Ue: Commissione europea, nomine e garanzie democratiche
L’Unione europea spesso è criticata perché ritenuta poco democratica. Le motivazioni più ricorrenti riguardano: i ridotti poteri del suo Parlamento; la sostanziale inesistenza di partiti politici a livello europeo; la distanza delle istituzioni dai cittadini e, infine, gli eccessivi poteri assegnati alla Commissione europea, considerata l’esecutivo dell’Unione ma dotata di natura tecnocratica.
Tutte osservazioni in parte condivisibili, tranne una: l’ultima.
Procedure e nomine
La Commissione europea non solo è un organo politico nel pieno senso della parola, ma la procedura attraverso la quale essa è nominata appare molto più convincente in termini di democraticità sostanziale di quelle seguite negli Stati membri per la formazione degli esecutivi nazionali. Una riprova ci viene da quanto sta accadendo in questi giorni con la nascente Commissione, diretta dalla tedesca Ursula von der Leyen.
In breve, la procedura di nomina dell’esecutivo europeo, prevista nell’articolo 17 del Trattato sull’Unione europea (Tue), si sviluppa in tre fasi. La prima, vede l’elezione del presidente designato da parte del Parlamento europeo, che si pronuncia su un candidato sottopostogli dal Consiglio europeo, il quale, tuttavia, è tenuto a proporlo alla luce dei risultati delle elezioni del Parlamento stesso. La seconda, riguarda l’individuazione dei commissari: tale compito spetta al presidente designato in accordo con il Consiglio e sulla base delle segnalazioni avanzate dagli Stati membri. La terza, e ultima fase, prevede una seconda deliberazione degli eurodeputati, chiamati a pronunciarsi sull’intero collegio dei commissari.
A completare il quadro, a partire dalla V legislatura europea (1999-2004), il Parlamento ha previsto nel suo Regolamento il meccanismo delle audizioni pubbliche dei candidati alla carica di Commissario, che da allora sono chiamati a presentare una relazione scritta e a rispondere alle domande formulate dagli europarlamentari prima di essere sottoposti al volto finale dell’Assemblea di Strasburgo.
Impegni e requisiti: strumenti di monitoraggio
Oggi le audizioni di candidati Commissari sono disciplinate nell’Allegato VII del Regolamento del Parlamento europeo, intitolato “Approvazione della Commissione e monitoraggio degli impegni assunti durante le audizioni”. Nell’Allegato è contemplata una procedura molto articolata volta a verificare il possesso dei requisiti previsti per ricoprire la carica di commissario. I candidati non devono trovarsi coinvolti in conflitti di interessi finanziari, devono possedere competenze generali relative al portafoglio assegnato, impegno europeo e indipendenza personale.
A vagliare la sussistenza di tali requisiti sono chiamate le Commissioni permanenti del Parlamento: la Commissione affari giuridici verifica l’esistenza di eventuali conflitti di interessi di ogni candidato; quindi, in base ai portafogli, le altre Commissioni permanenti sottopongono i futuri commissari ad una verifica scritta e orale sui rimanenti requisiti, valutando anche la visione generale sulla gestione dei portafogli e sulla cooperazione con il Parlamento.
Al termine delle audizioni, che sono pubbliche e disponibili su internet, le relazioni redatte vengono sottoposte alla Conferenza dei presidenti di commissione e alla Conferenza dei presidenti, organi collegiali di vertice del Parlamento. Sta a loro decidere se procedere con ulteriori audizioni o sottoporre l’intero collegio al voto dell’Assemblea parlamentare. Gli impegni assunti e le priorità enunciate durante le audizioni sono oggetto di esame da parte di ciascuna Commissione competente non solo nell’ambito della procedura di nomina, ma vengono tenute in considerazione per tutto il corso del mandato di ciascun commissario.
Si tratta di un meccanismo complesso, ma ben funzionante, che consente al Parlamento di esercitare un controllo effettivo sulla competenza e sugli orientamenti dei singoli componenti della Commissione; controllo che viene attuato sia prima che durante lo svolgimento delle funzioni dell’esecutivo europeo.
Che si tratti di uno strumento efficace, ce ne stiamo rendendo conto in questi giorni. I parlamentari europei, infatti, non hanno avuto timore di bocciare il candidato ungherese László Trócsányi e la rumena Rovana Plumb per conflitto di interessi e, addirittura, Sylvie Goulard – la favorita del presidente francese Emmanuel Macron – costretta a ritirarsi per sospetta non indipendenza e per eccesso di potere.
Le assemblee legislative negli esecutivi nazionali
Cosa accade invece con i governi degli Stati membri? In particolare, che ruolo esercitano le assemblee legislative nel vagliare e valutare la correttezza, l’affidabilità, la competenza e l’impegno dei componenti dei rispetti esecutivi nazionali?
Limitandoci al caso italiano (anche se sul piano sostanziale il quadro non muta molto, guardando agli altri Paesi della Ue), la marginalità del Parlamento nel processo di formazione del governo appare evidente. L’art. 92 della Costituzione si limita a prevedere che “il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i ministri”. La prassi costituzionale e i regolamenti parlamentari aggiungono poco o niente. Tanto che, addirittura, una volta prestato giuramento di fronte al presidente della Repubblica, il presidente del Consiglio e i ministri assumono le loro funzioni senza bisogno di ottenere la fiducia delle Camere, essenziale per la prosecuzione in vita del governo, ma non per la sua immediata costituzione.
In Germania e in Spagna il meccanismo è molto simile a quello italiano, mentre in Francia, dopo l’investitura presidenziale, non c’è neppure bisogno della fiducia parlamentare.
E’ chiaro, quindi, che negli ordinamenti nazionali, i Parlamenti, formati da rappresentati eletti direttamente dai cittadini, svolgono un mero ruolo di conferma politica di quanto deciso, in totale riserbo, dai capi partito. Preclusa ogni possibile valutazione ex-ante, l’azione parlamentare si esaurisce in un prendere o lasciare, che non consente di entrare nel merito dei requisiti e delle competenze personali dei candidati, né permette di valutare i programmi e le visioni sulle politiche che sono a loro affidate.