Tunisia: la morte di Ben Ali, si sceglie il nuovo presidente
Con la morte in esilio dell’ex presidente Zine El Abidine Ben Ali nel mezzo della campagna per il secondo turno delle elezioni presidenziali, la Tunisia volta definitivamente pagina e chiude anche simbolicamente i conti con un passato che l’ha precipitata in una durissima crisi economica e l’ha portata sull’orlo della guerra civile. Lo conferma la sostanziale indifferenza con cui la gente ha accolto la notizia dell’uscita di scena di quello che era a lungo stato padrone assoluto del Paese, costretto a fuggire in Arabia Saudita dalla Rivoluzione dei Gelsomini nel 2011.
Non ci sarà per lui un imponente mausoleo come quello del padre della patria Habib Bourghiba, deposto proprio da Ben Alì con un ’golpe di palazzo’ nel 1987. Sarà sepolto in Arabia Saudita, nonostante la speranza più volte espressa di tornare nel suo Paese: per la Tunisia “ho desiderato solo sicurezza, stabilità e sviluppo”, recitava, promettendo che sarebbe tornato, nel suo ultimo messaggio ai tunisini, pubblicato il 15 maggio sulla pagina Facebook del suo avvocato.
La parabola del potere dalla resistenza all’assolutismo
Classe 1936, militare di carriera e secondo presidente della Tunisia indipendente , Ben Alì inizia la sua parabola politica partecipando alla resistenza contro il dominio coloniale francese e fonda negli Anni 60 il Dipartimento per la Sicurezza militare che guida per dieci anni. Il 1986 è l’anno che lo proietta ai vertici della vita politica del Paese: in aprile diventa ministro dell’Interno, nell’ottobre dell’anno successivo Bourghiba lo nomina premier. Un mese dopo, riesce a estromettere il vecchio presidente convincendo i medici a dichiararlo incapace di intendere e di volere e ne prende il posto.
Il suo potere diventa assoluto. Ben Alì è intoccabile, naviga nella corruzione e nel nepotismo. Ma la lotta contro l’integralismo islamico e il pugno di ferro che usa contro ogni forma di dissenso garantiscono al Paese una stabilità che gli vale il consenso incondizionato dell’Occidente. Il Raggruppamento Costituzionale Democratico, il suo partito, non ha rivali e la macchina della propaganda gli frutta percentuali di oltre il 90 per cento nelle elezioni del ’94 e del ’99. Si sente un monarca più che un presidente e nel 2002 impone una riforma costituzionale che gli garantisce la possibilità di essere rieletto a vita. Non immagina, Ben Alì, che di lì a qualche anno la Tunisia diverrà l’unico Paese delle Primavere arabe a vincere la scommessa della democrazia, anche se non quella dell’uscita dalla crisi economica.
La Rivoluzione dei Gelsomini
Lo tsunami inizia nel dicembre 2010, con il sacrificio di Mohammed Bouazizi, ambulante di 26 anni che si dà fuoco per protestare contro i soprusi della polizia che lo ha costretto a smantellare il suo banchetto di frutta, unica fonte di sostentamento. E’ l’inizio della Rivoluzione dei Gelsomini che innesca l’effetto domino delle Primavere arabe e precipita la regione nel caos incendiando l’Egitto, la Libia, la Siria e perfino – fugacemente – il Bahrein.
Le imponenti proteste di massa che chiedono libertà e pane e i cento morti degli scontri costringono il corrotto e autoritario presidente alla fuga in Arabia Saudita e all’esilio dorato nella sua villa di Abha. I Paesi del Sud Europa, i più vicini, sono in allarme e sale il timore di perdere un interlocutore chiave nella sponda sud del Mediterraneo. Ma la Tunisia regge, riesce a officiare il rito delle elezioni multipartitiche e, davanti agli occhi increduli delle cancellerie occidentali, i vincitori, gli islamici di Ennahdha, trovano un accordo con il centro e la sinistra per guidare il nuovo corso. Undici mesi dopo il ritiro di Ben Alì, il 12 dicembre 2011, il neo-presidente ad interim Moncef Marzouki può dichiarare di “avere il grande onore di diventare il primo presidente della prima repubblica libera del mondo arabo”.
Stabilità e democrazia, ma anche crisi economica
A otto anni di distanza, la stabilità della Tunisia è un dato di fatto, nonostante i ripetuti e sanguinosi attacchi jihadisti e le migliaia di disperati che hanno scelto di trasformarsi in foreign fighters al servizio dello Stato islamico. Ma la crisi economica è ancora lì e lo scontento della gente, nel primo turno delle presidenziali (il 15 settembre), si manifesta nelle urne. Crollo dell’affluenza e sconfitta degli esponenti dei partiti tradizionali, dai centristi alla sinistra agli islamici. Al ballottaggio arrivano due candidati antisistema: il giurista conservatore indipendente Kais Saied e il magnate della tv Nabil Karoui, in carcere dal 23 agosto per riciclaggio ed evasione fiscale, che parlano entrambi al disagio sociale e promettono soluzioni.
Sono i ‘volti nuovi’ del Paese nordafricano che, il 25 luglio, ha perso anche il grande vecchio di una politica fatta di capacità di mediazione: a 92 anni se n’è andato il presidente Baji Caid Essebsi , eletto nelle presidenziali del 2014 – a 88 anni – capo dello Stato. Una figura chiave della transizione che ha assicurato la stabilità delle istituzioni pur non riuscendo a sanare crisi economica e marginalizzazione. La data del ballottaggio per l’elezione del nuovo presidente non è ancora decisa e la nuova mappa del potere in Tunisia è ancora tutta da disegnare, come quella di un riscatto sociale che finora non ha avuto risposte.