IAI
Torna ipotesi alternanza Netanyahu - Gantz

Israele: l’uccisione di al-Ata a Gaza riapre i giochi per il governo

15 Nov 2019 - Nello del Gatto - Nello del Gatto

Un’operazione militare chirurgica, che porta molteplici risultati politici positivi. In mezzo, troppe vittime civili: una sarebbe già eccessiva, ma i 32 morti di Gaza, compresi dei bambini, sono un bilancio assurdo in questa che continua a essere una situazione assurda. Questa la sintesi di quanto è successo nei giorni scorsi in Israele e a Gaza e continua ad accadere. Un intreccio tra omicidi mirati quello di Bahas Abu al-Ata in primis, operazioni di guerra e di guerriglia, la formazione di un governo, la divisione tra fazioni militari antagoniste.

Il ritorno di Netanyahu in prima fila e in prima linea
Il filo conduttore di tutto quanto è sicuramente Benjamin Netanyahu. L’uomo che ha servito più a lungo in Israele dalla sua fondazione come premier ha trovato il modo, in pochi giorni, di ritornare centrale nel progetto politico, amministrativo e internazionale del suo Paese. Dopo che non era riuscito a formare il governo e che il presidente Rueven Rivlin aveva dato l’incarico al suo rivale, il centrista Benny Gantz, in molti – troppi – lo avevano dato per spacciato, anche per l’incombente formulazione di accuse giudiziarie a suo carico. Invece Netanyahu, come una fenice, risorge, anche se le ceneri sono quelle di una battaglia, consumatasi da martedì a oggi a Gaza e ancora in corso.

Alle prime luci dell’alba di martedì, dopo aver ricevuto il via libera dal premier Netanyahu, che in quel momento era ancora in carica (avrebbe lasciato, come da accordi, di lì a qualche ora, ma non dopo aver condotto l’operazione e la successiva trionfale conferenza stampa), un aereo delle forze di sicurezza israeliane, in un’azione congiunta con la sicurezza interna, lo Shin Bet, ha ucciso Baha Abu al-Ata, leader della Jihad Islamica Palestinese (Pij) a Gaza: un’operazione militare chirurgica, uno di quegli omicidi mirati che hanno fatto la storia e alimentato storie e leggende sui servizi segreti israeliani.

Chi era il capo della Jihad Islamica Palestinese
L’uomo era da tempo sul taccuino della difesa israeliana. Il suo nome era emerso già diversi anni fa come esponente di primo piano delle brigate di Al Quds, il braccio militare della Jihad Islamica Palestinese, il gruppo che, legato all’Iran, in qualche modo contende ad Hamas il controllo della Striscia.

Per i vertici dell’esercito israeliano, Abu al-Ata era “una bomba a orologeria” pronta ad esplodere. Ci sarebbe stato lui dietro il lancio di razzi su Israele delle scorse settimana, così come c’era lui dietro i lanci degli ultimi mesi, anche quello a settembre nel luogo dove Netanyahu stava per tenere un comizio elettorale. Secondo fonti dell’esercito, la richiesta di colpire Abu al-Ata era già stata avanzata diverse volte, ma i vertici dell’Israeli Defence Force si erano sempre opposti, non volendo tornare alla stagione degli attacchi mirati.

Il comandante delle brigate di Al-Quds è stato colpito a casa sua, nel sonno, alle quattro del mattino; nell’attacco è morta anche sua moglie. In un altro attacco, alla stessa ora, a Damasco, nei pressi dell’ambasciata libanese, è stata colpita l’abitazione di Akram al-Ajouri, l’uomo che per conto della Jihad Islamica Palestinese tiene i contatti con l’Iran. Non sono chiare le sorti dell’uomo, ma è certo che sono stati uccisi il figlio e una guardia del corpo.

Israele nelle ore successive ha anche minacciato di uccidere, sempre nella capitale siriana, Ziad al-Nakhla, segretario generale e leader della Pij.

La risposta della Jihad islamica agli attacchi mirati e la ritorsione
La risposta della Jihad islamica non si è fatta attendere: oltre 400 razzi sono stati lanciati dalla Striscia sulle città israeliane in due giorni, obbligando più di un milione di persone a ricorrere ai rifugi. Le sirene sono risuonate in molte città e, per la prima volta dal 2014, cioè dall’operazione ‘scudo protettivo’ contro Gaza, le scuole e gli uffici sono stati chiusi a Tel Aviv su ordine dell’Idf.

Come contro risposta, Israele ha operato diversi raid su Gaza , uccidendo almeno 32 persone, tra cui anche un altro comandante militare della Jihad Islamica, Khaled Faraj. Giovedì mattina, grazie alla mediazione egiziana, è stata firmata una tregua, durante la quale, nella notte tra giovedì e venerdì qualche razzo è stato comunque lanciato contro Israele che ha risposto.

Mentre dalla Jihad Islamica Palestinese hanno fatto sapere che “è stata passata la linea rossa”, spingendo l’esercito israeliano a ribadire di essere pronto a difendersi, Hamas, che controlla la striscia dal 2007, ha  detto che l’uccisione del leader delle brigate di al Quds non passerà senza risposta. Ma non ha annunciato nulla.

