Eurozona e vincoli di bilancio: quale flessibilità?
Nel coordinamento della finanza pubblica dei Paesi Ue ci sono tre tipi di “flessibilità”. Il primo è quello tecnico e automatico, conseguente al fatto che i deficit vengono misurati tenendo conto della distanza fra il Pil di un Paese e la sua capacità produttiva, cioè del grado di utilizzo delle risorse del Paese. Se il Paese produce meno di quanto potrebbe gli è consentito un deficit maggiore, anche per non ostacolarne l’effetto di stabilizzazione anticiclica automatica.
Il problema di questo tipo di flessibilità è che il calcolo del prodotto potenziale e quindi della sua distanza dal Pil effettivo è statisticamente difficile e molto controverso. Non c’è nemmeno concordia fra i calcoli della Commissione e quelli dell’Ocse. L’Italia ha spesso protestato sostenendo che la sua capacità produttiva – e dunque il grado della sua sotto-utilizzazione – veniva sottovalutato. Comincia a prender corpo l’idea di abbandonare questi calcoli per semplificare le regole comunitarie.
Regolamentata e implicita (alias ‘politica’)
Una seconda categoria di flessibilità è quella regolamentata esplicitamente dalla Commissione che, dal 2015, ha formalizzato alcuni criteri per concedere maggiori deficit se questi servono a realizzare rilevanti riforme strutturali, speciali piani di investimento o ad affrontare emergenze come la crisi migratoria o disastri naturali. Fatto sta che negli anni passati l’Italia è stata fra i Paesi che hanno ottenuto su queste basi un maggior ammontare di flessibilità, più dell’1% del Pil. Anche questa regolamentazione della flessibilità è in parte in discussione ed è probabile che la nuova Commissione la modificherà.
In terzo luogo si può forse parlare di una flessibilità implicita che potremmo azzardarci a chiamare ‘politica’. Essa si applica in vari modi: nel come sono giudicate le stime e le previsioni dei bilanci nazionali sottoposti a Bruxelles; nell’accettazione da parte della Commissione di certe classificazioni contabili di entrate e spese che possono incidere diversamente sul grado di rispetto delle regole comunitarie; nel giudizio comunitario circa la credibilità degli impegni che il bilancio pluriennale di un Paese prende circa provvedimenti di entrata e spesa da legiferare negli anni a venire; nei tempi prescritti per gli eventuali aggiustamenti richiesti al Paese che rischia di violare le regole.
I riflessi dei rapporti Italia/Ue
Questa inevitabile flessibilità ‘politica’ risente ovviamente della qualità dei rapporti che un Paese ha con l’Unione e, in particolare, con la Commissione. Per quanto riguarda l’Italia i rapporti sono chiaramente migliorati nel passaggio dallo scorso governo a quello attuale e nel contemporaneo subentro della nuova Commissione. La quale si è già pronunciata per una disciplina fiscale particolarmente attenta alla quantità e qualità della crescita e alla sua sostenibilità. Il giudizio sui nostri bilanci potrebbe perciò godere di una adeguata flessibilità politica.
Ci sono però ragioni per dubitare che ciò possa avvenire con facilità. Innanzitutto il nostro atteggiamento nei confronti della disciplina fiscale europea non è giudicato da molti dei Paesi membri adeguato all’eccezionale elevatezza del nostro debito pubblico, che anche l’anno prossimo è previsto crescere in rapporto al Pil. In secondo luogo, alcuni dei numeri previsti dal governo per il bilancio dell’anno prossimo sono giudicati “ambiziosi” e “difficilmente conseguibili” dal nostro stesso Ufficio parlamentare di bilancio, organo indipendente il cui parere è di rilievo per la Commissione. Fra l’altro, l’entità del recupero dell’evasione sul quale conta il governo sembra a molti non del tutto credibile. In terzo luogo, i provvedimenti e le stime appaiono, per il biennio 2021-2, rilevante per il giudizio della Commissione, ancor più indecisi e imprecise.
La qualità delle proposte di bilancio
Ma l’aspetto che più conta è che la flessibilità “politica” dovrebbe sempre più premiare la qualità delle poste dei bilanci sottoposti a Bruxelles, anche a fronte di quantità di deficit e debito che rischiano di uscire dai parametri più severi. Per “qualità” si intende soprattutto l’impatto potenziale di medio e lungo termine delle misure previste sulla crescita del Paese.
Su questo fronte non appaiono per ora decise discontinuità con i nostri passati bilanci. In particolare, gli impegni di investimento pubblico sono ancora sacrificati a provvedimenti di sussidio e trasferimento assistenziale, non si correggono i peggioramenti dei conti pensionistici registrati con le misure dello scorso governo, la misura degli incentivi per gli investimenti privati rimane più contenuta di quanto sarebbe possibile con un diverso disegno del bilancio a parità di deficit.
Anche sul fronte delle entrate, lo spostamento dalle imposte sul lavoro a quelle indirette, da anni consigliato per migliorare la competitività delle imprese e le retribuzioni nette, è stato sacrificato per bloccare del tutto gli aumenti dell’Iva previsti dalle clausole di salvaguardia che si sono volute sterilizzare per l’anno prossimo.
Bilanci nazionali e bilanci comunitari
All’Italia gioverebbe chiedere maggior flessibilità sui numeri presentando progetti di bilancio qualitativamente migliori e più rispondenti alle raccomandazioni specifiche che la Commissione e il Consiglio ci rivolgono annualmente, raccomandazioni che insistono sempre molto più sulla qualità delle misure da prendere e delle riforme da fare che sui decimali del deficit. E’ probabile e augurabile che l’attenzione alla qualità delle spese, delle entrate, della credibilità delle previsioni e degli impegni assunti con le leggi finanziarie, vada crescendo nel coordinamento dei bilanci pubblici europei.
Ciò dovrà essere tenuto presente da tutti i Paesi membri e potrà costituire la base di una “flessibilità” della finanza pubblica europea che sia davvero benefica per la crescita e non appaia come opportunismo e debolezza politica di Bruxelles. Essere rigidi con i provvedimenti sbagliati non ha senso: lo prova anche il caso tedesco dove il rigore del pareggio di bilancio dovrà essere superato dai consistenti investimenti pubblici dei quali il Paese ha bisogno urgente.
Va detto anche che il discorso sulla flessibilità dei bilanci nazionali risulterà più utile e interessante quando la volontà politica dei Paesi dell’Unione sarà pronta ad acconsentire a progetti di bilancio comunitario di maggior spessore: allora l’articolazione e l’integrazione fra entrate e uscite nazionali e comunitarie potranno essere ottimizzate in modo da rispettare sia le specifiche necessità dei singoli Paesi che le politiche economiche decise dall’Ue nel suo insieme.
Questo articolo è stato pubblicato nell’ambito dell’Osservatorio IAI-ISPI sulla politica estera italiana, realizzato anche grazie al sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Le opinioni espresse dall’autore/autori sono strettamente personali e non riflettono necessariamente quelle dell’ISPI o del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.