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Segni premonitori di ritiro Usa

Open Skies: per Trump, un altro trattato in via di estinzione

31 Ott 2019 - Alessandro Pascolini - Alessandro Pascolini

Il presidente statunitense Donald Trump ha espresso l’intenzione di ritirare gli Usa da uno degli ultimi accordi internazionali sul controllo degli armamenti sopravvissuti alla sua furia nomoclasta: il trattato Open Skies. Il trattato sui ‘cieli aperti’, in vigore dal 1° gennaio 2002, autorizza gli Stati parte a condurre voli di osservazione disarmati sui territori di altre parti.

Sappiamo dell’intenzione di Trump dalla lettera inviata il 7 ottobre dal presidente della Commissione Esteri della Camera, Eliot L. Engel, al consigliere per la Sicurezza nazionale Robert O’Brien, in cui esprime il sostegno della Commissione al trattato.

Il documento, negoziato fra la Nato e il Patto di Varsavia, vale fra 34 dei Paesi allora membri delle due organizzazioni: copre quasi tutta l’Europa, incluse Bielorussia, Russia e Turchia, oltre a Canada, Groenlandia e Stati Uniti; è di durata illimitata; prevede conferenze di revisione; e ha come depositari il Canada e l’Ungheria.

L’idea di un regime di voli di osservazione aerea disarmati per promuovere la reciproca fiducia fu suggerita dal presidente Dwight Eisenhower nel 1955 e ripresa da George Bush nel 1989. I partecipanti avrebbero volontariamente aperto il proprio spazio aereo su base reciproca, consentendo il sorvolo del loro territorio per rafforzare la trasparenza sulle attività militari, creare fiducia e facilitare la verifica degli accordi sul controllo degli armamenti.

Nell’incontro tra la Nato e il Patto di Varsavia a Ottawa il 12 febbraio 1990 venne esaminato il testo Open Skies: Basic Elements, predisposto dal Consiglio della Nato del dicembre 1989, assieme a una proposta di Canada e Ungheria. Ulteriori negoziati a Vienna nell’ambito dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) portarono alla firma del trattato il 24 marzo 1990.

Elementi del trattato Open Skies
Il trattato conferisce a ciascuna parte il diritto di condurre una “quota attiva” di voli di osservazione sulle altre parti e l’obbligo di accettare una “quota passiva” di sorvoli sull’intero proprio territorio.

La quota attiva di uno Stato non può superare la sua quota passiva e un singolo Stato non può richiedere più della metà della quota passiva di un altro Stato. L’allegato A specifica entrambe le quote annuali: 42 quote per Russia e Stati Uniti, 12 per i maggiori Paesi europei (Italia inclusa) e per gli altri Stati da 7 (Norvegia) a 2 (Portogallo). Il trattato autorizza le parti a formare gruppi e ridistribuire le proprie quote attive e ad avere un totale comune di quote attive e passive.

I voli di osservazione vanno condotti utilizzando aerei designati, dello Stato osservante o forniti dalla parte osservata, e richiedono un preavviso di almeno 72 ore; il piano di missione va presentato almeno 24 ore prima dell’inizio del volo e lo Stato osservato può proporre modifiche al piano stesso. La missione deve essere completata entro 96 ore dall’arrivo dello Stato osservante.

Vengono precisati gli aeroporti di partenza e la lunghezza massima del volo a seconda dell’aeroporto, a garantire la totale copertura dello Stato osservato: 5000-6500 km sulla Russia, 5000-6000 km sul Canada, 3000-4900 km sugli USA, 2100 km sull’Ucraina e fra 600 e 1700 km per i vari Paesi europei.

Sono specificati i tipi di sensori per l’osservazione: telecamere ottiche panoramiche e ad aggiustamento automatico delle immagini, videocamere con visualizzazione in tempo reale, dispositivi di scansione nell’infrarosso e radar ad apertura sintetica laterale. Una copia dei dati raccolti dall’osservante va fornita al Paese ospitante, ciascuno Stato riceve un rapporto di missione e può acquistare i dati raccolti.

Una “commissione consultiva per i cieli aperti” (Oscc) è responsabile delle questioni relative all’osservanza del trattato, prende in considerazione le domande di adesione ed espleta le misure tecniche e amministrative in riunioni plenarie mensili presso la sede dell’Osce a Vienna, conducendo i lavori per consenso.

Risultati e tensioni
Nel contesto del trattato sono stati effettuati circa 1500 voli di osservazione, un centinaio all’anno: in particolare 71 della Russia sugli Usa e 196 degli Usa sulla Russia, incluse delicate missioni dopo l’annessione russa della Crimea e nel 2018 dopo il sequestro russo di navi ucraine nel Mar Nero.

Come ogni altro trattato internazionale, anche Open Skies non è stato perfettamente rispettato, in particolare a seguito del raffreddamento dei rapporti fra i Paesi occidentali e la Russia. Già dal 2010 la Russia ha impedito voli sull’Ossezia meridionale e l’Abkhazia; e la Georgia si è opposta a ulteriori voli russi sul proprio territorio. Anche in reazione a una discutibile missione polacca, la Russia ha limitato a 500 km i voli consentiti agli Usa sull’enclave fortemente militarizzata di Kaliningrad. Gli Usa, a loro volta, hanno posto vincoli ai voli russi su strutture militari in Alaska e alle Hawaii. Lo scorso 20 settembre la Russia ha negato il sorvolo delle sue esercitazioni militari Centre-2019 “per ragioni di sicurezza”.

Sotto l’influenza del consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, prima che lasciasse l’incarico, negli Usa si sono andate intensificando critiche anche a questo trattato, che sarebbe di interesse solo per la Russia, dato che l’osservazione satellitare americana fornisce informazioni superiori a quelle aeree permesse dai “cieli aperti”. Così, nel maggio del 2018 l’Amministrazione americana ha bocciato la richiesta dell’aereonautica di sostituire i due obsoleti aerei OC-135 destinati alle missioni e il 13 agosto Trump ha sospeso i finanziamenti per il trattato finché “la Russia non sia in completa osservanza dei suoi obblighi”, motivazione foriera di precedenti affossamenti di accordi internazionali.

Analisti americani ritengono che l’attuale iniziativa di Trump sia un colpo di coda di Bolton: egli avrebbe preparato il documento che il suo successore Robert O’Brien avrebbe fatto firmare al presidente, senza consultare gli esperti diplomatici, militari e della sicurezza nazionale. Il documento di per sé non comporta l’immediato ritiro americano dal trattato, che prevede (articolo XV) un preavviso a tutte le parti di almeno sei mesi; finora non ci sono state iniziative in tal senso da parte del segretario di Stato Mike Pompeo.

Va ricordato che il trattato svolge un cruciale ruolo di garanzia di sicurezza per tutti i Paesi europei e contribuisce a creare una situazione di trasparenza e di stabilità nel nostro continente.

Infatti il maggior valore di Open Skies sta, più che nella raccolta dei dati, nella cooperazione internazionale che promuove, nel mantenimento di un foro multilaterale, l’Oscc, dove discutere dei problemi della sicurezza di ciascuno e anche negli stessi contatti umani dei diplomatici e degli equipaggi. Infine, Open Skies è uno degli ultimi strumenti internazionali di controllo degli armamenti ancora in vigore e la sua fine segnerebbe un ulteriore passo nella direzione di negare validità al processo negoziale verso il disarmo e potrebbe togliere valore alla stessa nozione di ‘legge internazionale’.