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Anniversario: trent'anni fa

Muro di Berlino: ad Est, fermenta una profonda inquietudine

11 Nov 2019 - Massimo Congiu - Massimo Congiu

Sono passati trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino e un’inquietudine profonda percorre le società dei Paesi che un tempo stavano dall’altra parte della Cortina di Ferro. Un sondaggio condotto fra il 21 agosto e il 13 settembre scorsi dall’Open Society Foundation in Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Romania e Germania, conferma questo dato.

L’euforia e l’ingenuità
All’epoca della caduta dei regimi del Patto di Varsavia si assisté a manifestazioni di euforia nei Paesi interessati. Molta gente, da quelle parti, pensava, con una buona dose di ingenuità, che, nel giro di dieci anni, avrebbe raggiunto gli standard di vita dell’Austria, cosa poi non avvenuta. Il fatto provocò una forte delusione, cui si aggiunse lo choc per i risvolti immediati dei cambiamenti in termini di politica economica. Molte aziende statali vennero chiuse in quanto non compatibili con il nuovo corso e i tassi di disoccupazione aumentarono notevolmente. Ci furono anche fenomeni di grande sofferenza sociale, soprattutto nell’ambito di comunità particolarmente vulnerabili, come quelle Rom.

In seguito le cifre migliorarono ma con la svolta avvenuta all’epoca vennero create le premesse per evidenti squilibri sociali tuttora più che visibili in Paesi guidati a lungo dai rappresentanti dei vecchi regimi, riciclatisi e impegnati all’epoca a mettere le loro competenze, in termini di gestione del potere, al servizio di nuovi obiettivi.

Dopo l’integrazione in Nato e Ue, una nuova chiusura
Dopo i processi di integrazione nella Nato e nell’Ue, i Paesi interessati vivono oggi nuove chiusure rispetto all’Occidente: chiusure differenti da quelle di un tempo, ma non meno efficaci, per certi versi, a circoscrivere un mondo diverso per peculiarità e per vissuto storico. Gli Stati in cui si è svolto il sondaggio sono già da tempo membri a pieno titolo dell’Ue, ma in essi, a livello popolare, cresce la diffidenza nei confronti di quell’Occidente visto come ricco e sfruttatore. Così, il risultato della ricerca fa presente una serie di fenomeni quali populismo in aumento, rigurgiti nazionalisti e democrazia messa in pericolo da politiche autoritarie e irrispettose di libertà fondamentali.

I due esempi più chiari di questa situazione critica sono forniti dall’Ungheria e dalla Polonia, per i quali le istituzioni europee hanno deciso di avviare le procedure volte all’applicazione dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona. Il motivo di questa decisione risiede nel fatto che, secondo Bruxelles, i governi di questi due Paesi hanno attuato politiche che minacciano seriamente lo stato di diritto. Si tratta di politiche concepite dagli esecutivi in questione per realizzare un controllo sempre più forte su settori di grande importanza, come quelli della stampa e della magistratura, e che hanno indebolito il ruolo della Corte costituzionale.

Il sovranismo degli ex Paesi comunisti
La risposta dei sistemi messi sul banco degli imputati è che ogni Stato ha il diritto di difendere la sua sovranità ed è quindi libero di applicare sul suo territorio i provvedimenti che ritiene più opportuni. Per il premier ungherese Viktor Orbán l’Europa occidentale e quella centro-orientale sono due mondi diversi caratterizzati da ideali e norme differenti. A suo avviso il conflitto esistente fra le parti è dovuto al fatto che Bruxelles vuole imporre le sue regole ai Paesi una volta retti dal cosiddetto socialismo reale. L’unico modo di uscire da questa situazione è, per lui, che l’Occidente inizi a rispettare le scelte di Ungheria, Polonia e Stati vicini.

Non sono pochi i cittadini di questi Paesi che condividono tale punto di vista. A essi, e ai governi di orientamento sovranista, si oppone quella parte di opinione pubblica che ritiene pericolosa la strada intrapresa da Budapest e Varsavia, in particolare, e si esprime a sostegno dei valori europei, della democrazia e dell’apertura. L’inchiesta mette inoltre in evidenza una serie di percezioni negative che fanno dubitare diversi intervistati della trasparenza dei meccanismi elettorali e creano timori per la tenuta democratica dei Paesi di riferimento, quale che sia l’idea che ognuno di loro ha della democrazia.

I dubbi sull’economia di mercato
Molte delle persone sentite non ritengono particolarmente positiva l’esperienza dell’economia di mercato e la cosa non deve meravigliare. È vero che i Paesi monitorati dall’indagine vantano buoni tassi di crescita economica, ma non è sbagliato dire che in essi questa crescita è un vantaggio per pochi e che la distribuzione della ricchezza esistente e prodotta è tutt’altro che equa. Salta all’occhio anche l’indignazione espressa nei confronti dei fenomeni di corruzione diffusi e così rilevanti da coinvolgere il mondo degli affari e della politica ad alti livelli, vedi anche i recenti casi riguardanti la Slovacchia e le manifestazioni di protesta svoltesi lo scorso giugno a Praga contro il governo Babiš accusato, appunto, di corruzione.

Il sondaggio rivela anche i timori legati all’emigrazione dei giovani verso i Paesi occidentali. Il fenomeno è reale e ha portato diversi Paesi dell’area in questione a una certa scarsità di figure qualificate. Un esempio è fornito dall’Ungheria di oggi che lamenta lacune di questo genere in vari settori e appare intenta a dar luogo ad aperture, magari in sordina, a manodopera asiatica. Il tutto mentre Orbán continua la sua crociata anti-immigrazione in nome della difesa dei valori culturali europei.