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Macron e il rilancio della difesa europea

Difesa: la Nato non è in coma e l’Ue non è un fantasma

14 Nov 2019 - Alessandro Marrone, Gaia Ravazzolo - Alessandro Marrone, Gaia Ravazzolo

Poiché gli Stati Uniti abbandonano gli europei e della difesa collettiva Nato non ci si può fidare, l’Europa deve farsi potenza militare mondiale per non ‘scomparire geopoliticamente’: questa l’essenza della visione geopolitica espressa dal presidente francese Emmanuel Macron all’Economist, solo in parte sbagliata.

Il surrealismo francese e la realtà
Macron ha affermato che l’Alleanza atlantica è “in uno stato di morte cerebrale” perché gli Stati Uniti non hanno coordinato con gli alleati il ritiro delle proprie truppe dalla Siriadove operavano su base nazionale senza alcun coinvolgimento Nato. Un’accusa surreale da parte del presidente del Paese che nel 2011 ha deciso di bombardare la Libia senza coordinarsi con alcun Paese della Nato o dell’Ue, e in particolare con l’Italia. Tale azione, infatti, fu ben più dannosa per la sicurezza europea dal momento che ha causato il caos libico degli ultimi otto anni.

Al di là del surrealismo, resta il fatto che gli Stati Uniti stanno cercando, sin dai tempi del pivot asiatico di Barack Obama, di abbandonare il Medio Oriente e il Nord Africa, ma non l’Europa. La presenza militare statunitense nel Vecchio Continente è cresciuta costantemente dal 2014, soprattutto durante l’Amministrazione Trump, in termini di uomini, assetti, fondi e basi, dal Baltico al Mar Nero, nel quadro della difesa collettiva Nato e di accordi bilaterali come quello con la Polonia.

Vi è la consapevolezza tra le due sponde dell’Atlantico, ma apparentemente non sulla Senna, che solo un Occidente unito può combinare deterrenza e dialogo con Mosca, evitando il conflitto e cercando nel medio-lungo periodo una soluzione diplomatica per la sicurezza pan-europea. Questa è d’altronde una delle lezioni che dovrebbe ricordare il 30mo anniversario della caduta del Muro di Berlino.

La necessità degli Stati Uniti per la sicurezza europea …
Se i Paesi europei dovessero colmare il gap di capacità militari lasciato dagli Stati Uniti per mantenere l’attuale livello di deterrenza verso la Russia, secondo un recente studio dell’Iiss dovrebbero spendere, in aggiunta agli attuali bilanci della difesa, tra i 288 ed i 357 miliardi di dollari.

Una cifra che né i governi né i cittadini europei sono disposti a investire e che da sola basta a fugare le velleità di forze armate europee in grado, nelle parole ambigue di un precedente discorso di Macron, di difendere l’Europa al tempo stesso da Russia e Stati Uniti. Per non parlare dell’impossibilità per l’arsenale nucleare francese, circa un ventesimo di quello statunitense o russo, di offrire un ombrello di sicurezza comparabile a quello Nato rispetto alle minacce di Mosca.

In altre parole, senza gli Stati Uniti e l’Alleanza atlantica i Paesi europei sarebbero ben più facile preda delle pressioni e coercizioni russe, nonché di quelle cinesi. E tra due regimi stabilmente autoritari a Est e una grande democrazia occidentale temporaneamente mal messa a Ovest, la scelta dell’Europa non può che essere atlantica, come ben sanno i Paesi dell’Europa orientale ancora memori dell’occupazione sovietica. Tanto più che con la Gran Bretagna in uscita dall’Ue, quest’ultima perde circa un quarto del potenziale contributo dei suoi Paesi membri in termini di capacità militari, investimenti nella difesa e base industriale e tecnologica.

… e il percorso verso un’Europa più autonoma e strategica
Detto questo, una parte dell’appello di Macron affinché l’Europa diventi più autonoma e strategica è sicuramente fondato. Di fronte a sfide geopolitiche sempre più complesse, l’Ue si scopre vulnerabile e disfunzionale e la soluzione potrebbe e dovrebbe essere proprio il rilancio della difesa europea.

