Difesa: Italia, sistemi antimissile, questi sconosciuti
Mentre si moltiplicano i segnali della minaccia missilistica nel quadro europeo e mediterraneo, l’Italia ha faticato finora a inquadrare la difesa antimissile tra le priorità per lo strumento militare e le politica industriale nella difesa.
Ha destato una certa preoccupazione il venir meno del trattato sui missili nucleari a media gittata (Intermediate-range Nuclear Forces – Inf -, i cosiddetti euromissili) tra Russia e Stati Uniti, a causa delle ripetute violazioni da parte di Mosca e della conseguente denuncia dell’accordo da parte di Washington. Così come fanno occasionalmente scalpore i missili lanciati dalla Corea del Nord, quelli con cui Hamas ed Hezbollah prendono di mira Israele, l’abbattimento nei cieli ucraini del volo della Malaysian Airlines con un missile terra-aria russo, che causò 298 morti nel luglio 2014, e il recente attacco ai campi petroliferi dell’Arabia Saudita.
Se la tecnologia favorisce la corsa ai missili…
L’insieme di tali segnali indica la crescita della minaccia missilistica a livello internazionale, che come analizzato da uno studio IAI è dovuto principalmente a due fattori nel quadro di un contesto mondiale sempre più problematico: la diffusione dell’innovazione tecnologica e la crescente inadeguatezza dei regimi di non proliferazione.
Il dato di fondo è che, in un sistema internazionale più competitivo, conflittuale, multi-polare e unilaterale di dieci anni fa, l’interesse ad acquisire o a mantenere capacità missilistiche permane o addirittura aumenta da parte di Stati grandi e piccoli, e anche di non-Stati. Tali capacità sono, infatti, per gittata (fino a 10.000 km), letalità e velocità, un potente strumento di coercizione e di deterrenza, che si aggiunge al ventaglio degli strumenti utilizzati nei recenti conflitti – dall’uso delle forze speciali o dei droni al sostegno a gruppi terroristi o milizie locali, fino all’intervento militare diretto.
Sul lato tecnologico, con la globalizzazione economica sono aumentati anche gli scambi di componenti e tecnologie nel settore missilistico, e si è avuta una certa delocalizzazione della produzione, mentre il relativo know-how è diventato più facilmente reperibile online e i tecnici e gli ingegneri sperimentano una maggiore mobilità professionale tra un’azienda e l’altra e tra un Paese e l’altro. Tutto ciò, unito all’interscambio crescente tra tecnologie civili e militari, facilita l’acquisizione di capacità missilistiche sia da Stati di nuova industrializzazione, sia da attori non statuali dotati di un minimo di risorse e organizzazione.
…e i regimi di non proliferazione restano al palo
Di fronte a tale situazione, i regimi di non proliferazione restano al palo. L’Inf ne è l’esempio più importante per la sicurezza dell’Europa, in quanto dal 1987 prevedeva la completa eliminazione dei missili balistici e da crociera basati a terra e con portata tra i 500 ed i 5.500 km. L’Amministrazione Obama ha iniziato a denunciare sin dal 2014 le violazioni russe, in termini di sviluppo di nuovi missili in teoria banditi dall’Inf, in una spirale di accuse culminata con la denuncia del trattato da parte di entrambe le parti nel 2019.
L’Europa diventa così particolarmente esposta a una potenziale minaccia missilistica russa, utilizzabile a fini di coercizione su tutta una serie di dossier – in primis l’Ucraina – oltre che di deterrenza verso azioni che Mosca giudicasse aggressive nei suoi confronti. Anche il Missile Technology Control Regime (Mtcr), che riunisce oggi 35 Paesi, pur avendo raggiunto risultati significativi, sconta la mancanza di capacità autonome di ispezione ed il ritardo nell’adeguarsi all’innovazione tecnologica.
La minaccia missilistica non proviene soltanto da attori statali come la Russia, ma anche da gruppi terroristi che possono dotarsene sia per la maggiore accessibilità tecnologica, sia per il collasso di stati come la Libia dotati di importanti arsenali – basti pensare ai missili Scud – che sono stati di fatto alla mercé di trafficanti, milizie, criminalità, in un contesto di anarchia, conflitto e corruzione che perdura dal 2011. Contro questi attori, l’efficacia antimissile dei regimi di non proliferazione si rivela ancora più limitata per l’ovvio motivo che i gruppi terroristi non firmano convenzioni internazionali e sono per definizione più sfuggenti a controlli di qualsiasi natura.
La difesa antimissile dell’Italia
Ciò non vuol dire che tali regimi vadano abbandonati, al contrario serve un’azione politico-diplomatica per rilanciarli. In parallelo tuttavia si pone il problema dell’adeguamento della difesa antimissile per l’Italia e l’Europa, e per le forze armate italiane ed europee dispiegati in teatri operativi a tiro di missili nemici, dalla Libia al Libano, dal Baltico al Mar Nero e dall’Iraq all’Afghanistan.
Come in altri settori, la difesa antimissile è molto più complessa e costosa dell’attacco, in quanto bisogna proteggersi a 360°, reagire a un’iniziativa altrui correndo contro il tempo – identificando e intercettando un missile già lanciato – e minimizzare il danno della conseguente esplosione per i propri militari o civili.
Sul fronte politico-militare, la Nato offre un impianto di difesa aerea e missilistica nel cui quadro sviluppare le capacità nazionali. E sul fronte tecnologico e industriale l’Europa conta già su una concentrazione di capacità e risorse nella società Mbda, che essendo partecipata da Airbus, Bae System e Leonardo mette a sistema le principali industrie dell’aerospazio e difesa del Vecchio Continente. Resta tuttavia agli Stati membri la decisione su quanto, come e quando investire risorse nella difesa missilistica.
E qui l’Italia finora non si è dimostrata all’altezza della minaccia, sia per l’esiguità degli investimenti sia soprattutto per la loro incertezza. Questo secondo elemento è fondamentale per programmi di sviluppo e acquisizione di lunga durata, i cui prodotti a loro volta hanno una lunga vita in servizio che comporta un adeguato ammodernamento. Sospendere o ritardare programmi impedisce di stare al passo con la tecnologia, mantenere a livello nazionale il know-how e le capacità ingegneristiche che servono, e rapportarsi efficacemente con i partner industriali e militari nel quadro europeo e Nato. Considerando la minaccia e la posta in gioco, si tratta di un azzardo che non ci si può permettere.