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Tra elezioni e proteste

America Latina: voti e non solo, nuovo giro a la izquierda

2 Nov 2019 - Raffaele Piras - Raffaele Piras

L’America Latina ha assistito nel corso degli ultimi mesi a un netto cambio di tendenza, ulteriormente confermato dalle recenti vittorie – elettorali e non – della sinistra. Le proteste in Ecuador e Cile, così come il trionfo di Alberto Fernández in Argentina e la rielezione di Evo Morales in Bolivia, indicano la riaffermazione di un’agenda progressista estesa a livello regionale.

La regione latino-americana si configura da sempre come laboratorio politico e sociale. Lo fu inizialmente in Argentina con Juan Domingo Perón e la sua terza via; lo fu a partire dagli Anni Ottanta, quando gli economisti cileni formatisi a Chicago (i Chicago Boys) portavano a compimento ricette economiche liberali che sarebbero poi state esportate altrove; e lo è stato di nuovo a partire dagli Anni Novanta, quando governi di sinistra hanno cominciato a intraprendere politiche progressiste in quasi tutto il Sudamerica: la presa del potere di Chávez in Venezuela nel 1999, la rivolta di Buenos Aires nel 2001, la nascita del movimento dei cocaleros boliviani, dei contadini Sem Terra in Brasile e la destituzione di Lucio Gutierrez in Ecuador nel 2005 diedero inizio al cosiddetto giro a la izquierda del subcontinente.

Crisi dei progressisti e ritorno al potere
Il recente crollo delle forze di sinistra in Argentina – con l’elezione di Mauricio Macri nel 2015 – e in Brasile – con l’elezione di Jair Bolsonaro sul finire del 2018 – ha tuttavia interrotto il ciclo progressista, in un quadro ulteriormente aggravato dalla difficile situazione di Bolivia e Ecuador.

In Ecuador, l’attuale presidente Lenín Moreno ha inaspettatamente preso le distanze dalla linea politica tracciata dal precedente governo di Rafael Correa (di cui pure era stato vicepresidente), basata sul ruolo attivo dello stato e su massicci investimenti pubblici. In Bolivia, il presidente indio Evo Morales, danneggiato dalla decisione di ricandidarsi per un quarto mandato, ha perso buona parte del consenso.

Ciononostante, i recenti avvenimenti che hanno interessato l’America Latina dimostrano un cambio di tendenza politica esteso a livello regionale.

Le piazze di Ecuador, Bolivia e Cile
In Ecuador l’annuncio di un piano di riforme economiche strutturali da parte di Moreno ha scatenato dure manifestazioni di protesta nelle più grandi città del Paese. Il paquetazo, voluto dal Fondo monetario internazionale (Fmi) in cambio dell’attivazione di una linea di credito di 4,2 miliardi, prevedeva tra le altre cose la soppressione del sussidio statale sul carburante. I manifestanti, guidati dagli indigeni, dopo due settimane di scontri con le forze dell’ordine nei territori di tutto il Paese, sono riusciti ad ottenere un negoziato con il governo, che ha ceduto e si è trovato obbligato a sostituire il decreto di riforma prendendo atto del deciso rifiuto popolare del ritorno alle ricette neoliberali dell’Fmi.

In Bolivia, seppur tra varie contestazioni, il 24 ottobre Morales ha ottenuto un quarto mandato, distaccando di oltre 10 punti il leader dell’opposizione Carlos Mesa e garantendo in questo modo continuità alle politiche di interventismo statale portate avanti sino ad ora. La rielezione di Morales ha dato luogo a contestazioni diffuse nei maggiori centri del Paese e portate avanti principalmente – a differenza di quanto contemporaneamente in corso in Ecuador e Cile – da quelle fasce più agiate della popolazione, le quali percepiscono i propri interessi intaccati dalle politiche governative. Tali contestazioni, che hanno spinto il presidente alla dichiarazione dello stato di emergenza, sono tuttavia fortemente contrastate dai numerosi sostenitori di Morales, che si oppongono a quello che è accusato di essere un golpe della destra benestante.

In Cile sono ancora in corso le violente proteste che chiedono le dimissioni del presidente Sebastián Piñera e l’istituzione di un’Assemblea costituente. Generata dall’ennesimo aumento del prezzo del biglietto della metropolitana, la protesta ha gradualmente coinvolto le fasce di popolazione più colpite dal tendenziale aumento del costo della vita. Queste hanno esteso le proprie rivendicazioni alla lotta contro le disuguaglianze del Paese – le quali affondano le radici nel regime di autoritarismo liberista di Augusto Pinochet – e non sembrano volersi accontentare dell’agenda sociale promessa dal presidente né dal rimpasto di governo effettuato. E Piñera annuncia intanto che Santiago del Cile non ospiterà, come previsto, la Cop25 sul clima né il vertice Apec sulla cooperazione economica asiatico-pacifica.

Le elezioni in Argentina e Uruguay
In Argentina, il peronista Alberto Fernández si è imposto sul conservatore Macri, che paga in questo modo la decisione di tornare a politiche di stampo neoliberale e su cui ha pesato il malcontento per la crisi economica che ha trafitto il Paese e costretto anche qui all’intervento dell’Fmi con il prestito più consistente mai concesso dall’organismo internazionale. La netta affermazione del Frente de Todos kirchnerista alle presidenziali del 27 ottobre scorso – così come lo fu la significativa vittoria di Andrés Manuel López Obrador in Messico nel 2018 – è un’ulteriore spinta propulsiva per il progressismo latino-americano, che anche in Brasile risulta in fase di ricomposizione contro la figura di Bolsonaro.

E c’è attesa in Uruguay in vista del ballottaggio del 24 novembre: a fine ottobre si è votato infatti anche qui, ma il candidato del Frente Amplio, centrosinistra al governo, non è riuscito a raggiungere il 50% dei consensi e a evitare il ballottaggio. Il centrodestra si è intanto organizzato per andare unito al secondo turno e Luis Lacalle Pou potrebbe diventare presidente, facendo registrare a Montevideo uno stop nel giro a izquierda dell’America Latina.

Area dagli equilibri politici ancora in assestamento, l’agitazione che sta attraversando l’America Latina dimostra un generale rigetto delle politiche economiche neo-liberiste che hanno interessato la regione negli ultimi anni. Si configura così una situazione politica segnata da governi dichiaratamente di sinistra nella seconda e nella terza economia latinoamericana (rispettivamente Messico e Argentina), con un possibile spill-over nel resto dell’area e un potenziale ritorno al progressismo.

Foto di copertina © El Comercio/GDA via ZUMA Wire