IAI
I risvolti d'un conflitto sanguinoso

Yemen: tragedia umanitaria, si muore di fame, anche se il cibo c’è

18 Nov 2019 - Tommaso Carboni - Tommaso Carboni

In Yemen, dopo cinque anni di conflitto feroce, il bilancio delle vittime è devastante. Su 30 milioni di persone, 24 milioni hanno bisogno di assistenza umanitaria, 20 soffrono di insicurezza alimentare e almeno 10 sono a un passo dalla carestia. I morti, invece, sono circa 230mila: 102mila persone sono morte combattendo, le altre per malattie e fame.

Le responsabilità di un disastro
Chi sono i responsabili di questo disastro? Da una parte c’è la coalizione militare a guida saudita, i cui bombardamenti hanno fatto migliaia di vittime (lo dice questo report delle Nazioni Unite), demolendo infrastrutture e contribuendo allo sfacelo generale dell’economia. Oltre alle bombe, i sauditi hanno inflitto ai territori controllati dagli Huthi, i ribelli sciiti, una serie di brutali misure punitive tra cui restrizioni alle importazioni, blocchi selettivi ai rifornimenti e la confisca degli stipendi di circa un milione di dipendenti pubblici. Risultato: milioni di persone sono diventante ancora più povere.

Anche gli Huthi però hanno la loro abbondante parte di colpe. Sono accusati di bombardare i civili, torturare i detenuti, reclutare bambini-soldato e bloccare l’accesso alle agenzie umanitarie. Insomma, cinque anni di conflitto feroce non sono serviti a stroncare la loro insurrezione nel nord dello Yemen: non solo non sono stati sconfitti, ma anzi sembrano essersi rafforzati. Tanto che lo scorso mese hanno rivendicato attacchi missilistici sferrati nel cuore dell’Arabia Saudita contro alcune piattaforme di lavorazione del petrolio.

La più grave tragedia umanitaria in atto sulla Terra
Se la leadership politica degli Huthi resiste e addirittura si consolida, il resto degli abitanti fa i conti invece con la più grave tragedia umanitaria in corso sulla Terra. In un Paese dove oramai il lavoro delle agenzie umanitarie è decisivo per contenere i danni della guerra, il World food programme (Wfp) assiste 12 milioni e 400mila persone, di cui il 70% abita nel nord nelle zone controllate dai ribelli sciiti, il resto nel sud. Ricevono aiuti due milioni di bambini, di cui 360mila hanno bisogno di soccorsi immediati perché sono gravemente malnutriti. Senza assistenza, moriranno.

Se però portare gli aiuti in tempo diventa letteralmente una questione di vita o di morte, quest’estate il Wfp ha bloccato i suoi interventi a Sana, la capitale, dove vive più di un milione di persone: le sue attività di distribuzione umanitaria venivano pesantemente compromesse dal continuo ostruzionismo degli Huthi.

Le difficoltà delle agenzie di soccorso internazionali
“Inizialmente abbiamo avuto complicazioni anche nei territori controllati dal governo yemenita, ma le abbiamo risolte. Mentre negli ultimi 12/18 mesi abbiamo avuto problemi con gli Huthi. Le difficoltà sono diventate sempre più gravi, e siamo arrivati a un punto in cui ci siamo accorti che il nostro lavoro veniva sistematicamente ostacolato e così abbiamo dovuto prendere una decisione drastica, senza precedenti: interrompere gli aiuti”, ha raccontato Rehan Asad, Chief of Staff del Wfp, tra i relatori a un convegno sullo Yemen organizzato a Roma a fine ottobre.

Le cose poi sono migliorate e l’agenzia dell’Onu è tornata a lavorare. Questo mese, però, sembra ci siano stati ancora episodi di sottrazione e blocco del cibo. “Fermano il passaggio degli aiuti e li rivendono al mercato nero. Lo fanno per finanziare l’esercito e lo sforzo bellico e anche per arricchirsi personalmente”, mi spiega Abdullah al Rabeeah, capo del King Salman Relief Centre, l’agenzia di cooperazione allo sviluppo del governo saudita, anche lui presente al convegno. Nonostante sia parte del conflitto, l’Arabia Saudita afferma di continuare a contribuire allo sforzo umanitario in sostegno dello Yemen. Il King Salman Relief Centre, sostiene il suo direttore, ha avviato nel Paese 371 progetti, con attenzione particolare a donne e bambini, per una spesa complessiva finora di circa 2,3 miliardi di dollari.

Il nodo di Hodeida
Per facilitare i rifornimenti umanitari i sauditi hanno messo a disposizione il loro porto di Jazan, al confine con lo Yemen. “Oggi è questo – e non Hodeida – il miglior punto di entrata degli aiuti per le zone controllate dagli Huthi. Oltre al porto, abbiamo aperto anche le vie terrestri così che le agenzie umanitarie possano fare il loro lavoro”, continua il direttore del King Salman Relief. “Altrimenti c’è Hodeida, ma lì ci sono ritardi nelle operazioni di carico e scarico, oltre a gravi manipolazioni”.

Proprio per aggirare l’ostacolo di Hodeida, dove i soccorsi finivano per essere trafugati dagli Huthi, il governo riconosciuto dello Yemen ha proposto di decentralizzare gli aiuti. “Ci si è resi conto che le zone maggiormente colpite dalla carestia erano proprio quelle attorno ad Hodeida. Questo anche a causa delle ruberie e dell’ostruzionismo degli Huthi”, mi racconta Abdulraqeb Saif Fateh Al-Dubai, il ministro dell’amministrazione locale del governo yemenita e capo del National Relief Committee.

“Per tre anni l’Onu, aggiunge Fateh Al-Dubai, ha seguito una strategia di centralizzazione dei soccorsi. Gli aiuti passavano quasi tutti attraverso il porto di Hodeida. Ma poi li abbiamo convinti a cambiare meccanismo”. Adesso, funziona così, prosegue il ministro: “Abbiamo cinque centri di distribuzione sparsi per il Paese, ognuno dei quali copre quattro province. Ce n’è uno a Sana, la capitale, e altri due sulla costa meridionale, ad Aden e Al Mukalla. Il quarto è a Hodeida e l’ultimo a Marib. Tramite questi cinque centri riusciamo a servire meglio il territorio”.

Il cibo c’è, mancano i soldi per comprarlo
La crisi umanitaria resta comunque gravissima. Chi conosce bene lo Yemen riferisce che la fame in larga parte non è provocata dall’assenza di cibo, quanto dalla devastante crisi economica, che si traduce in altissima disoccupazione e inflazione. “Sì, è vero, a volte il cibo c’è, ma le persone non hanno soldi per comprarlo. L’Arabia Saudita in questo cerca di rimediare: dall’inizio del conflitto ha indirizzato verso lo Yemen 16 miliardi di dollari in aiuti diretti alla popolazione e finanziamenti a sostegno dell’economia, con forti iniezioni di liquidità (tre miliardi di dollari) a favore della banca centrale yemenita”, continua il direttore del King Salman Relief Center.

“Insieme al Wfp facciamo anche molti progetti per l’agricoltura, la pesca e la produzione di miele, ha continuato il direttore. L’obiettivo è creare posti di lavoro. Abbiamo finanziato l’Unicef perché avviasse un programma di incentivi per gli insegnanti delle scuole. Poi c’è un altro progetto col Wfp, di cui dobbiamo discutere a breve, e riguarda un piano per distribuire soldi alle famiglie da spendere in cibo e altre cose”. È chiaro però che si tratta di misure di contenimento. Finché c’è la guerra, la vita in Yemen continua a essere durissima e la crisi umanitaria a persistere.