Migranti: soccorsi e sbarchi, un Patto per il Sar Mediterraneo
Le tragedie in mare di ogni giorno, anche quando avvengono lontano dalle nostre coste, trovano grande eco – mediatico, emotivo e giudiziario – nel nostro Paese. Non c’è evidenza che lo stesso accada in altri Stati del Mediterraneo come Grecia e Spagna. Scarso appare, sul tema, il coinvolgimento delle Nazioni Unite e ancora incerto quello delle nuove istituzioni Ue. Il vero problema è il nesso inscindibile che si è creato tra il soccorso in mare (Sar) e luogo di sbarco dei migranti salvati (Pos). Il Sar ha però un valore assoluto che non può essere condizionato da altre variabili. Ragionando in termini costruttivi, non dovremmo rinunciare all’idea di proporre un Patto per il Sar Mediterraneo.
Sar e Nazioni Unite
Lo scorso 3 ottobre l’Unhcr, tramite la rappresentanza regionale per il Sud Europa, ha dichiarato che “occorre ripristinare una piena capacità di ricerca e soccorso nel Mediterraneo”. E’ chiaro che tale auspicio, benché formulato nell’ufficio romano dell’Unhcr, non riguarda solo l’Italia, essendo stato espresso in termini generali per tutta l’area mediterranea di accreditamento. Ma le Nazioni Unite, oltre che evidenziare il problema, possono anche risolverlo?
L’Organizzazione marittima internazionale (Imo) – che è nel perimetro delle Nazioni Unite – ha un approccio tecnico alla questione, nel senso che è la custode dell’applicazione delle pertinenti convenzioni internazionali come quella di Amburgo del ’79, che prescrive gli obblighi degli Stati in materia di istituzione di zone e servizi Sar e di cooperazione reciproca. Null’altro, anche perché dell’Imo fanno parte Stati che hanno sensibilità differenti (si pensi all’Australia) verso il salvataggio dei migranti.
Quanto all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nella sua annuale Risoluzione sugli Oceani (documento di indirizzo sul diritto del mare), non va oltre un generico richiamo alle responsabilità che gli Stati hanno nello svolgere il servizio Sar e nel collaborare a tal fine fra di loro, secondo i principi sanciti dalla Convenzione sul diritto del mare.
C’è da dire, comunque, che il Consiglio di Sicurezza, nelle sue Risoluzioni sulla Libia, come la 2437 (2018) sul contrasto della tratta di migranti in mare, indica chiaramente la necessità di porre termine alla perdita di vite umane, anche se non emana disposizioni sul Sar.
Sar e Unione europea
Non dissimile l’approccio al Sar da parte dell’Ue che, tra l’altro, non ha competenza in materia e che sembra non volersene occupare – come evidenziato dai seguiti in Lussemburgo della riunione di Malta di settembre -, per la difficoltà di affrontare la spinosa questione del Pos e della ricollocazione delle persone sbarcate.
Tuttavia, può dirsi sia in atto una lenta presa di coscienza sull’esigenza di un maggior coinvolgimento. Dopo che il regolamento di Frontex del 2014 aveva affermato la priorità degli obblighi di soccorso, il Parlamento europeo, con la risoluzione del 2016 sulla situazione nel Mediterraneo, ha invitato gli Stati a rafforzare i servizi nazionali di soccorso.
Le nuove istituzioni Ue sembrano ora interessate al Sar e al ruolo di supporto che le Ong possono avere, fermo restando il loro rapporto diretto con i Paesi di bandiera.
Lo scorso 3 ottobre la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe) del Parlamento europeo ha inoltre effettuato un’audizione. In questa occasione, un rappresentante della nostra Guardia costiera, rivendicando il merito dell’Italia di aver salvato, con i suoi assetti militari e con i mercantili, dal 1991 un milione di persone, ha precisato, a proposito delle lacune del soccorso mediterraneo, che la Tunisia, oggi, non ha un’area Sar pur avendo ratificato la convenzione di Amburgo.
Disimpegno Sar
L’attività delle Ong nel Sar ha assunto rilievo parallelo rispetto al progressivo disimpegno degli Stati. Anche perché la nostra Guardia costiera ha ristretto la sua attività nel giugno 2018 all’area di competenza della Sar nazionale confidando in un’assunzione di responsabilità da parte libica.
La Spagna – che pur ambiva a presentarsi come paladina dell’accoglienza rimarcando la sua contrarietà alla nostra politica dei “porti chiusi” – dallo scorso agosto limita i suoi soccorsi alle acque territoriali, lasciando libero il Marocco di intervenire per riportare indietro i migranti salvati in alto mare. In contropartita, Rabat ha ricevuto cospicui finanziamenti da Bruxelles e Madrid per rafforzare controlli alle frontiere e capacità di soccorso.
Di fatto, di fronte a questo trend negativo e alla ridotta attività della Grecia, il Mediterraneo sta diventando una grande area di assistenza umanitaria in cui, più che il Sar pubblico, si pratica una forma di soccorso caritatevole con quel che ne consegue per la difficoltà di scegliere il Pos.
Patto Sar
Ora che l’Ue sta per maturare una diversa sensibilità per il Sar, è forse giunto per noi il momento di proporci alla guida di quei Paesi volenterosi che intendano collaborare tra loro per i soccorsi.
Lo spunto ci viene offerto da Alarm phone, gruppo di volontari che ricevono le chiamate di soccorso e le rilanciano ai servizi Sar nazionali del Mediterraneo (Libia compresa) e a quelli dei Paesi di bandiera delle navi Ong.
In sostanza, questo tipo di attività potrebbe essere gestita dai servizi Sar nazionali che intendano collaborare tra loro. Un Patto Sar/Mediterraneo potrebbe essere il primo embrione di un futuro accordo di collaborazione strutturata secondo i canoni della Convenzione di Amburgo da affiancare a quello sui ricollocamenti.
Per uscire dall’isolamento europeo che la condanna a vivere da sola le tragedie del mare, l’Italia ha tutto l’interesse a fare le prime mosse: tra esse vi è un accordo Sar con l’amica Tunisia le cui acque confinano con Lampedusa.
Tunisi, tra l’altro, è già compresa nel nuovo decreto degli Esteri che stabilisce, ai fini della protezione internazionale, i “Paesi di origine sicuri” come Algeria, Marocco, Ghana e Senegal.