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Intervista ad Adriano Prosperi

Protezione stile di vita europeo: ma quell’identità non esiste

20 Set 2019 - Francesca Caruso - Francesca Caruso

“L’identità europea non esiste. E non esiste un patrimonio di cultura e di sangue immutabile, che possiedono tutti i cittadini europei per nascita. Si può discutere a lungo su che cosa sia ‘lo stile di vita europeo’, ma quello che è chiarissimo è il concetto chiave della funzione del nuovo commissario: proteggere gli europei contro chi viene da fuori”. Adriano Prosperi, professore emerito di storia moderna alla Normale di Pisa, è tra coloro che criticano duramente la creazione della delega ‘Protezione dello stile di vita europeo’ in seno alla nuova Commissione di Ursula von der Leyen. “Con questa decisione la retorica identitaria e la volontà di chiusura dei confini diventa addirittura un’istituzione”, ha spiegato Prosperi, autore di molti libri tra cui “Identità. L’altra faccia della storia”, edito da Editori Laterza.

Professore, la delega ‘Protezione dello stile di vita europeo’ ha un’eco della retorica identitaria?
Prosperi – Sì e non vedo altra lettura possibile. Le prime reazioni, di plauso o di critica, sono state concordi nel cogliere immediatamente questo significato. Marine Le Pen ha definito la nuova istituzione una “vittoria ideologica” della sua parte. Jean-Claude Junker, nel lasciare la presidenza della Commissione, ha detto, in un’intervista al Guardian, di non amare l’idea che “lo stile di vita” europeo sia ostile all’arrivo di migranti proprio perché “accettare coloro che vengono da lontano fa parte dello stile di vita europeo”. Una simile dichiarazione, così diversa dallo stile solitamente conciliante di Junker e così poco consona a un passaggio di consegne a quel livello, dà la misura di quanto forte sia il salto di qualità che questa scelta della von der Leyen ha imposto al massimo livello del governo dell’Europa Unita. Con la decisione della nobile signora tedesca la retorica identitaria e la volontà di chiusura dei confini diventa addirittura un’istituzione.

Una decisione che tra l’altro si allontana dal fallito tentativo della Merkel di aprire i confini a chi chiedeva asilo…
Prosperi – Esattamente. Siamo remotissimi non solo dal fallito tentativo di frau Merkel di spingere il suo popolo ad accogliere i migranti al canto dell’Inno alla gioia ma anche dalla sua successiva politica in Europa. Anche se le due signore appartengono allo stesso partito, bisognerà abituarsi alla differenza fra chi si è formato nella casa di un pastore nella Germania comunista dell’Est e chi viene da una famiglia aristocratica, già al potere nella Bassa Sassonia, e che non sembra amare la politica del compromesso. Dopo la pronta protesta e l’invito dell’eurodeputata francese Karima Delli a cambiare quella formulazione si è limitata a un tentativo di imbrogliare le carte alludendo a pericoli politici esterni (Putin, la Russia) e interni (il populismo). Tentativo maldestro e in malafede: Margaritis Schinas è stato scelto come commissario all’immigrazione e non alla difesa contro Putin o Salvini.

Le polemiche sono nate proprio perché la delega alluderebbe all’esistenza di un’identità europea che va difesa dalle contaminazioni. Ma esiste l’identità europea?
Prosperi – No, non esiste un’identità europea. Non esiste – né si vede come possa esistere – un patrimonio di cultura e di sangue rigido e immutabile, possesso ereditario per nascita di tutti i cittadini europei. Se c’è stato un carattere generale dell’Europa storicamente riconosciuto e apprezzato è stato quello della diversità – di culture, di lingue, di religioni.

