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Moneta unica e transazioni energetiche

Euro: energia, maggiore statuto = maggiore peso geo-economico

3 Ott 2019 - Marco Giuli - Marco Giuli

A quasi venti anni dalla sua introduzione nell’uso corrente, l’euro sembra non avere eroso in maniera significativa il dominio del dollaro come valuta di riserva e strumento di pagamento internazionale, rimanendo tutt’al più una valuta regionale con un ruolo di riserva soprattutto nel vicinato Ue. Tuttavia, in un ambiente internazionale caratterizzato da un crescente uso di strumenti economici per il perseguimento di interessi di politica estera – dove l’unilateralismo statunitense presenta una sfida agli interessi economici e politici dell’Ue e dei suoi Stati membri -, il  dibattito sul ruolo internazionale dell’euro sembra acquisire rinnovata centralità. Tale dibattito dovrà senz’altro essere facilitato da una Commissione europea che – nelle parole della sua nuova presidente Ursula Von Der Leyen – intende accrescere la propria autorevolezza sul piano geopolitico.

Un contesto di competizione geo-economica
Lo scorso dicembre, la Comissione europea diffondeva una comunicazione sul ruolo internazionale dell’euro, in cui Bruxelles suggeriva raccomandazioni invitando gli Stati membri a promuovere l’utilizzo della moneta unica nelle transazioni energetiche. Nel 2017, più dell’80% delle importazioni di petrolio nella Ue era denominato in dollari.

Il documento sottolinea che l’espansione del ruolo internazionale dell’euro aiuterebbe a proteggere le grandi compagnie europee dall’applicazione extra-territoriale delle sanzioni Usa. L’efficacia di tali sanzioni è strettamente legata alla preponderanza del dollaro come valuta di riserva e strumento di pagamento internazionale. Il dollaro garantisce a Washington vantaggi pratici nel tracciamento delle transazioni fra regimi ostili e attori commerciali, e copertura legale nell’applicazione extraterritoriale della legge americana.

La crescente propensione di Washington a un utilizzo spregiudicato e unilaterale della sua posizione dominante nei mercati finanziari globali per il perseguimento di obiettivi geopolitici ha ormai dimostrato di essere incompatibile con gli interessi economici e strategici dei Paesi europei. In seguito al ritiro degli Usa dall’accordo del 2015 sul nucleare iraniano e all’erogazione di nuove sanzioni contro la Repubblica islamica, un vasto numero di multinazionali europee fra cui Total, Airbus, Maersk e Siemens hanno deciso di abbandonare il mercato iraniano.

Appare dunque chiaro come un rafforzamento del ruolo internazionale dell’euro inizi ad acquisire importanza agli occhi degli Stati più esposti – Francia e Germania in primis.

Tuttavia, se strumenti commerciali e regolamentari europei si sono rivelati asset geo-economici efficaci e consolidati per esercitare influenza su Paesi terzi, maggiore incertezza sorge relativamente a i) la volontà e la capacità di fare dell’euro un vero e proprio scudo geo-economico, ii) la propensione di Paesi terzi ad accettare o essere parte attiva di un consolidamento del ruolo internazionale della moneta europea, iii) l’impatto effettivo della ridenominazione in euro delle transazioni energetiche sullo statuto internazionale della valuta europea.

Le capacità dell’euro come valuta di riferimento per le transazioni energetiche
In termini di fattibilità, l’euro è ben piazzato per una ridenominazione dei contratti energetici. Primo, l’Europa è il maggiore importatore di combustibili fossili del mondo. Nel 2018, l’Ue ha importato petrolio per 11,76 milioni di barili al giorno, ben superiori agli Usa (5,14 milioni) o alla Cina (9,72 milioni).

Secondo, la struttura dell’import energetico europeo è dominata da Paesi le cui valute non sono agganciate al dollaro e che – nel caso della Russia – hanno mostrato un forte interesse a diversificare le denominazioni delle loro transazioni a causa del rischio posto dalle sanzioni Usa. A fine agosto, il gigante petrolifero russo Rosneft – responsabile della produzione del 40% del petrolio russo – ha notificato ai suoi clienti di prepararsi a una denominazione in euro dei contratti, segnalando un tentativo di limitare l’impatto delle sanzioni Usa sulla Russia.

Terzo, l’euro è già la seconda valuta di riserva internazionale. Nel 2018, il 20% delle riserve in valuta estere delle banche centrali erano in euro. Si noti che nonostante la moneta cinese conti per appena il 4% delle riserve in valuta estera delle banche centrali, la Cina ha già lanciato dei contratti future petroliferi denominati in valuta nazionale.

Tuttavia, al momento l’euro soffre anche di evidenti limiti che rischiano di comprometterne una funzione di riferimento per le transazioni energetiche.

I limiti dell’euro come valuta di riferimento per le transazioni energetiche
In primo luogo, non è chiaro con quale livello di coesione gli Stati membri dell’Ue – che sarebbero primariamente responsabili nell’incentivare una ridenominazione dei contratti da parte delle compagnie – intendano rafforzare lo statuto internazionale dell’euro. Al momento, i diversi Stati Ue presentano significative differenze per quanto riguarda la quota di contratti energetici denominati in dollari, che varia dal 52% in Germania a quasi il 100% in Polonia e nel Regno Unito. Alcuni di essi, in particolare nell’Europa centro-orientale, stanno inoltre lavorando per espandere l’importazione di gas naturale liquefatto dagli Usa e di petrolio dai Paesi del Golfo, al fine di ridurre la quota di idrocarburi russi nel loro mix energetico.

Tali transazioni difficilmente potranno essere denominate in euro. Inoltre, questi Paesi – scarsamente esposti alle sanzioni verso Iran o Russia – hanno dimostrato di preferire il mantenimento, anche su base bilaterale, di forti legami politici e di sicurezza con Washington rispetto a qualunque timida declinazione di “autonomia strategica” europea.

Nell’ipotesi di una crescita del profilo dell’euro come valuta di riserva internazionale, inoltre, occorre considerare che la denominazione in dollari delle transazioni energetiche è più una conseguenza della posizione internazionale del dollaro che una causa. Il dominio del dollaro deriva dal cambiamento nell’equilibrio delle potenze seguito alla seconda guerra mondiale, combinato con la capacità americana di offrire al mondo beni pubblici globali – fra cui asset ‘rifugio liquidi’ e privi di rischi come i Treasury bills. Da questo punto di vista, il consolidamento dell’Unione economica e monetaria europea come attore più coeso e strategico rimane un elemento necessario per elevare il ruolo dell’euro nelle transazioni internazionali.

Quando il rischio è necessario
Insomma, appare ancora incerta la misura in cui una significativa ridenominazione in euro dei contratti energetici europei riesca a limitare l’uso del dollaro come strumento di implementazione ed enforcement del principio ‘America first’ in politica estera. Idealmente, qualora una ridefinizione dei contratti di importazione degli idrocarburi risulti benefica per proteggere gli interessi economici degli Stati membri nel contesto dell’intensificazione della competizione geo-economica internazionale, gli stessi Stati potrebbero diventare più inclini a rafforzare l’architettura istituzionale dell’eurozona, passo necessario ad elevare lo status internazionale dell’euro.

Spetterà alla nuova Commissione e agli Stati membri maggiormente esposti ai rischi della competizione geo-economica dare seguito alle raccomandazioni dello scorso dicembre e trasformarle in opportunità per rafforzare la moneta unica tanto all’interno quanto all’esterno dell’Unione.