Italia/Ue: governo, con una piroetta, siamo di nuovo europei
Con una piroetta di 180 gradi ritorniamo a un governo “quasi-normale”. Dai toni e discorsi sovranisti e fortemente anti-europei degli esponenti leghisti dell’esecutivo giallo-verde, siamo passati in poco meno di un mese a una compagine governativa che in politica estera ed europea fa intravvedere una direzione del tutto opposta. Al di là del programma di governo, ancora troppo generico per essere giudicato, i punti di forza sono nei nomi dei responsabili di alcuni ministeri chiave. Roberto Gualtieri all’economia, Enzo Amendola alle politiche comunitarie, Lorenzo Guerini alla Difesa costituiscono, assieme al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, un gruppo europeista credibile e impegnato sul fronte di una costruttiva partecipazione alle politiche e alle future iniziative dell’Unione. L’aggiunta di Paolo Gentiloni come commissario nel nuovo Esecutivo di Bruxelles non fa altro che rafforzare questa impressione.
La vittoria di Pirro e il mantra del complotto
Di fronte a questi ultimi eventi il successo politico della Lega alle elezioni europee assomiglia molto ad una vittoria di Pirro. L’avanzamento del fronte sovranista nell’Unione è stato piuttosto contenuto e i grandi rivolgimenti sognati da Matteo Salvini non ci sono stati. Anzi, le nomine di Ursula von der Leyen alla testa della Commissione, di David Sassoli alla presidenza del Parlamento e di Christine Lagarde alla Bce non hanno fatto altro che confermare la volontà di procedere con maggiore decisione sulla strada di una maggiore integrazione, magari dal volto più ‘umano’ di quanto non sia stato fino ad oggi.
Ed è anche patetico risentire il mantra salviniano di una congiura europea contro di lui e a spese dell’Italia attraverso l’imposizione di un governo più in linea con le politiche dell’Unione. Non vi è dubbio che i leader europei guardino con maggiore speranza ad un governo che appaia intenzionato a collaborare e a condividere le decisioni comuni. D’altronde dovrebbero comprendere tutti, a cominciare dai leader politici, che l’essere membri (per di più fondatori) di un’Unione di Stati significa condividere anche le vicende politiche interne.
Le elezioni nazionali e le crisi politiche di ciascun Paese membro riguardano l’insieme dell’Unione. Ricordiamoci ad esempio l’ansia con cui erano seguite le vicende governative ed elettorali in Grecia ai tempi della grande crisi dell’euro o come in tempi più recenti ci si preoccupi collettivamente del tormentato sviluppo a Londra del futuro della Brexit. Non vi sono quindi complotti (plutocratici, verrebbe da dire!) contro il nostro Paese, ma la giusta e ovvia preoccupazione sui nostri comportamenti nei confronti di un’Unione i cui destini dipendono in grande parte anche dalle vicende politiche di ciascuno dei suoi Paesi partecipanti.
Coperti sull’Europa, scoperti sull’estero
Se quindi, dal punto di vista delle politiche nei confronti dell’Europa, appaia oggi possibile intravvedere un futuro meno conflittuale e maggiormente costruttivo, sia sul fronte della flessibilità e della crescita economica che su quello della gestione dei flussi migratori, più problematico appare il settore della politica estera in senso stretto.
La nomina di Luigi Di Maio a gestire la Farnesina è un punto di domanda che avrà bisogno di tempo per trovare risposte positive. A parte la sua ovvia inesperienza in materia, a preoccupare sono le sue passate posizioni soprattutto sul fronte dei rapporti bilaterali, fronte in cui si sostanzia gran parte della politica estera di un Paese dell’Unione.
Nella precedente esperienza governativa sono entrate in crisi le relazioni con due partner chiave per i nostri interessi nazionali: la Francia e la Germania. Nel primo caso con Parigi si è sfiorata la rottura diplomatica, proprio a causa di alcune imprudenti iniziative del neo-ministro degli Esteri (gli incontri con i Gilet Gialli); nei confronti di Berlino, invece, s’è assistito ad un vuoto di rapporti che non s’era mai visto nel passato. E’ quindi abbastanza evidente che è nostro interesse ristabilire un forte legame con questi nostri partner.
Oggi che la Gran Bretagna è sulla via dell’abbandono dell’Unione sarebbe più che mai opportuno cercare di fare rinascere (come è stato molto spesso in passato) un triangolo di rapporti virtuosi all’interno dell’Ue con un’Italia fattore di collegamento e “comunitarizzazione” delle iniziative bilaterali che dovessero nascere fra Parigi e Berlino. Ma è ovvio che per riuscirci bisogna ristabilire i rapporti sotto tutti gli aspetti, anche quello delle politiche bilaterali.
Una politica estera italiana, non tante politiche estere
Certamente Di Maio potrà avvalersi, oltre che del qualificato staff della Farnesina, anche della copertura di un presidente del Consiglio che nella precedente esperienza di governo era riuscito a mantenere un certo livello di cooperazione con i due partner. Ma gli equivoci del passato vanno rapidamente superati.
Più in generale l’intero spettro delle relazioni bilaterali, anche al di là dell’Ue, va ripensato e rimediato, a cominciare dal Venezuela, dalla Russia, dalla Cina per finire allo spinosissimo dossier della Libia, su cui abbiamo assistito nel recente passato a prese di posizioni e decisioni erratiche e spesso contraddittorie fra di loro.
Alla luce di queste considerazioni, è assolutamente necessario che la politica europea ed estera di questo nuovo governo trovi una capacità di coordinamento e coesione di gran lunga superiore a quella che abbiamo vissuto nei mesi precedenti. Sarà perciò di vitale importanza che tale sintesi ritorni appieno nelle mani della Presidenza del Consiglio e non si assista più allo squallido e dannoso spettacolo di singole politiche estere ed europee da parte dei singoli ministri del governo. Ne va della nostra credibilità e del nostro interesse nazionale.