Iraq: l’altro Kurdistan che sostiene Erdoğan
Mentre si contano le vittime degli scontri in Iraq, dopo la rivolta scoppiata nel centro e nel sud del Paese, sembra mantenersi defilata dalle proteste la regione autonoma del Kurdistan iracheno che basa la sua larga autonomia sulla forza delle proprie milizie, sulle forti tradizioni tribali ed il conseguente grande senso di appartenenza etnica e sul ruolo di cuscinetto e contrappeso al governo di Baghdad molto utile agli Stati occidentali ma anche alla maggior parte delle potenze dell’area. La profonda differenza nelle condizioni di sicurezza dell’area di Erbil e delle altre città curde, come Sulaymaniyya, molto vicina al confine iraniano, e quella del resto dell’Iraq risalta ora come mai in precedenza. Nel frattempo vi è poi l’azione manu militari della Turchia in Siria, offensiva che ha trovato lo scenico appoggio della presidenza Trump e che preme la regione autonoma del Kurdistan iracheno su un altro fianco.
Appare chiaro quindi che i curdi d’Iraq sebbene circondati da paventate guerre civili e nuove operazioni militari sappiano mantenersi in una bolla di stabilità.
L’azione esterna di Erbil fra Ankara e Teheran
Dopo la tanto agognata formazione del nuovo governo di Erbil, avvenuta nel giugno scorso, a quasi un anno dalle elezioni, pare che ci si stia avviando verso una stagione di stabilità quantomeno dal punto di vista politico. I punti principali che pesano attualmente nell’embrione di relazioni di Erbil con l’estero sono l’accordo di massima fra Iraq e governo della regione autonoma per la concessione di risorse economiche centrali in cambio di risorse petrolifere, la cooperazione con i Paesi occidentali e, non ultime per importanza, le frequentazioni con la Turchia di Recep Tayyp Erdoğan da parte del Partito democratico del Kurdistan (Dpk, cementati dalla reciproca ostilità nei confronti del Pkk dei curdi di Turchia) e con l’Iran (per ciò che concerne l’Unione patriottica del Kurdistan, Puk).
Il quadro frammentato delle alleanze (più o meno forti) dei curdi iracheni rispecchia la tormentata situazione e le complesse velleità del governo di Erbil che, mentre si erge a bandiera dell’etnia curda nella regione mediorientale, rimane d’altra vicino alla Turchia (impegnata a sopprimere i curdi della Siria e non solo) e all’Iran (pur accettando l’aiuto della missione di supporto militare occidentale, la Combined Joint Task Force-Operation Inherent Resolve). È sempre stato chiaro, d’altronde, che l’unità d’intenti della grande famiglia curda era facilmente sacrificabile di fronte a istanze di tipo tribale e a opportunità economiche, come nella vera e propria guerra civile combattuta nel 1994-1997 fra le principali fazioni curde (Pdk e Puk) e nelle scaramucce (ed in certi casi veri scontri) per il controllo di Kirkuk, difesa dall’avanzata del sedicente Stato islamico nel 2014.
La realpolitik dei curdo-iracheni
A fine settembre, fonti ufficiali della regione autonoma del Kurdistan avevano lasciato presagire il raggiungimento di un accordo per la partecipazione allo sfruttamento delle ingentissime risorse petrolifere del territorio di Erbil in cambio dell’ottenimento di rendite economiche dal governo di Baghdad, frutto di una rappacificazione dell’esecutivo iracheno col neonato governo curdo. Le dispute per la partecipazione allo sfruttamento delle risorse petrolifere (endemiche al Kurdistan dalla disgregazione dell’Impero ottomano nel 1922) erano state causa dell’occupazione di territori dell’area di Kirkuk nel 2014 da parte dei peshmerga prima di una e poi dell’altra fazione curda, mentre i guerriglieri del sedicente Stato islamico avanzavano agevolmente su Mosul. Incamminarsi verso la soluzione di tali questioni dimostra la volontà diplomatica del governo di Erbil di cercare l’autonomia attraverso le riforme.
Tuttavia, se da una parte la volontà del nuovo governo della regione pare volta a soluzioni inclusive, dall’altra, accondiscendendo al comportamento turco (tramite il sostegno del Dpk, partito di maggioranza) e iraniano (Puk), Erbil mostra di essere orientata ad una spietata realpolitik che tollera persino il massacro dei curdi siriani pur di mantenere la propria supremazia nell’area. Pur apparendo una buona soluzione nell’immediato tale comportamento avrà certo ricadute nel medio e lungo termine come quasi sempre avviene per i “giochi a somma zero”. Se Erbil spera di ottenere maggior risalto cancellando o mettendo in difficoltà le altre realtà curde dell’area è appena il caso di ricordare che colpire queste ultime fa scemare il peso specifico dell’intera etnia curda.
Se tale comportamento è invece dettato dalla volontà di ottenere l’appoggio del governo di Ankara e, incidentalmente, anche quello di Teheran Erbil non dovrebbe dimenticate che un Kurdistan iracheno forte ma non indipendente (una sorta di robusto cuscinetto) è la migliore prospettiva per gli stati occidentali e le potenze dell’area.
Foto di copertina © Jonathan Raa/Pacific Press via ZUMA Wire