Gli equilibri nella Striscia tra Hamas e i ‘cani sciolti’
In verità, Baha Abu al-Ata era un problema anche per loro. L’uomo ha rappresentato il suo movimento nei diversi incontri al Cairo, insieme ai vertici di Hamas, sulla situazione di Gaza. Da un lato, Abu al-Ata dichiarava di volere rispettare la tregua con Israele come Hamas; dall’altro, però,  si era dato da fare con diversi attentati per tenere alta la tensione in Israele.

Hamas, che gestisce anche politicamente e amministrativamente la Striscia, negli ultimi tempi aveva scaricato la responsabilità di molti attacchi contro Israele proprio sul suo gruppo. Molti osservatori hanno fatto notare che Hamas stava in qualche modo perdendo il controllo della striscia a favore di ‘cani sciolti’ che si associavano alla lotta armata di diversi altri gruppi, tra cui le Brigate di Al Quds.

Hamas, che deve fare anche fronte alla decisione del Qatar di non concedere più finanziamenti alla Striscia, cento dollari la settimana per ogni famiglia, si trova in un vicolo cieco. I leader del movimento sanno bene che i soldi qatarini arrivano tramite Israele e che le rimesse vengono garantite da Tel Aviv solo se c’è una tregua, mal vista e rotta più volte dalla Pij.

Inoltre, nella non più remota (ma non si sa quanto vicina) ipotesi di elezioni in Palestina, Hamas non può perdere il controllo dei suoi. Ecco, quindi, perché è stata a guardare lo scontro tra Israele e la Pij; ecco perché non ha lanciato uno solo dei 400 razzi caduti su Israele; ecco perché avrebbe addirittura accolto positivamente, sia pure non ufficialmente, la conclusione della storia.

La Pij è legata a doppio filo, più di Hamas, all’Iran, una presenza troppo ingombrante per portare avanti i progetti su Gaza. Su questo sono stati chiari anche i mediatori egiziani, gli unici che, in questo momento, garantiscono per gli esponenti di Hamas, che qualcuno ha definito, dopo questi ultimi accadimenti, gli Hezbollah israeliani. Certo, Israele per colpire Gaza e un obiettivo importante come al-Ata non ha bisogno dell’autorizzazione di Hamas. Ma è altamente improbabile che a Gaza qualcuno del movimento non sapesse e non abbia poi festeggiato.

Una svolta politica in Israele
L’uccisione di Abu al-Ata, oltre che per Hamas, è stata una svolta politica per Israele, che ancora vive un momento di stallo non riuscendosi a formare un governo dopo le elezioni del 17 settembre. Con l’attuale situazione a Gaza, la possibilità di un governo di minoranza con i partiti arabi è esclusa, mentre è invece altamente probabile che il premier incaricato, l’ex generale Benny Gantz (che nel 2014 guidò l’operazione contro Gaza), voglia condividere il peso di questa situazione con Netanyahu, in un governo di coalizione nel quale ci sia la rotazione tra due premier.

Mercoledì 20 scade il mandato esplorativo che il presidente Rivlin ha dato a Gantz per formare un nuovo governo, anche di minoranza, dopo avere scartato l’ipotesi di un governo di coalizione con Netanyahu. Ma gli ultimi eventi rimettono fortemente in gioco questa ipotesi, con la formula della rotazione tra i due partendo da Netanyahu.

Il presidente-pontiere Rivlin sta tenendo in queste ore frenetici colloqui per evitare che il Paese vada alle terze elezioni consecutive. Sin dal giorno dopo il voto di settembre, Rivlin ha chiesto a Blu e Bianco e al Likud, i partiti rispettivamente di Gantz e di Netanyahu, di sedere insieme in un governo di coalizione a leadership alternata.

La rotazione della discordia
Il problema era chi dovesse cominciare. La proposta di Rivlin era di far cominciare Netanyahu, che si sarebbe poi preso un periodo sabbatico per il processo a suo carico. 
Gantz e il suo partito avevano respinto questa ipotesi, forti anche dell’appoggio dei partiti arabi, che ora, però, dopo i fatti di Gaza, non c’è e non sarebbe neppure opportuno.

Adesso, l’ex generale sarebbe anche disposto ad accettare la rotazione e a cominciare come vice-premier, ma il periodo sabbatico di Bibi dovrebbe cominciare subito, alla formulazione formale dell’accusa nei suoi confronti, prevista per il 25 novembre. Il Likud, invece, fissa l’inizio del periodo sabbatico all’eventuale condanna.

Avigdor Lieberman, leader del partito russofono, si è detto d’accordo con il periodo sabatico, senza dare date. Le prossime ore saranno decisive. E’ probabile che Rivlin sfrutti la possibilità che la legge israeliana gli dà di attendere altri giorni, nei quali qualsiasi parlamentare può avanzare proposte per un governo, per convincere le parti ad accettare e perfezionare la soluzione della rotazione tra i due premier, non nuova nella storia democratica di Israele.

In ogni caso, in ogni scenario, Netanyahu, fenice poco araba, dopo essere risorta, sarà ancora lì, a dettare il ritmo e a condizionare le scelte del Paese.