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Discriminazioni social e odio diffuso

Razzismo: chiese protestanti, scomunica per fanatici dell’odio

8 Nov 2019 - Emmanuela Banfo - Emmanuela Banfo

Le chiese protestanti si preparano a pronunciare la terza scomunica della loro storia, contro i fanatici dell’odio la cui presenza, anche in Italia, è di straordinaria attualità, come testimoniano le aberranti offese e minacce a Liliana Segre e, su un piano diverso, gli ululati razzisti negli stadi.

Ad aprire la strada verso la terza scomunica è un documento, approvato nei mesi scorsi dalla Consultazione di Bangkok alla Comunione mondiale delle Chiese riformate (Wcrc), che rappresenta oltre 100 milioni di credenti – congregazionalisti, riformati, presbiteriani, chiese unite e valdesi – di 233 chiese in 105 Paesi. In Italia il Sinodo valdese e metodista, riunitosi a fine agosto, lo diffonde nelle sue chiese aprendo, di fatto, il processo di status confessionis che, in casa protestante, sta al pari della scomunica cattolica.

Le scomuniche con Hitler e apartheid
Da parte del Vaticano non è affatto un provvedimento eccezionale, ma da parte delle chiese protestanti lo è, se si considera che è stato dichiarato soltanto due volte nella storia. La prima nel 1934 quando il Sinodo delle 29 chiese evangeliche regionali della Germania si riunì a Barmen. Nacque la chiesa confessante che si opponeva a Hitler e a quanti lo appoggiavano, anche all’interno del luteranesimo.

Al centro c’era una confessione di fede dirompente per un regime dittatoriale, molto semplice, ma totalizzante, che pretendeva ubbidienza cieca e allineamento delle chiese all’antisemitismo del Terzo Reich: “Gesù Cristo così come ci viene testimoniato nella Sacra Scrittura è l’unica Parola di Dio che noi ascoltiamo, nella quale dobbiamo confidare e alla quale dobbiamo prestare ascolto nella vita e nella morte”. Il principio riformatore del Solus Christus contro il nazismo. La scelta era tra chi si conformava al regime e chi si chiamava fuori affermando l’unica autorità di Cristo.

La seconda volta fu nel 1982 contro l’apartheid in Sudafrica. L’Alleanza riformata mondiale stigmatizzò l’apartheid come eresia teologica e sospese la chiesa riformata olandese che in Sudafrica giustificò il razzismo pretendendo di trovargli una base teorica nella Scrittura. Nel 1999 venne riammessa, ma dopo un lungo e travagliato processo di conversione. Nei confronti della Chiesa d’Olanda aveva già preso posizione il Consiglio ecumenico delle Chiese nel 1960 a fronte delle giustificazioni del massacro di Sharpeville dove morirono, uccisi dalla polizia, 69 manifestanti. Il metodista Nelson Mandela, che quattro anni dopo quei fatti venne condannato all’ergastolo e ai lavori forzati, ebbe un ruolo centrale, dopo il 1994 e la fine del segregazionismo, nel lavoro di riconciliazione che mirava a comporre un tessuto sociale incontaminato dalla ricerca della rivincita, della vendetta, dall’eterna faida dell’odio.

La nuova scomunica odierna
Ma se nel 1934 la scomunica era contro il nazismo e negli Anni Ottanta contro l’apartheid, oggi contro chi si muove? E’ sempre e ancora contro i fanatici dell’odio che si scaglia il documento di Bangkok chiedendo alle chiese protestanti del mondo di avviare un processo di status confessionis. “La nostra comprensione della fede – si legge nel documento – sottolinea che siamo chiamati a trattare l’umanità intera come fra vicini, nel modo in cui vorremmo essere trattati (Levitico 19,18b; 33-34), chiamati da Dio a intervenire gli uni in favore degli altri allorché siamo nel bisogno (Luca 6, 27-31) e che il nostro modo di trattare gli ultimi fra noi è prova della nostra alleanza con Dio e fra di noi (Matteo 25, 31-46)”.

Quando Papa Francesco, l’anno scorso a Palermo, ha ribadito “Non si può credere in Dio ed essere mafiosi”; quando, nel 2017, a conclusione del Dibattito internazionale sulla corruzione, la chiesa cattolica ha avviato l’iter per scomunicare mafiosi e organizzazioni criminali affini, è stato affermato lo stesso principio: misurare la propria fede, e i principi biblici su cui si regge, con le proprie scelte. La scomunica non è tanto per allontanare gli infedeli, coloro che si servono della religione, strumentalizzandone e manipolandone i contenuti, non è tanto per stabilire chi sta dentro e chi sta fuori dalla chiesa di Cristo, ma costringere i popoli dei credenti a riflettere sulla propria coerenza.

Nel 1992 la Chiesa Valdese di Palermo riformulò la Confessione di fede che condannava “chi versa sangue e si fa giustizia da sé” e riteneva colpevole “chiunque usi violenza, chiunque corrompa e chiunque si lasci corrompere”. Con lo stesso spirito i partecipanti all’incontro di Bangkok, “raffrontando le lotte per la giustizia, l’uguaglianza, l’equità e la dignità con il fenomeno mondiale odierno dei nazionalismi esclusivisti”, hanno constatato che “questi ultimi sono influenzati dalle ‘risorse’ religiose e culturali dominanti e dominatrici: politiche basate su paura, xenofobia e odio, che demonizzano le minoranze religiose ed etniche e le comunità oppresse”. Atteggiamenti giudicati nocivi “per l’integrità morale del mondo” e che violano “la fede cristiana secondo cui gli esseri umani sono creati allo stesso modo a immagine di Dio (Genesi 1,26-27)”. La risposta teologica adeguata, contro sovranismo, nazionalismo, contro ogni tipo di discriminazione, è stata indicata nello status confessionis.

Il rinnovato impegno di fratellanza
In una lettera il segretario generale della Comunione mondiale delle Chiese Riformate, Chris Ferguson, ha fatto riferimento alle “voci coraggiose delle chiese in Italia, Grecia, Germania e altri Paesi” nel fare eco al salmista: “non respingere le barche… allontanati dal male… vai oltre la difesa dei confini… cerca la pace… perseguila”. Al Sinodo valdese metodista, monsignor Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione per l’Ecumenismo e il dialogo inter-religioso della Cei, ha parlato di ‘impegno profetico’ delle chiese che, nell’impegno a favore dei migranti, nei corridoi umanitari, manifesta la visione di un mondo rinnovato.

Dalla chiesa di Westfalia il saluto di Annette Kurschus ha puntato il dito contro “i populismi di destra che giocano sulle paure delle persone” e sacrificano la dignità umana a interessi nazionali. La parola profetica che non cavalca la paura fomentando l’odio passa, dunque, attraverso lo status confessionis. Il documento di Bangkok avvierà una discussione nelle comunità. La scomunica non taglierà con l’accetta i buoni e i cattivi, il buon seme dalla zizzania. E se nel Sinodo si sono espresse opinioni che volevano posizioni più radicali, sono state stoppate.

Questa volta il nemico è meno chiaro, meno esplicito di come furono Hitler e i razzisti sudafricani, e soprattutto si è diffuso in modo strisciante. Corre sui social, s’annida nelle angosce collettive, serpeggia nelle chiese, tra i credenti. E’ per questo che il Sinodo ha esortato le comunità tutte ad approfondire la piaga dell’odio con “spirito di ascolto reciproco e di franchezza evangelica”, prima di arrivare alla scomunica.