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Elezioni politiche martedì 17 settembre

Israele: si torna al voto, ipotesi coalizione nazionale

12 Set 2019 - Luca Ciampi - Luca Ciampi

Israele, Alta Galilea, Moshav Avivim, pomeriggio di domenica primo settembre 2019 (che coincide con il rientro a scuola di un milione e mezzo di studenti israeliani, dopo l’estate). Risuonano le sirene d’allarme lungo l’arco settentrionale di Israele al confine con il Libano, la popolazione civile israeliana è costretta a ripararsi nei bunker antimissile: le milizie sciite di Hezbollah hanno appena lanciato missili anticarro contro una postazione militare di Tsahal, l’Esercito israeliano, dislocato a ridosso della Blue Line.

Raid e repliche
Lo Stato Maggiore israeliano, elevato il livello di allerta al confine e revocate le licenze ai militari, ha risposto come da prassi all’attacco, neutralizzando diversi obiettivi collegati a Hezbollah, nel sud del Libano. La crisi si è aperta quando, secondo la stampa libanese, due droni israeliani sarebbero precipitati (25 agosto) nel quartiere sciita di Beirut, durante un tentato raid contro componenti missilistiche di Hezbollah.

Lo stesso giorno, in un altro raid in Siria (non confermato da Israele), erano stati colpiti due miliziani libanesi. Questo registrato è il primo scontro ufficiale fra Hezbollah e l’Esercito israeliano dal 2006, ossia dall’ultima operazione in territorio libanese di Tsahal (morirono 119 militari israeliani e circa 500 miliziani sciiti). Anche allora, il casus belli fu un attacco, più grave, contro una pattuglia di Tsahal lungo la frontiera libanese: oggi, a deteriorare la situazione si aggiunge la dichiarata presenza militare iraniana in Siria e nella regione mediorientale (dall’Iraq allo Yemen), che Israele intende arginare con ogni mezzo (inclusa una ‘rivoluzionaria’ collaborazione con alcuni Stati arabi sunniti).

Il quadro pregresso
In tale quadro, il 17 settembre l’elettorato israeliano è chiamato nuovamente alle urne (seconda volta nel 2019) per eleggere i 120 membri della Knesset, parlamento monocamerale. La precedente tornata elettorale (9 aprile) aveva fatto registrare un risultato di parità (35 seggi) fra i due schieramenti principali: Likud, del premier uscente Benjamin Netanyahu (incaricato di formare il nuovo esecutivo), e Blu&Bianco, guidato dall’ex capo di Stato Maggiore Benny Gantz.

Il ritorno al voto è dovuto al fallimento dei negoziati condotti da Netanyahu per formare la maggioranza, naufragati davanti all’ostinazione dell’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman (leader del partito laico nazionalista, Israel Beytenu) che, in cambio dell’appoggio al governo in Parlamento, pretendeva la fine dei benefici agli ebrei ultraortodossi (a partirte dall’esenzione dal servizio di leva), uno dei pilastri su cui il Likud basava (e basa) la campagna elettorale, in sintonia con i partiti religiosi espressione degli insediamenti in Cisgiordania.

Cosa può cambiare
Nell’attuale cornice, rispetto ad aprile, si registrano alcuni cambiamenti, su tutti la costituzione di Yamina (movimento nazionalista dell’ex ministro della Giustizia, Ayelet Shaked), nato dalla fusione di due partiti di destra. Verosimilmente, Yamina appoggerà, salvo sorprese dovute a contrasti precedenti con Netanyahu, il Likud che, recentemente, ha assorbito il partito libertario Zehut, con la promessa, in caso di vittoria, di una legge sull’importazione della cannabis per usi terapeutici e di un ministero.

Sul fronte opposto, Blu&Bianco è appoggiato dal neo costituito Campo Democratico, fronte rappresentato dal partito ambientalista Meretz e dal neo partito Israele Democratico, guidato dall’ufficiale più decorato nella storia del Paese, l’ex premier Ehud Barak, l’ultimo politico che, negli ultimi 19 anni, alla guida dei laburisti, è riuscito a battere Netanyahu. Anche il partito laburista, sconfitto clamorosamente nelle passate elezioni (sei seggi), e che affida la leadership all’esperto Amir Peretz (già capo del partito dal 2005 al 2007) intende appoggiare Blu&Bianco.

Mossa a sorpresa dei partiti arabi, che optando per una lista unica e superando le tipiche divisioni interne, proporranno, in cambio di maggior inclusione sociale della minoranza araba israeliana, supporto esterno a un eventuale governo guidato da Gantz, che conferma nelle proprie liste la giornalista Mreeh, prima donna drusa candidata alla Knesset.

In generale si registra una diffusa spinta dell’elettorato verso una visione più laica della politica, meno condizionata dalle minoranze ultra-ortodosse e ultra-nazionaliste. Anche per questo, la costituzione di Campo Democratico, posizionatosi a sinistra in termini di programmi, potrebbe avere l’effetto di ‘spostare più a destra’ Blu&Bianco, sempre più percepito dall’elettorato quale alternativa credibile al Likud.

I sondaggi
Stando alle previsioni e in virtù del previsto calo di affluenza alle urne (60% degli aventi diritto contro il 67% di aprile), nessuna coalizione raggiugerebbe i 61 seggi necessari per avere la maggioranza. A oggi, Blu&Bianco, nonostante gli appoggi esterni, conterebbe 52 seggi totali, mentre il Likud non andrebbe oltre i 53.

Anche stavolta, Israel Beytenu, che potrebbe ottenere 8/11 seggi, diventerebbe determinante: il partito di Lieberman non ha escluso l’appoggio a un’eventuale coalizione nazionale, prevedendo un pragmatico triumvirato con il Likud e Blu&Bianco (l’incarico di premier ruoterebbe tra Netanyahu, Gantz e Lieberman), relegando così all’opposizione sia i partiti religiosi sia quelli di sinistra, percepiti come corpo estraneo dall’elettorato laico e nazionalista.

Le prospettive
Nonostante le opposizioni appaiano più credibili e organizzate rispetto ad aprile scorso, l’uomo forte da battere resta Netanyahu, a cui l’elettorato israeliano (inclusi taluni avversari politici) riconosce i meriti d’una politica che ha garantito elevati standard di sicurezza, progresso tecnologico e crescita economica (+ 3% annuo di media, con quota di investimenti in ricerca e sviluppo pari al 4.3% del Pil).

Sebbene di piccole dimensioni, Israele ha confermato nel tempo la capacità di generare opportunità, rafforzando peraltro le relazioni strategiche con Washington e con Mosca, oltre che con un ampio numero di Stati africani e asiatici. Di contro, la difesa dei privilegi agli ultra-ortodossi e le note vicende giudiziarie a suo carico (non ancora definite) hanno ridotto il consenso sul premier uscente, orientando il voto verso un cambiamento storico, oggi non improbabile.

Tuttavia, l’aspetto sicurezza (minaccia iraniana, Hezballah, questione palestinese, ruolo di Hamas e confine siriano) condizionerà, come da tradizione, gli esiti del voto politico. Anche per questo, non è escluso che Netanyahu, forte di una verosimile, lieve maggioranza in termini di seggi e alla ricerca di un governo che dovrà presentarsi stabile in sede internazionale (Donald Trump vuole chiudere quello che lui chiama ‘l’accordo del secolo’), proponga, con una mossa a sorpresa, un governo nazionale di larghe intese basato su programmi condivisi e, soprattutto, sull’alternanza nell’incarico di premier a uno tra Lieberman e Gantz  (accuse di frode e corruzione permettendo).