Quando sulle rovine della Seconda Guerra Mondiale si cominciò a ragionare sulla necessità di ripartire in direzione di un’unione dell’Europa occidentale, si discusse e si scrisse molto sulle origini dell’idea di Europa. E si fu d’accordo nel riconoscere che con la fine dell’unità religiosa e con l’emergere del sistema degli Stati europei si erano affermati valori culturali come il pluralismo politico e religioso, l’apertura al mondo, la tolleranza religiosa, la libertà degli scambi intellettuali e commerciali. Proprio per questo l’Europa era stata concepita allora come un modello opposto e alternativo rispetto al dispotismo orientale.   Ma è rimasto strisciante un rimpianto per quel presunto, immaginario assetto organico e stabile dei valori e dei modi di vita che secondo i romantici , soprattutto tedeschi (come Hölderlin), avrebbe caratterizzato il Medioevo cristiano.

Un rimpianto affiorato recentemente anche quando si vollero definire le ‘radici’ dell’Europa nel preambolo della Costituzione europea…
Prosperi – Esattamente anche se il tentativo si arenò sulla questione delle “radici cristiane”. Di fatto, sopravvive in profondità l’antico conflitto tra le due grandi tradizioni culturali europee, quella francese della ‘civilisation’ illuministica, laica e cosmopolita, e quella tedesca della ‘Kultur’ come rivendicazione di un patrimonio di valori proprio ed esclusivo della tradizione germanica. Fu su questo che all’accendersi della Prima Guerra Mondiale avvenne una mobilitazione degli intellettuali delle due parti. E la questione si ripresentò assai più grave col III Reich, quando gli ideologi nazisti fecero una specie di lavaggio del cervello al loro Paese con un’assidua propaganda dell’idea di un’identità germanica a sfondo razziale.

Oggi la ripresa del concetto di identità esteso all’Europa ha trovato curiosamente proprio un teorico francese, Renaud Camus: il suo libro ‘Le grand remplacement’ del 2011 è diventato il “mein Kampf” della destra xenofoba mondiale, armando attentatori xenofobi dall’Italia (Luca Traini) alla Nuova Zelanda (Brenton Tarrant). E la propaganda continua, all’ombra della teoria delle tre “I”: Identity, Immigration, Islam. Non immaginavamo che il senso del pericolo potesse lambire perfino la suprema autorità dell’amministrazione europea. Ma se la Germania oggi dominante nell’Europa occidentale torna a parlare così per bocca della sua nobile figlia, rischia di apparire ancora una volta un gigante economico e un nano politico.

Questo ritorno ossessivo al concetto di identità è quindi il sintomo di un malessere sociale. Che cosa ci ha insegnato la Storia a questo proposito?
Prosperi – Ci sono molti insegnamenti. Ma userò parole non mie per rispondere alla domanda: “A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che ‘ogni straniero è nemico’. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente … Ma … quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager”. Quando Primo Levi scriveva queste parole, le vittime dei lager erano non solo milioni di morti, ma anche la stessa storia e cultura europea, precipitate nell’abisso di un delitto per il quale è stato coniata la definizione di ‘male assoluto’. Sembrava possibile rispondere allora: ‘Mai più’. Oggi lo ‘straniero’ che si avvicina ai nostri confini si vede condannato dagli immemori Stati e popoli europei all’annegamento o, se approda alle nostre rive, al lager.

Il concetto di identità andrebbe quindi cancellato dal nostro vocabolario?
Prosperi – Credo che potrebbe decentemente rimanere solo nel lemma “carta d’identità”.

Cosa difficile se si pensa che anche qui in Italia il sovranismo è ossessionato dall’identità italiana, le radici cristiane…
Prosperi – La presunta identità italiana, su cui da anni sopportiamo sproloqui di giornalisti e politicanti, è una categoria insensata. Perfino l’invenzione fascista della ‘razza italiana’ nel 1938 si dovette rassegnare a definirla come razza solo in senso ‘spirituale’, non biologico. Quando l’Istituto dell’Enciclopedia italiana varò il dizionario biografico degli italiani, dovette adottare criteri speciali per evitare che i primi volumi fossero dedicati tutti a cognomi arabi. Oggi bisognerebbe prendere atto finalmente della realtà culturale e storica del nostro Paese, da sempre al centro degli incontri di popoli e di culture nel Mediterraneo: una potenziale ricchezza culturale e umana che aspetta di venire riconosciuta come la sostanza stessa del vincolo di cittadinanza che ci lega.