Kosovo: vento di novità dall’ennesimo voto anticipato
Il Kosovo non è nuovo ad elezioni anticipate: nella seppur breve storia del Paese, infatti, nessun governo è riuscito a portare a termine i quattro anni di una legislatura. Questa volta a portare gli elettori alle urne anzitempo è stato il premier uscente Ramush Haradinaj che, il 19 luglio scorso, ha scelto di dimettersi dopo essere stato convocato dalla Corte speciale incaricata di indagare i presunti crimini dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uçk) durante e dopo il conflitto armato con le forze serbe nel 1999-2000.
Il 5 agosto c’è stato un tentativo non troppo convinto di cercare una nuova maggioranza in Parlamento, mossa peraltro fortemente criticata da molte forze politiche. Alla fine, il 22 agosto, il presidente Hashim Thaçi ha rotto gli indugi, convocando elezioni anticipate per domenica 6 ottobre.
Sono chiamati alle urne quasi due milioni di kosovari per una tornata elettorale il cui slogan ufficiale è “Votiamo per il nostro futuro”. Agli elettori spetta indicare i 120 deputati che siederanno nel Parlamento di Pristina fra i candidati di 25 partiti e quattro coalizioni pre-elettorali che hanno preso vita per rappresentare, oltre alla popolazione della comunità albanese, anche le tante minoranze: serbi, bosniaci, gorani, rom, turchi, ashkali ed egiziani.
È molto verosimile che all’indomani delle consultazioni non emergerà subito una nuova maggioranza di governo, che tradizionalmente viene raggiunta attraverso un lungo e faticoso processo di negoziato tra le forze politiche che hanno trovato rappresentanza in Parlamento.
Il sistema politico
Le dinamiche istituzionali del Kosovo hanno degli elementi peculiari: a causa della recente travagliata storia del Paese balcanico e della composizione variegata della sua popolazione, in Kosovo è stato istituito un sistema politico di “democrazia consociativa”.
Introdotto per garantire stabilità in un Paese con forti divisioni, questo sistema consiste nel forzare la condivisione del potere fra i vari gruppi etnici creando incentivi istituzionali per spingerli a collaborare piuttosto che a competere in maniera antagonista. In Kosovo, il meccanismo principale consiste nell’attribuzione di 20 dei 120 seggi alle minoranze: 10 alla serba, 4 a quelle rom, ashkali ed egiziana, 3 alla minoranza bosniaca, 2 a quella turca e un seggio ai gorani. Oltre ai seggi riservati, le minoranze hanno poi la possibilità di contendersi anche parte dei restanti seggi, assegnati con un proporzionale puro.
Questa ripartizione dei seggi rende di fatto necessaria la presenza dei partiti di minoranza all’interno delle coalizioni di governo, vista la difficoltà di raccogliere una maggioranza parlamentare escludendo i loro rappresentanti. I negoziati per la definizione della squadra di governo, spesso tra formazioni politiche con visioni del Paese lontane tra loro, sono rese ancora più difficili dal fatto che la Costituzione prevede che il premier incaricato possa essere unicamente espresso dal partito di maggioranza relativa.
Le incognite del voto della diaspora
Oltre ad essere frequenti, le elezioni politiche in Kosovo sono spesso segnate da irregolarità e contestazioni. Anche stavolta saranno presenti osservatori internazionali sul terreno, tra cui quelli inviati dall’Unione europea. Sia Vjosa Osmani, candidata premier per Ldk (la Lega democatica del Kosovo che fu del padre della patria Ibrahim Rugova) sia Albin Kurti, leader di Vetëvendosje (Vv, principale forza di opposizione alle scorse elezioni), hanno già denunciato compravendita di voti in molti collegi.
Altri aspetti delicati vanno tenuti d’occhio: nello specifico il voto dall’estero e quello delle minoranze. Le procedure di voto dall’estero sono complesse e scoraggiano la partecipazione dei tanti kosovari emigrati in questi anni. Una situazione che il precedente esecutivo ha trascurato, forse anche perché spesso i kosovari all’estero hanno votato massicciamente per l’opposizione: nel 2017, ad esempio, la maggioranza assoluta dei voti esteri è andata a Vetëvendosje. Parliamo di numeri più significativi di quanto si possa pensare e che possono spostare gli equilibri in Parlamento anche a causa della bassa affluenza alle urne: nel 2017 la partecipazione si fermò al 44% degli aventi diritto (circa 770mila votanti). Quest’anno il numero dei kosovari all’estero che hanno svolto le procedure per registrarsi e votare è sensibilmente aumentato. Visto il timore di irregolarità, è stato deciso che le schede provenienti dalla diaspora saranno custodite dalla polizia.
Le preoccupazioni legate alle minoranze, in particolare quella serba, sono invece due: una interna ed una esterna. I rappresentanti delle minoranze si sono lamentati del fatto che per poter votare è necessario disporre di una carta d’identità kosovara. Molti serbi del Kosovo però non ne possiedono una, e questo rischia di escludere molti di loro dal voto.
C’è poi l’interferenza del governo serbo. La Srpska Lista, ritenuta il “partito di Belgrado”, alle scorse elezioni si aggiudicò 9 dei 10 seggi spettanti alla minoranza serba. È data per favorita anche oggi, ma stavolta dovrà confrontarsi con la concorrenza della coalizione Sloboda. La stampa locale ha riportato accuse di pressioni a favore della Srpska Lista, soprattutto nel nord del Kosovo.
I risultati attesi
Nella quasi totale mancanza di sondaggi, l’unica fonte affidabile che ha testato il possibile esito delle prossime elezioni è Ifimes, centro di ricerca con sede in Slovenia. Secondo i risultati raccolti da un recente sondaggio, saremmo di fronte ad un testa a testa per il primo posto – e quindi per la guida del prossimo governo – fra Vv ed Ldk, entrambi partiti di opposizione nella legislatura appena conclusa. Aak-Psd (la coalizione tra il partito del premier uscente Haradinaj e quello socialdemocratico) e il Partito democratico del Kosovo (Pdk) si contendono invece il terzo posto.
Nei giorni che hanno preceduto la presentazione delle liste, sembrava materializzarsi proprio un’alleanza tra Vetëvendosje e l’Ldk; i due partiti non sono riusciti però ad accordarsi sul nome del candidato premier. L’Ldk insisteva su Osmani, Vv invece sosteneva che il premier dovesse essere espressione del partito più votato.
La mancata coalizione pre-elettorale fra le due forze potrebbe concretizzarsi ora ad urne chiuse: se il sondaggio citato venisse confermato dal responso di domenica sera, ai due partiti mancherebbero pochi voti in Aula per ottenere fiducia. In questo scenario, Albin Kurti, da eterno outsider, potrebbe sedere al governo con concrete possibilità di essere il prossimo primo ministro. Oppure potrebbe toccare a Vjosa Osmani diventare la prima donna premier del Kosovo.
Questo articolo è frutto di una collaborazione editoriale tra Istituto Affari Internazionali e Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa (OBCT).
Foto di copertina © Vedat Xhymshiti/ZUMAPRESS.com