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Cultura della pace come antidoto

Religione: una Terza Guerra Mondiale fatta di 380 conflitti

24 Nov 2019 - Emmanuela Banfo - Emmanuela Banfo

La Terza Guerra Mondiale è già in atto e a dimostrarlo sono i 380 conflitti in corso, i 71 milioni di profughi, i 40 milioni di persone, soprattutto donne e bambine, ridotte in schiavitù, l’escalation di vittime, migliaia e migliaia ogni anno: il vicepresidente della Caritas, Paolo Beccegato, riprendendo le parole di Papa Francesco, non ha soltanto snocciolato dati drammatici, ma ha messo al centro del convegno nazionale del Meic (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale) le responsabilità dei Paesi occidentali.

Cultura della pace e ignoranza dei conflitti
Da Torino, città dei santi sociali, i delegati del Meic, provenienti da tutta Italia, hanno redatto un documento finale dei lavori nella cui bozza s’afferma che “occorre rigenerare la cultura della pace e che proprio il riemergere di culture sovraniste e fortemente identitarie alimenta il rischio di nuove tensioni, anche là dove negli ultimi decenni si era cercato di creare soluzioni armoniche.

Grandi interessi economici (in molti casi legati al lucroso commercio delle armi) soffiano sul fuoco di guerre locali, a cui ormai si guarda con colpevole indifferenza”. “Si sente – si legge nel documento – una grande domanda di sicurezza, di protezione, di uso della forza, mentre non interessa più costruire una società coesa, in cui si aiutino i più deboli e i più fragili; i poveri sono percepiti come estranei al consesso civile, lasciati ai margini di tutto, talvolta in contesa fra loro: i penultimi contro gli ultimi”.

Il vicepresidente della Caritas ha ricordato due dati significativi, parte della ricerca sui conflitti dimenticati, da cui emergono sentimenti diffusi che ostacolano il formarsi di una cultura della pace.  Su un campione significativo intervistato a proposito delle guerre, si evidenzia che gli italiani non sanno quasi nulla: nessuna guerra nel continente africano è conosciuta da più del 3% – fa eccezione quella in Siria, menzionata dal 52% -. Un’ignoranza pericolosa, di cui colpevoli sono anche i media.

E ancora più allarmante è che su 1.782 studenti di 58 classi di terza media di 45 istituti sparsi su tutto il territorio nazionale, il 39,3% non è stato in grado di indicare neanche una guerra degli ultimi cinque anni. “È necessario – ha detto Beccegato- un sussulto della parte viva della società italiana ed europea, un impegno straordinario delle chiese cristiane e dei movimenti sociali per riscrivere una cultura della pace che è rispetto dell’ambiente di vita, una ecologia umana che parte da una nuova prospettiva antropologica per una maggiore giustizia sociale e in un contesto di inclusione e di accoglienza solidale”.

Le cause principali dei conflitti
Sotto accusa, in primis, il fiorente commercio delle armi che Beccegato identifica come una delle quattro cause principali che scatenano le guerre, assieme alla povertà, alle condizioni ambientali e alla speculazione finanziaria: “È vero che si possono fare stragi a colpi di machete, ma la disponibilità delle armi certo non favorisce la ricerca di soluzioni pacifiche. La spesa militare continua ad aumentare”. Così come aumenta la povertà, che è a monte della maggioranza dei conflitti, la mancanza di cibo e di acqua dovuta all’esaurimento delle fonti idriche e alla desertificazione.

“Andiamo oltre alle apparenze che li etichettano come conflitti religiosi o etnici. Queste sono maschere usate a posteriori allo scopo di giustificare e trovare facili forme per rafforzare le identità e metterle le une contro le altre – osserva Beccegato –. La religione può essere un fattore aggregante, ma pensiamo alla questione curda. I curdi sono islamici sunniti proprio come i turchi, eppure sono su fronti opposti”.

Infine l’opinione pubblica pone poca attenzione sugli effetti della finanziarizzazione dell’economia mondiale, che non pone al centro l’umanità e i suoi bisogni, ma gli indicatori algoritmici che muovono capitali in una logica puramente affaristica. Negli ultimi anni le speculazioni sul cibo e sulle materie prime alimentari hanno messo in ginocchio intere popolazioni già povere. “Occorre agire su scala globale – ha affermato il vicepresidente della Caritas – ma anche individuale, personale. Ciascuno di noi quando va in banca e magari investe un po’ di denaro, può chiedere di fare chiarezza su qual è la destinazione dei fondi su cui si investe evitando, per esempio, quelli che includono le industrie delle armi”.

L’importanza dell’integrazione
Cleophas Adrien Dioma, coordinatore del Summit nazionale delle diaspore, ha ricordato, tuttavia, che “la pace non è assenza di conflitti, ma prassi politica e diplomatica portatrice di giustizia, elemento in grado di denunciare e combattere le disuguaglianze, momento fondante per dare libertà e democrazia. L’Italia rispetto ad altri Paesi europei – ha aggiunto – ha un’eredità coloniale meno ingombrante e questo può rappresentare un’occasione in più per provare a creare qualcosa di nuovo e interessante in tema di integrazione. Il Summit delle diaspore, in questo senso, è un organismo che dovrebbe essere un’opportunità e una sfida. Le comunità d’immigrati sono pronte, preparate e capaci di dialogare con le istituzioni e possono giocare il ruolo di ponte tra l’Italia e i paesi dove si va a fare cooperazione. Sono necessari dunque organizzazione, formazione e accompagnamento, per ascoltare”.

L’appello all’unità dei cristiani (all’evento hanno partecipato anche la pastora valdese Maria Bonafede e il professore di Antico Testamento alla Facoltà Valdese di Teologia, Daniele Garrone) è risuonato più volte durante i lavori. Un’unità non dottrinale, ma di prassi diventata ormai concreta e continuativa sull’accoglienza ai migranti. A ulteriore conferma vi è la lettera inviata a Governo e Parlamento italiani da parte del Tavolo Asilo, di cui fanno parte, tra le altre organizzazioni, Caritas, Fcei attraverso Meditarranean Hope, Acli, Emercency, per chiedere di non rinnovare il Memorandum con la Libia, siglato per la prima volta nel 2017 dall’allora premier Paolo Gentiloni e da Fayez Al Sarraj.