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Le posizioni dei protagonisti della crisi

Siria: Turchia/Usa, Trump e i curdi del Rojava

9 Ott 2019 - Laura Mirachian - Laura Mirachian

Con l’annuncio del 6 ottobre di ritiro militare dal nord siriano, il presidente Usa Donald Trump porta a compimento una strategia per il Levante già abbozzata ai tempi di Barack Obama. Vi aggiunge il tono sprezzante di chi definisce “una guerra ridicola” quella che ha fatto mezzo milione di morti e dieci milioni di rifugiati e il cinismo di chi abbandona combattenti alleati – i curdi – che hanno subito decine di migliaia di vittime per una causa comune.

Paese che vai atteggiamento che trovi
Ma di fatto, fin dagli albori della crisi si è registrata una divisione dei compiti tra Usa e Russia, presenza militare americana minima in Siria, più consistente in Iraq, e vice-versa. In Siria, si è così aperta una ‘autostrada’ per Mosca. Poi l’insediamento del sedicente Stato islamico, l’Isis, su entrambi i lati della frontiera ha costretto a cambiare i piani e i due protagonisti si sono trovati, sempre di fatto, a combattere gli jihadisti fianco a fianco, con i curdi quale utile fanteria per gli americani, e i pasdaran per i russi.

Diverso l’approccio della Turchia, che ha lasciato transitare i foreing fighters dalle proprie frontiere, scorgendo negli jihadisti un’opportunità di contrasto ai curdi (al costo di subire essa stessa qualche sanguinoso attentato). Quando Trump sbrigativamente dichiara l’Isis sgominato, per i curdi comincia la rincorsa a trattenere gli Stati Uniti in area, almeno le poche centinaia della base di Manbji, a garanzia di una prevedibile calata in forze di Ankara.

Indecisioni Usa e opportunismi turchi
Lo sbandamento tra le fila dell’Amministrazione statunitense, con l’uscita di scena di Jim Mattis e più tardi dell’inviato speciale anti-terrorismo Brett McGurk, ha creato un clima di incertezza. Che tuttavia non ha impedito, ma probabilmente favorito, una prima e una seconda offensiva turca tra il 2016 e il 2018, con l’occupazione militare dell’area di El Bab e di Afrin e conseguente sgombero dei curdi ad est dell’Eufrate. Con il beneplacito di Mosca.

Finché non è intervenuta un’intesa Washington-Ankara, di cui abbiamo avuto notizia solo attraverso la nota di protesta di Damasco dell’8 agosto – “la Siria rifiuta categoricamente l’accordo tra gli occupanti americano e turco sullo stabilimento di una cosiddetta zona di sicurezza nel nord…” -. Subito dopo, l’annuncio di Erdogan di una nuova offensiva “entro fine settembre”. E’ in ritardo di qualche giorno.

Gli scenari di Erdogan, cinici e inquietanti
Erdogan, ripiegando dal progetto originario di rimozione del presidente siriano Bashar al-Assad e di influenza estesa all’intera Siria,  non ha mai nascosto il suo obiettivo minimo: una zona-cuscinetto oltre frontiera per difenderla dai collegamenti tra curdo-siriani e curdi interni del Pkk, dislocandovi i rifugiati sunniti generosamente accolti negli anni e passibili di diventare longa manus di Ankara nella regione. Diversamente, questi rifugiati si potranno sempre scaricare  verso l’Europa per alzare il prezzo delle ‘compensazioni’ finora ottenute.

Peggio ancora, Erdogan potrebbe ipotizzare di scatenare in funzione anti-curda gli jihadisti dell’Isis detenuti in massa in approssimative prigioni curde (nell’ordine di migliaia, di cui centinaia di foreing fighters che nessuno vuole riprendersi e per i quali non è previsto alcun tribunale) e quelli ancora annidati nelle sacche della Siria orientale. Non sarebbe la prima volta che Erdogan utilizza gli jihadisti con tale obiettivo. Uno scenario inquietante, che verosimilmente la stessa Turchia avrebbe serie difficoltà a gestire.

I movimenti della Russia
E la Russia? Da tempo, prevedendo di non poter frenare le determinazione turca entro il cosiddetto ‘processo di Astana’, che scarsi risultati sta dando anche nell’area di Idlib infiltrata da jihadisti, e tantomeno di sostituirsi agli americani quale garanzia pro-curda in area, Mosca è andata adoperandosi per un avvicinamento di (selezionati) settori curdi a Damasco. Puntando sul fatto che storicamente gli Assad non hanno mai antagonizzato le comunità curde, semmai le hanno strumentalizzate contro l’Iraq di Saddam Hussein, e che Bashar non li ha mai combattuti nel corso di questa guerra.

L’operazione russa, tuttavia, non ha un chiaro riscontro nel formato del Comitato costituzionale deciso a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in settembre che, isolando gli jihadisti, dovrebbe procedere a riformare gli assetti siriani, dando spazio ai governativi, ai ribelli e a una compagine non meglio identificata di ‘indipendenti’. Segno che il destino dei curdi del Rojava è tutt’altro che deciso. Nel peggiore dei casi, conferma della ‘mano libera’ lasciata ad Erdogan. Nonostante l’integrità territoriale della Siria mille volte sancita nelle risoluzioni dell’Onu.

Trump tra riflessi elettorali e considerazioni internazionali
Trump ha preso la decisione di ritirare le truppe dalla Siria sfidando il Pentagono e larghi settori dell’Intelligence, ma non aveva previsto lo schieramento bi-partisan che sta componendosi al Congresso. Non è detto che riesca a darvi seguito. Ma nel frattempo, la credibilità degli Stati Uniti sta subendo un contraccolpo nel mondo. Cosa ha motivato il suo orientamento? E dove mai si collocherebbero i ‘limiti’ oltre ai quali dichiara l’intenzione di procedere ad ‘annientare totalmente l’economia’ turca?

Certo, Trump è guidato dal noto slogan ”America first” che ha impregnato le sue promesse elettorali. Ma si può escludere la considerazione che un recupero della Turchia, con il suo peso politico e militare in area (nonostante l’indebolimento conseguente ai noti eventi del 2016), può venire utile nel contesto della partita ben più prioritaria sull’Iran?

L’Ue e i patti con Ankara per i migranti
Tanto più opportuna la tempestiva reazione di Josep Borrell, che a novembre assumerà la responsabilità della politica estera e di sicurezza dell’Unione europea, nel rilevare che la decisione americana “minaccia l’integrità della Siria sancita dalle Nazioni Unite”: un richiamo all’obbligo di attenersi agli impegni multilaterali e a non tradire il consenso della Comunità degli Stati.

Finora l’Europa, alle prese con l’angoscia delle migrazioni, è venuta a patti con Ankara. Ma un’ulteriore de-stabilizzzazione del Levante, con l’apertura di un nuovo fronte, magari corredata da una riattivazione dell’Isis, potrà essere affrontata nel silenzio e nell’irrilevanza politica? L’Europa ha pagato un prezzo molto alto per questa crisi. Dovrà necessariamente cominciare ad incidere nella sua gestione, mettendo a frutto la sua forza geopolitica e normativa. A partire da qualche forma di protezione dei curdi sotto l’egida delle Nazioni Unite.