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La situazione delle donne nigeriane

Migranti: Nigeria/Italia, flussi e violenza di genere

8 Nov 2019 - Paolo Howard - Paolo Howard

La violenza di genere, che la Convenzione di Istanbul definisce come “qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale”, rappresenta oggi un tema caldo – verso il quale istituzioni, agenzie specializzatesocietà civile stanno orientando i propri interessi e le proprie azioni -, soprattutto se contestualizzato all’interno del già critico quadro dei flussi migratori e, in particolare, nel fenomeno della tratta degli esseri umani. Di donne e di ragazze.

Tutti i progetti e le ricerche in materia (Oim 2017, Save the Children 2018, Action Aid 2019) confermano le medesime rilevazioni e pongono le donne provenienti dalla Nigeria al centro di questa tematica. È vero che indagini recenti dimostrano come vittime di violenza lungo la rotta del Mediterraneo centrale non siano solo donne e ragazze, ma anche uomini e ragazzi, come emerge nella ricerca elaborata lo scorso marzo dalla Refugee Women Commission.

Lo studio rileva tuttavia una differenza sostanziale: sebbene persone di entrambi i generi risultino vittime di diverse forme di violenza, solo per quanto riguarda donne e ragazze nigeriane è possibile tracciare uno specifico continuum della violenza dal Paese di origine a quello di destinazione. Si tratta del continuum della filiera criminale nigeriana, quello di un’organizzazione criminale dalla spiccata vocazione transnazionale.

La filiera criminale nigeriana
“In tale ambito l’organizzazione criminale controlla l’attività delittuosa in tutte le sue fasi, dal reclutamento fino all’invio delle donne nei Paesi al di fuori del territorio africano e alla messa su strada. Un processo criminale attuato attraverso modalità e fasi ben precise” ha denunciato la Direzione Investigativa Antimafia (Dia) nel suo ultimo Rapporto del luglio 2019, che sottolinea come sia “sempre presente il ricorso alla violenza per assicurare la tenuta associativa, strumentale allo scoraggiamento di eventuali spinte centrifughe di coloro che ricercassero posizioni autonomiste o che non volessero più far parte dell’organizzazione”.

Altrettanto conferma parte della letteratura: “La violenza fisica è sempre presente in potenza anche nel racket nigeriano, ma è utilizzata generalmente come dispositivo per scoraggiare ribellioni e punire chi ha tentato di sottrarsi al giogo delle maman (…) il racket nigeriano diventa violento con chi si ribella e possiamo ipotizzare che le ragazze che chiedono aiuto ai servizi siano anche quelle che hanno subito di più proprio in quanto potenziali ribelli” (Abbatecola 2018).

Le recenti operazioni della Dia confermano la complessità della rete criminale e dei traffici che gestisce, tra i quali la prostituzione forzata delle ragazze rappresenta solo una tra le principali forme di business, spesso tra loro interconnesse. Nel business della prostituzione la violenza rappresenta dunque lo strumento principe per esercitare il controllo. E’ violenza fisica. E’ violenza psicologica. Quella perpetrata direttamente dalla rete criminale assai raramente è violenza sessuale. Ma le donne e le ragazze che affrontano il percorso migratorio nelle tele della tratta sono anche vittime di abusi sessuali.

La schiavitù per debito
Nel Paese di origine le donne e ragazze reclutate, principalmente nell’Edo State, sono da subito vittime di violenza psicologica. L’inganno della madame, divulgatrice di false promesse di riscatto economico una volta giunte in Europa, le rende prigioniere della maledizione del rito juju perpetrato dal native doctor. La prospettiva dell’estinzione del debito contratto per affrontare il viaggio le conduce in una posizione di subalternità psicologica sotto lo scacco del rito juju, la cui violazione, in caso di ribellione, potrebbe provocare la morte dei propri cari.

Rispetto agli Anni Novanta e Duemila “il percorso via terra ha aumentato il tasso di indebitamento delle donne nigeriane”, un cambiamento che “vede coinvolte anche le cosche maghrebine, quelle libiche più delle altre. Il controllo nigeriano sembra interrompersi ad Agadez per poi rientrare in gioco in Italia” (Palmisano 2019). Da Agadez in poi il controllo esercitato dalla rete criminale nigeriana resta in sospeso.

La catena delle violenze
Nel deserto e presso i posti di blocco si registrano costantemente episodi di violenza ai fini di estorsione: è in questo contesto che le giovani sono per la prima volta vittime di violenza sessuale. Una volta giunte in Libia anch’esse sono costrette a mettere in sospeso le proprie vite, nella logorante attesa di essere liberate dai centri di detenzione ufficiali e non, dove diventano preda di abusi a livelli altissimi, tra cui stupri, sfruttamento e schiavitù sessuale, compiuti da funzionari del Dipartimento per la Lotta all’Immigrazione Illegale (Dcim), guardie, milizie, bande armate o contrabbandieri.

Sopravvissute al viaggio in mare, la violenza non si esaurisce all’arrivo nel Paese di destinazione, in Italia, dove la criminalità burattinaia riprende tra le proprie mani i fili delle giovani per iniziarle al teatro della prostituzione forzata. E’ in questo nuovo contesto che le donne e le ragazze sono sottoposte nello stesso momento a diverse tipologie di violenza.

Psicologica, in quanto restano in balia della schiavitù da debito, il cosiddetto debt bondage, e sotto il ricatto del rito juju che, nonostante l’editto di Ewmare II, l’Oba del marzo 2018, sembra avere riacquistato valore. Sessuale, poiché costrette a sottostare a gravi forme di sfruttamento su strada non solo per estinguere il debito, ma anche per riuscire a mantenersi, dovendo esse stesse provvedere all’affitto del posto letto, alle bollette, al cibo, ai vestiti e, talvolta, a pagare il prezzo anche per l’utilizzo del luogo pubblico di meretricio, cosiddetto joint. E, per la prima volta, anche fisica. Come detto, per la criminalità organizzata nigeriana l’uso della violenza fisica è sempre strumentale al mantenimento del controllo. Le ragazze non possono ribellarsi, altrimenti la madame le punisce fisicamente.

L’assenza di prospettive migliori
E’ un controllo totale. Psicologico, sessuale e fisico. L’aspetto più critico è l’incapacità di sottrarvisi. Quello delle giovani nigeriane è uno sfruttamento, una violenza, a tempo determinato: l’esempio della madame, ex vittima che ‘ce l’ha fatta’, motiva le ragazze e rende spesso il meccanismo di denuncia e protezione sociale poco attrattivo poiché, prima o poi, anche loro saranno in grado di estinguere il debito e liberarsi. E così, dopotutto, non sembra conveniente denunciare gli sfruttatori, rischiando la propria vita e quella dei propri cari nel Paese di origine.