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le elezioni politiche di domenica 10

Spagna: nodi irrisolti, nessuno vince, tranne Vox, tanti perdono

12 Nov 2019 - Elena Marisol Brandolini - Elena Marisol Brandolini

Le elezioni spagnole della scorsa domenica non sono servite a sciogliere i nodi che l’estate scorsa avevano reso impossibile la formazione del governo e anzi consegnano un quadro politico di maggiore incertezza rispetto a prima. I socialisti sono ancora il primo partito e perciò vincono la competizione elettorale, ma Pedro Sánchez fallisce la scommessa di ampliare la base di rappresentanza parlamentare del suo partito per poter gestire in autonomia l’azione di governo; anzi, il Psoe retrocede leggermente rispetto al risultato delle elezioni di aprile.

La logica pattizia un percorso obbligato
Il ritorno a nuove elezioni politiche, le quarte in quattro anni, viene penalizzato dall’elettorato di entrambi gli schieramenti, che perdono circa un milione di elettori ciascuno: il messaggio delle urne alla politica è che questa si faccia carico dell’intesa tra i partiti, perché ormai il Parlamento è così plurale che nessun partito avrà più la maggioranza necessaria per considerarsi autosufficiente e la logica pattizia diventa perciò un percorso obbligato.

Il blocco progressista conta ancora più seggi rispetto a quello conservatore, per quanto la distanza tra i due si sia ridotta; non c’è quindi la maggioranza per un governo delle tre destre come accadde in Andalusia con le elezioni del 2018.

Lo smottamento è nei rapporti di forza interni agli schieramenti; e in quello di destra si contano le macerie. Di Ciudadanos, il partito della destra liberista, che fino ad appena qualche mese fa accaparrava le simpatie dei cosiddetti poteri forti, ora tornati tutti nell’orbita popolare: il suo crollo elettorale ne conclude la parabola, mettendo fine alla carriera del giovane leader, Albert Rivera, che l’ha guidato fin qui, spostandolo su posizioni sempre più reazionarie, in una competizione con l’estrema destra post-franchista di Vox che ha vinto il confronto.

L’avanzata di Vox
Vox, infatti, ottiene un risultato strepitoso in queste elezioni, come i sondaggi facevano presagire, e diventa la terza forza del Parlamento spagnolo: conquista più del doppio dei seggi rispetto ad aprile e si fa strada, per la prima volta, nei quartieri popolari. La forza d’ispirazione franchista guidata da Santiago Abascal, che parla di “profanazione di cadavere” riferendosi all’esumazione delle spoglie del dittatore Franco dal Valle de los Caídos, che odia migranti, omosessuali e femministe, che propone di mettere fine al sistema delle Autonomie e vuole mettere fuori legge i partiti indipendentisti e che le altre destre hanno accreditato nei governi di alcune Comunità “normalizzandone” la presenza, comincia a fare breccia nelle aree della disperazione sociale prodotte dalla crisi economica. “Modernizzandosi” per così dire, in un’assimilazione col resto della nuova estrema destra europea.

Perciò, il leader di Podemos Pablo Iglesias ripropone una coalizione di governo progressista, perché faccia fronte all’avanzata dell’estrema destra. E questa volta trova subito un’eco positiva nel Psoe: la lezione e gli errori  tra l’estate e l’autunno sono stati forse metabolizzati, anche se l’eventuale governo sull’asse Psoe-Podemos dovrà volta a volta giocare su adesioni e/o astensioni di altre forse politiche.

Se l’insieme del blocco conservatore fosse cresciuto al ritmo di Vox, oggi in Spagna si starebbe discutendo di un governo delle tre destre. E, invece, la débacle di Ciudadanos ha favorito solo in parte il Partido Popular, che è cresciuto rispetto ad aprile, ma non tanto come sperava. E ora il suo presidente Pablo Casado guarda alla sua destra con estrema preoccupazione, cauto nel muovere qualunque passo che lo possa scoprire su quel fianco.

Progressisti e autonomisti
Nel blocco progressista, Unidas Podemos subisce una leggera flessione, ma conserva ancora oltre tre milioni di voti, rimanendo il partito più grande in Europa della sinistra non socialista. In parlamento entra la nuova formazione di ĺñigo Errejón, non però in modo sufficiente ad avere un gruppo parlamentare proprio. Chi invece, per la prima volta, avrà voce propria nel Congresso è Bildu, la formazione indipendentista basca; anche il Partito nazionalista basco cresce rispetto alle elezioni precedenti.

In Catalogna, i partiti indipendentisti confermano la solidità della loro base elettorale, migliorando il numero di seggi, pur fermandosi di poco al di sotto della maggioranza assoluta. Esquerra Republicana è di nuovo il primo partito, pur con una leggera flessione, e diventa la quinta forza politica nelle Cortes. Junts per Catalunya migliora il suo risultato di aprile ed è terzo, dietro i socialisti catalani e prima dei Comuns. Per la prima volta, nel Congresso ci sarà anche una rappresentanza della Candidatura d’Unitat Popular. Il nuovo parlamento spagnolo appare sempre più plurale, non solo per le differenti opzioni politiche che contiene, ma anche per quelle territoriali che si rafforzano in numero e rappresentanza.

Il rischio dell’irresponsabilità
Le prospettive che questo quadro propone presentano margini molto ridotti, salvo che non prevalga nuovamente l’irresponsabilità, questa volta però con esiti imprevedibili. I socialisti sembrano esserne consapevoli: ora puntano dunque a un governo progressista, disponibili a riprendere un ragionamento con Podemos per una soluzione condivisa.

Cercano il voto del Pnv e l’astensione degli altri partiti che li renda non dipendenti dall’indipendentismo catalano; sperano che Ciudadanos non ostacoli un governo progressista e non confidano che il Pp faccia altrettanto con Vox in allerta. Ma anche l’indipendentismo catalano, tranne la Cup, si mostra più disponibile, chiede però un cambio di attitudine al governo spagnolo. Quel “Spain, sit and talk” che le piazze catalane scandiscono da un mese, da quando, lo scorso 14 ottobre, è uscita la sentenza alla leadership indipendentista.

Fare nuove elezioni politiche in questa situazione, con la Catalogna permanentemente mobilitata contro la sentenza, è stata una scelta scellerata, perché ha contribuito a spostare a destra tutto il quadro politico e a ridurre la questione catalana ad un problema di ordine pubblico. E invece il conflitto è politico e richiede un governo che faccia politica per avviare un percorso di soluzione.