tuttavia, l’Europa rispetto ad altri attori internazionali (Cina e Stati Uniti in primis) è indietro in alcuni settori di innovazione e sviluppo (come nel caso dell’intelligenza artificiale e il quantum computing), intorno ai quali si sta sviluppando una competizione alla superiorità tecnologica con risvolti non solo socio-economici ma anche geopolitici.
L’ampia e sfaccettata dimensione digitale è di competenza di più commissari (tra i quali Thierry Breton – mercato interno e Mariya Gabriel – innovazione e gioventù), i quali operano sotto la guida della commissaria danese, nonché vice-presidente esecutivo della Commissione europea, Margrethe Vestager – soprannominata la nuova Eu cyber zarina. Già membro della Commissione Junker, la Vestager è stata riconfermata da Ursula von der Leyen in ambito di concorrenza, con l’aggiunta della responsabilità riguardante la transizione al digitale. La Verstager è riconosciuta per il suo rigore verso le grandi piattaforme dell’economia dei big data.
Celebre è l’ingiunzione a Apple di versare 13 miliardi di tasse non pagate all’Irlanda nel 2016. Alle critiche provenienti dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, la Verstager ha risposto che deve tutelare gli interessi dei cittadini e consumatori europei. Nella lettera d’incarico si indica chiaramente che l’Unione europea deve cogliere a pieno le potenzialità dell’età del digitale, una dimensione che spazia dall’industria alle questioni etiche dell’intelligenza artificiale.
Per quanto concerne in particolare l’Italia, il prossimo quinquennio sarà determinante per lo sviluppo di capacità digitali per poter salvaguardare la nostra economia, la nostra società e la nostra sicurezza.
Tre temi su cui focalizzare l’attenzione
Pertanto, riteniamo opportuno che la Commissione focalizzi la sua attenzione su tre temi specifici:
- Protezione alle piccole medie imprese (Pmi): il tessuto produttivo italiano è composto per la maggior parte da piccole e medie aziende che costituiscono la spina dorsale del nostro sistema Paese e posseggono molto del nostro know-how di eccellenza riconosciuto in tutto il mondo. Tuttavia, esse riscontrano spesso difficoltà nell’operare efficientemente nell’economia digitale, in quanto sono chiamate a rispettare legislazioni puntuali ma complesse da applicare (come il Gdpr) e allo stesso tempo sempre più oggetto di attacchi cibernetici pur rimanendo escluse dal perimetro di sicurezza nazionale. È pertanto necessario che l’Unione europea dia prova di un rinnovato slancio nell’approcciare queste realtà la cui importanza per la crescita ed il posizionamento strategico dell’Europa non può essere sottostimata. Finora l’Unione europea ha concentrato i fondi per la cybersecurity in ambito di ricerca e sviluppo, quindi verso i provider e non i consumatori di sicurezza, come potrebbero essere le Pmi. Potrebbe dunque essere opportuno che il Governo italiano si faccia portavoce di queste difficoltà in sede europea, mantenendo l’attenzione di Bruxelles su quella che rappresenta una cruciale sfida dei prossimi anni.
- Aumentare consapevolezza e alfabetismo digitale: nell’Unione europea l’Italia si piazza quartultima nella classifica della Commissione europea per quanto riguarda l’economia e società digitale. Questo scarso risultato ha due conseguenze non secondarie sulla performance dell’Italia nel XXI secolo. In primo luogo, rimanere indietro in ambito digitale implica che il nostro Paese non può beneficiare delle rilevantissime opportunità economiche (ma non solo) che l’attuale rivoluzione tecnologica rende disponibili (come l’industria 4.0, l’Internet of Things, l’economia dei dati) con importanti ricadute anche nel settore dell’occupazione e del mercato del lavoro attuale e futuro. In secondo luogo, una società poco digitalizzata è una società con una scarsa cultura informatica che determina rischi individuali e sistemici per l’intero Paese. Le crescenti minacce che provengono dallo spazio cibernetico richiedono una maggior consapevolezza informatica di tutti gli utenti (dagli studenti elementari agli amministratori delegati delle grandi aziende, passando per gli impiegati pubblici) dato che la catena di interconnessione dei sistemi, delle reti e dei network è sicura quanto è sicuro il suo anello più debole. Pertanto, l’Italia dovrebbe mantenere alta l’attenzione di Bruxelles sui programmi di sostegno alla formazione (di tutte le fasce inclusa quella continua) specialmente verso le fasce più deboli (disoccupati e chi lavora in settori più a rischio di perdita del lavoro).
- Dalle parole ai fatti: l’Unione europea negli ultimi anni si è dotata di un ambiente normativo riguardo il digitale importante e innovativo. Dalla direttiva sugli operatori dei servizi essenziali all’istituzione di un’agenzia permanente di sicurezza cibernetica, dalle certificazioni ai prodotti e servizi digitali al cyber-diplomatic toolbox. Alcune di queste iniziative sono già attive, altre sono ancora in fase di implementazione. L’Italia ha tutto l’interesse che l’Unione europea possa finalmente cominciare ad operare pienamente in un dominio, come quello cibernetico, dove è fondamentale sviluppare sinergie con i cosiddetti like minded states. Molte sono le questioni sulle quali un approccio di sano pragmatismo può rendere più sicuro ed efficacie l’utilizzo delle nuove tecnologie. Uno su tutti, l’annosa (e strategica) questione del 5G, per la quale sarebbe utile sviluppare un approccio comunitario ponderato e il più possibile condiviso.
Altri fronti digitali aperti
Questi sono solo alcuni dei temi digitali trattati a livello europeo, sul quale sarebbe utile attirare l’attenzione del nostro governo e quindi della neonata Commissione europea. Ma ve ne sono molti altri, come la digital tax, la responsabilità delle piattaforme online, la riduzione del digital divide (anche per quanto riguarda il gender) e lo sviluppo dei diritti umani nell’era digitale (tra cui quello alla privacy).
Tutte questioni sulle quali il nostro Paese può trovare nell’Unione europea, e in particolare nella Commissione europea, un interlocutore chiave per lavorare dialetticamente su tematiche di interesse nazionale nel mercato (digitale) comune, ma soprattutto nei sempre più scuri e vasti orizzonti del dominio cibernetico.
Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.