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Momento decisivo per il premier britannico

Ue/Gb: Brexit, il piano BoJo per il Regno dis-Unito

14 Ott 2019 - Beatrice Vecchiarelli - Beatrice Vecchiarelli

In fondo al tunnel della Brexit sembra comparire uno spiraglio di luce. E, arrivati a questo punto delle trattative per il divorzio tra Londra e Bruxelles, si parla proprio di “entrare nel tunnel”. Dopo l’incontro blindato tra il premier britannico Boris Johnson e quello irlandese Leo Varadkar e il colloquio tra i negoziatori Stephen Barclay per il Regno Unito, e Michel Barnier per l’Ue, gli ambasciatori dei 27 Paesi europei hanno dato il via a una fase più intensa dei negoziati. Sempre con una certa cautela e una buona dose di diffidenza nei confronti dell’imprevedibile ‘BoJo’.

A sbloccare la situazione sarebbero stati i progressi in merito alla soluzione da adottare per il confine tra le due Irlande, principale nodo da sciogliere della Brexit, che fino a oggi aveva fatto apparire la strada della separazione come un vicolo cieco. Quali siano questi passi avanti non è chiaro, ma i segnali positivi giunti da Dublino inducono a pensare che si tratti di concessioni fatte da Johnson sulla permanenza dell’Ulster nell’unione doganale.

Dal backstop al sistema del doppio confine
Finora l’atteggiamento di Downing Street è stato quello di trattare la questione irlandese come un problema non britannico ma dei soli irlandesi, i quali, per inciso, sono stati trascinati insieme agli scozzesi nel ‘guaio’ della Brexit contro il loro volere.

Stupisce per questo l’accelerazione degli ultimi giorni, specie alla luce della proposta formulata all’inizio di ottobre dal premier Johnson. Questo comportamento è infatti apparso più come una provocazione per spingere l’Ue a declinare l’offerta e arrivare in scioltezza al no deal (l’uscita senza accordo), che non una valida alternativa al backstop (la clausola voluta per evitare il ripristino di un confine duro tra l’Ulster e l’Eire, tra il nord e il sud dell’Irlanda) di Theresa May.

‘BoJo’ ha sfoderato le sue doti di prestigiatore politico facendo uscire dal cilindro il cosiddetto “sistema del doppio confine”, uno normativo nel mar d’Irlanda e uno doganale sulla terra. Secondo il suo piano, pur lasciando l’unione doganale col resto del Regno nel 2021, l’Ulster continuerà ad applicare la legislazione europea in materia di prodotti agricoli e altri non ben specificati beni fino al 2025, sottoponendo il vaglio di questo meccanismo all’Assemblea dell’Irlanda del Nord. Per scongiurare il ritorno a una frontiera fisica, si utilizzeranno la tecnologia e i controlli doganali sui beni scambiati tra il Regno Unito e l’Ue, delocalizzati dal confine. Saranno così evitati anche visivamente i checkpoint e la militarizzazione della frontiera. Per quanto riguarda la burocrazia, questa sarà in gran parte affidata all’online.

Una proposta, quella di ‘BoJo’, allettante sulla carta, soprattutto per quel dettaglio del diritto di veto concesso all’Irlanda del Nord. Peccato però sia parecchio fumosa e debba fare i conti col fatto che l’Assemblea nord-irlandese è stata sciolta quasi quattro anni fa e che il Democratic Unionist Party (Dup) ulsteriano è fermamente contrario a qualsiasi accordo che intrappoli il Paese nell’Ue minando l’unità del mercato interno con patti commerciali balzani e che sancisca una disparità di trattamento rispetto alle altre Nazioni del Regno. Senza contare che lo Scottish National Party davanti a delle concessioni fatte all’Irlanda del Nord potrebbe avanzare delle pretese per sé e una nuova richiesta d’indipendenza.

La settimana decisiva
Se nei prossimi giorni si dovesse raggiungere un accordo, il Consiglio europeo valuterà l’offerta nel Vertice del 17-18 ottobre. Prima di allora però gli occhi sono puntati sulla riapertura della Camera dei Comuni con il discorso inaugurale della Regina Elisabetta – oggi -, durante il quale è stata illustrata l’agenda di governo.

A seguito del Queen’s Speech ci saranno cinque giorni di dibattito, al termine dei quali avrà luogo un voto simbolico della Camera. È raro che un primo ministro esca sconfitto da tale voto (l’ultima volta è accaduto nel ‘24), ma non è impossibile: dopotutto BoJo in tre mesi di governo ha già perso sette votazioni ai Comuni. Se ciò dovesse accadere non è automatico né che si dimetta – anzi, è del tutto inverosimile – né che vengano richieste elezioni anticipate, sulle quali deve esserci il sì di almeno i due terzi del Parlamento e, al momento, a Westminster non c’è la maggioranza per nessuna mossa.

Il vero ostacolo per Johnson è proprio il Parlamento e in particolare il Dup. Motivo per cui l’allineamento più che temporaneo raggiunto tra Londra, Bruxelles e Dublino non deve destare facili entusiasmi: senza il consenso di Belfast non esiste alcun accordo.

Un enigma insoluto
Raggiunta o meno un’intesa, sia essa poi accolta o bocciata dall’Unione, l’ultima parola spetta comunque al Parlamento britannico, convocato per una seduta straordinaria sabato 19 ottobre. Questo ‘super Saturday’ è, di fatto, l’ultimo giorno disponibile per votare un’ipotetica bozza di divorzio oppure l’uscita senza accordo rispettando la scadenza del 31 ottobre, data in cui il Regno Unito dovrebbe effettivamente lasciare l’Ue. Nel caso di no deal la questione si ripiega su se stessa.

Per impedire questa eventualità, è stata approvata infatti una legge (Benn Act) che obbliga il primo ministro a scrivere la lettera per richiedere l’estensione dell’art. 50 del Trattato di Lisbona, che regola la procedura di uscita dall’Ue, fino a gennaio 2020. Qualora Johnson si rifiutasse di farlo violerebbe la legge. Tuttavia il premier britannico potrebbe optare per redigere due lettere: una per obbedire al diktat del Benn Act e l’altra per dichiarare che il rinvio non corrisponde alla volontà del suo esecutivo, mettendo così l’Ue nella posizione di deliberare una dilazione dei tempi contro i desideri del governo britannico.

L’enigma Brexit resta in sostanza irrisolto e lascia aperto ogni scenario. Quel che è evidente però è che non solo ha disunito il Regno ma ha anche trasformato, grazie a ‘BoJo’, lo storico Conservative Party in un partito nazionale inglese.