IAI
Tra sovranità territoriali e diritto del mare

La pesca in acque libiche in tempo di guerra civile

19 Set 2019 - Natalino Ronzitti - Natalino Ronzitti

Il 12 marzo 2019 Federpesca ha firmato con la Libyan investment authority di Bengasi un accordo per consentire a un numero di pescherecci italiani, di stanza a Mazara del Vallo, di operare in acque libiche. L’accordo di pesca, ovviamente a titolo oneroso, è diventato esecutivo il 15 luglio, ma nei giorni scorsi ne è stata sospesa l’operatività. Il motivo? La Libyan investment authority di Bengasi si trova sotto l’autorità del governo di Tobruk, che fa capo al generale Khalifa Haftar. Il Government of national accord (Gna), con sede a Tripoli, e presieduto da Fayez al-Sarraj, e considerato dalle Nazioni unite come il governo legittimo della Libia, ha definito l’accordo illegale e una violazione delle risoluzioni  dell’Onu.

Ovviamente l’accordo non è un trattato internazionale, ma un semplice contratto di concessione tra un’autorità pubblica e un privato. Prassi non nuova. Solo che in questo caso l’autorità pubblica è incardinata nella struttura di un governo ribelle, che combatte per insediarsi al posto del governo riconosciuto dalle Nazioni unite. La questione comporta l’approfondimento di due problemi: la legittimità della zona di pesca libica e la liceità di intrattenere relazioni commerciali con un governo ribelle.

La zona di pesca libica
La Libia considera il Golfo della Sirte come baia storica, rivendicandone la completa sovranità. Pretesa contestata non solo dagli Stati Uniti, ma anche dall’Italia e dagli altri Paesi membri dell’Unione europea. Nel 2005 la Libia ha poi proclamato una zona di protezione della pesca di 62 miglia marine a partire dalla linea di chiusura del Golfo della Sirte. La zona racchiusa è al di sotto della linea mediana con l’Italia e quindi non si presta a contestazione.

Nel 2009, la Libia ha proclamato una Zona economica esclusiva (Zee), che consente allo Stato costiero l’esclusivo sfruttamento delle risorse naturali, incluse quelle ittiche. L’estensione della zona non è delimitata, rinviando la legge istitutiva al diritto consuetudinario e a eventuali accordi con Stati adiacenti e frontisti. Poiché in linea di principio la Zee ha un’estensione di 200 miglia, si dovrà provvedere con un accordo di delimitazione con l’Italia.

Tuttavia, anche in mancanza di accordo, uno Stato non commette nessuna violazione, qualora si mantenga al di sotto della  mediana. Nel 2018 la Libia ha proclamato anche la sua zona di ricerca e salvataggio (Sar), ma questa non interessa immediatamente la pesca. Si badi bene che la Libia non ha ratificato la Convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare, e quindi fa riferimento al diritto consuetudinario che regola la materia.

La pesca in acque incluse nella zona di pesca/Zee libica è quindi illegittima, tranne che vi sia il consenso dello Stato costiero. I pescatori siciliani possono rivendicare titoli storici, per il fatto che da tempo immemore hanno gettato le reti in acque ora divenute parte della zona di pesca/Zee libica? Certo che sì, ma la questione non è pacifica e di non facile soluzione: meglio risolverla nel contesto di un accordo. Tra l’altro il Trattato italo-libico del 2008 prevede un partenariato di natura economica che ha per oggetto anche la pesca. Della questione ci siamo già occupati qui.

I rapporti economici con un governo ribelle
Sotto il profilo teorico, il Governo di al-Sarraj è il governo legittimo (o costituito) della Libia , mentre quello di Haftar sarebbe un governo ribelle. Tuttavia, il governo di al-Sarraj è solo un ente fiduciario, che gode dell’investitura dell’Onu: manca di effettività. Mentre quello di Haftar esercita il controllo su una vasta porzione del territorio libico. L’Italia non lo ha riconosciuto come governo della Libia (o di uno Stato secessionista), ma lo ha implicitamente riconosciuto come governo di un’entità insurrezionale.

Basti pensare, tra le tante manifestazioni, l’invito e la partecipazione di Haftar alla Conferenza di Palermo del novembre scorso. E’ quindi perfettamente lecito stipulare un accordo di concessione, che non è un trattato internazionale, tra un ente, manifestazione dell’autorità che controlla effettivamente il territorio, e un’associazione di imprenditori della pesca. Non è stata violata nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza! Probabilmente la messa in opera dell’accordo e il suo frettoloso congelamento sono dovute a opportunità politiche, che andrebbero però compiutamente manifestate e spiegate per capire l’indirizzo che il nuovo governo intende seguire nei confronti della Libia.

Quale strada percorrere?
Sarebbe opportuna la stipulazione di un trattato in bella e dovuta forma, invece di un accordo privatistico? Qui le cose si complicano. Mentre la delimitazione dei confini marittimi è materia degli Stati membri Ue, la stipulazione di accordi di pesca ricade sotto la competenza dell’Unione. Tra l’altro proprio l’anno scorso era stata presentata una mozione al Parlamento europeo per l’adozione di una risoluzione volta a chiedere la conclusione di un siffatto accordo, che, a nostro parere, dovrebbe riconoscere i diritti storici dei pescatori siciliani.

Ma ovviamente l’Ue non può spingersi a tanto nel contesto attuale e la sua politica di vicinato nei confronti della Libia è giocoforza a bassa intensità e tenuta nei confronti del governo insediato dalle Nazioni unite. Peraltro, questo, anche se privo di effettività, potrebbe ratificare la Convenzione del diritto del mare, sempre che non esistano insormontabili questioni costituzionali interne (ad esempio l’autorizzazione parlamentare). La ratifica della Convenzione offrirebbe un quadro di riferimento non indifferente per il perseguimento di una politica nel settore della pesca. L’Italia e l’Ue dovrebbero prendere iniziative in tal senso. Per il resto, e in attesa di una pacificazione generale, si potrebbe procedere con iniziative di carattere “privatistico” con chi controlla effettivamente il territorio.