Le basi ci sono. Nel 2017, nel complesso, gli Stati Ue hanno speso circa 214 miliardi di euro nella difesa, posizionandosi dietro agli Stati Uniti e davanti alla Cina, sebbene il superamento da parte cinese secondo i trend attuali è previsto già nel 2025. Dal canto suo, l’industria europea dell’aerospazio e della difesa nel 2017 ha fatturato oltre 228 miliardi di euro ed occupato circa 865 mila addetti.

Tuttavia, a differenza di quanto diceva Totò, non è la somma che fa il totale. Ovvero, la potenza militare realmente esprimibile dai singoli Paesi Ue è molto minore di quanto potrebbe essere con una vera integrazione politico-militare. La missione non è certo semplice, considerata la coesistenza di interessi di sicurezza molto diversi all’interno dell’Unione, con alcuni Stati concentrati sulla difesa territoriale contro le minacce ad Est e altri più impegnati verso le minacce alla sicurezza provenienti da Africa e Medio Oriente.

A ciò si aggiunge un ventaglio di culture strategiche nei Paesi membri che vanno dalla neutralità all’interventismo ad ampio spettro. Le larghe differenze di capacità militari, e di investimenti nella difesa, e le pulsioni sovraniste che vedono la soluzione dei problemi a livello nazionale piuttosto che europeo, sono ulteriori fattori con cui fare i conti.

Soltanto attraverso un progressivo abbandono dell’unilateralismo degli Stati-nazione europei e lo sviluppo di sinergie l’Europa della difesa può diventare un obiettivo realizzabile, seppur ambizioso. In questo percorso, la cooperazione con la Nato è necessaria, non solo per assicurare la sicurezza e difesa dell’Europa, ma soprattutto per rassicurare i tanti Paesi europei che non vogliono dovere scegliere se affidare i propri interessi di sicurezza esclusivamente all’Unione o all’Alleanza, essendo peraltro membri di entrambi.

I destini di Ue e Nato sono interconnessi e il loro approccio alla difesa deve tendere alla complementarietà, non alla sovrapposizione di competenze. Non a caso è stato avviato nel 2016 un partenariato strategico, riconfermato nel 2018, con obiettivi concreti finalizzati a rafforzare la collaborazione di entrambe in molteplici ambiti: contrasto di minacce ibride, cooperazione operativa, cybersecurity, sviluppo di capacità di difesa, industria e ricerca, esercitazioni, sostegno alla stabilizzazione dei Paesi partner. Questo ha portato al lancio di 74 azioni in un’ottica di inclusività e reciprocità, nel pieno rispetto dell’autonomia decisionale di entrambe le organizzazioni, con un maggiore dialogo e scambio di informazioni, formale e informale, tra gli staff dei due soggetti.

La difesa europea: Bismark e Cavour vs Napoleone
In questo contesto è necessario un crescente impegno delle istituzioni Ue, che negli ultimi anni è aumentato sia a livello di pensiero strategico con la European Global Strategy, che di cooperazione militare in ambito Pesco. I finanziamenti comunitari hanno fatto per la prima volta capolino, con 590 milioni nel 2018-2020, 13 miliardi di euro nei prossimi sette anni per lo European Defence Fund e circa 14 miliardi per lo European Peace Facility, fondi destinati alla creazione di concrete capacità militari in un’ottica di efficacia, efficienza e incremento dell’interoperabilità. Se messi a sistema con le iniziative Ue, anche forum intergovernativi come la European Intervention Initiative hanno una loro utilità e valore.

Tutti questi elementi, nonché le misure per una standardizzazione dell’addestramento (come il Military Erasmus), rappresentano passi concreti verso la creazione non di un ‘esercito europeo’, da molti definito irrealizzabile, ma – come auspicato anche da Ursula von der Leyen quando era ministro della Difesa tedesco -, di un ‘esercito degli europei’, ovvero di una pragmatica cooperazione e integrazione che ottenga risultati in termini di capacità militari impiegabili in ambito Ue e Nato, per gli interventi nel vicinato e per la difesa collettiva.

Cooperazione e integrazione che renderebbero l’Unione più autonoma e strategica, sostenendo però anche l’alleanza transatlantica fondamentale per l’Europa. Un equilibrio difficile quanto necessario e molto in linea con il tradizionale e bilanciato approccio italiano alla sicurezza euro-atlantica. Se è vero, come sostiene Macron, che l’Europa è sull’orlo di un precipizio, allora servono più dei Bismark e dei Cavour e meno dei Napoleone.