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Carovita e altre rivendicazioni

Iraq: analista Halawa, “Proteste infiltrate da gruppi armati”

11 Ott 2019 - Francesca Caruso - Francesca Caruso

“In Iraq può sempre esserci il rischio di una guerra civile. Nelle proteste d’inizio ottobre abbiamo visto gruppi armati non bene identificati che si sono infiltrati, contribuendo alle violenze perpetrate dalle forze di sicurezza sui manifestanti”. Per Hafsa Halawa, attivista dei diritti umani e analista dei processi di democratizzazione nel mondo arabo, il rischio che le manifestazioni della settimana scorsa si trasformino in qualcosa di più violento c’è sempre, “perché bisogna sempre ricordarsi che dopo il 2003, in Iraq non c’è mai stata una campagna di disarmo”.

Iraq - HalawaTra la fine di settembre e l’inizio di ottobre sono esplose proteste a Baghdad e in altre città del Paese. Il bilancio degli scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti è salito a oltre 100 morti e 2500 feriti. Cosa chiedono i manifestanti?
Hafsa Halawa
– Chiedono cose diverse, ma principalmente l’eliminazione della corruzione dell’elite politica, una buona governance, più opportunità di lavoro, investimenti e servizi pubblici. Ora però, dopo un bilancio così alto di morti e feriti, i manifestanti chiedono anche che siano individuati coloro che hanno ordinato e represso in maniera così violenta le proteste.

Nel 2018, con la formazione del nuovo governo tecnocratico, c’era molto ottimismo. Oggi invece l’Iraq sembra di nuovo in una sorta di guerra contro se stesso…
Halawa – Io non credo che il Paese sia in un perenne stato di guerra contro se stesso, anche se sono in molti a sostenerlo. Detto questo, l’ottimismo del 2018 era del tutto infondato. A parte il forte desiderio di creare prospettive positive sul nuovo governo, la realtà era un’altra. La maggior parte delle persone di questo governo tecnocratico hanno, in un modo o nell’altro, avuto già ruoli nei governi che si sono succeduti dal 2003 in poi. Oggi però gli iracheni che manifestano non sono più dei bambini, come potevano esserlo dieci anni fa. La maggior parte, infatti, ha tra i 16 e i 24 anni e sono uomini. La generazione che sta manifestando è la generazione post-Saddam e non la generazione del dopo-guerra.

Per oltre dieci anni, l’Iraq è stato attraversato, periodicamente, da grosse proteste. In che modo quelle della settimana scorsa sono diverse dalle altre?
Halawa
– Dalle informazioni che sono riuscita a raccogliere mi sembra che ci siano alcune differenze: nelle proteste attuali, nonostante le rivendicazioni si basano tutte sull’idea del buon governo e rifiutano intrinsecamente l’ordine politico attuale. Inoltre, non solo rivendicano l’assenza di leader ma desiderano anche rimanere senza leader. Dicono che le proteste sono ‘coordinate’ da diversi gruppi e non guidate. Infine, si tratta di gente molto giovane che dicono di essere cresciuti in un’epoca dove non c’era la paura, a differenze di coloro che sono cresciuti nel periodo di Saddam Hussein.

Secondo alcuni si tratta di proteste trainate dagli sciiti. È d’accordo?
Halawa
– Non c’è dubbio che le località dove sono scoppiate le proteste si trovano nelle aree a maggioranza sciita. E che le cospirazioni a proposito di chi “sta ordinando o è dietro” le proteste riusciranno, in un modo o nell’altro, a dissuadere qualsiasi attività nelle aree a maggioranza sunnita, indipendentemente da quanto siano solidali con loro. Le proteste previste dopo le celebrazioni di Arbaeen e, conseguentemente, il modo in cui il governo iracheno risponderà ai manifestanti ci faranno capire se la popolazione sunnita parteciperà direttamente o meno. In molto però ritengono che non lo faranno.

Il problema vero però sembrerebbe la mancanza di una leadership. Le proteste che si sono susseguite negli ultimi anni nel mondo arabo ci hanno dimostrato che, a lungo andare, l’assenza di leader indebolisce qualsiasi tipo di movimento…
Halawa
– Sono d’accordo. In Iraq c’è da chiedersi: per quanto tempo le proteste dovranno essere ‘coordinate’ e non guidate? Prima o poi le rivendicazioni si integreranno? E ancora: sarà sufficiente un rimpasto di governo? Non credo. Sarà sufficiente un’indagine sulla corruzione? Direi di no, dal momento che oggi i manifestanti chiedono che siano individuati i responsabili che hanno sparato e ucciso i manifestanti e quelli che hanno loro ordinato di farlo. Come abbiamo visto spesso in altri movimenti di protesta, le rivendicazioni e le risposte possono cambiare, espandersi o adattarsi in maniera molto rapida. Detto ciò si prevede che le proteste continueranno e secondo alcuni da tutto ciò uscirà fuori un grosso movimento di attivisti. E dal momento che i manifestanti sono molto giovani tutto questo è possibile, anche se non scontato.

Lei non intravede quindi la possibilità che scoppi una guerra civile…
Halawa
– Sì, al contrario. Penso che potrebbe esserci. Abbiamo già visto gruppi armati non identificati infiltrarsi nelle proteste e contribuire a una violenza più ampia e alle forti repressioni sui manifestanti, gli attivisti e la stampa a Baghdad. Perpetrare una risposta violenta potrebbe far emergere delle divisioni in un apparato di sicurezza che è già di per sé molto fragile. Non dovrebbe nemmeno essere scontato – nonostante le popolazioni civili non siano mai intrinsecamente violente – che il Paese rimanga inondato dalle armi. Ricordiamoci che dal 2003 non c’è mai stata una campagna di disarmo, soprattutto dopo l’inizio della guerra contro il sedicente Stato islamico, l’Isis, nel 2014. Ex combattenti, civili, vittime, criminali di guerra, ladruncoli si sono tutti mossi per armarsi in una comunità e in un Paese dove l’insicurezza umana è molto alta e la fiducia generale e, in particolare nell’apparato di sicurezza, è estremamente bassa. Il rischio che delle scaramucce si trasformino in scontri violenti è e rimane sempre alto, soprattutto se l’apparato di sicurezza continua a reprimere in maniera così violenta le proteste.