Israele: incertezza, Netanyahu non vince, ma ha i giochi in mano
Con i risultati delle elezioni politiche del 17 settembre quasi definitivi (l’ufficialità sarà comunicata al presidente Reuven Rivlin e i dati pubblicati solo il 25 settembre), l’unica cosa sicuramente certa è l’incertezza e l’instabilità del quadro politico in Israele. Il nuovo voto, a soli cinque mesi da quello di aprile, non ha consentito di dirimere i dubbi.
La tornata appena conclusa è stata una vera e propria consultazione pro o contro il premier più longevo nella storia del Paese, Benjamin Netanyahu: da un lato, il voto ha confermato l’incertezza politica già emersa ad aprile; dall’altra, ha lasciato al premier una giocata decisiva.
Un sistema nel quale sei milioni di cittadini devono eleggere 120 parlamentari ha nel suo Dna la possibilità che ogni singolo voto cambi l’esito delle elezioni. Ecco perché la commissione elettorale centrale questa volta ci sta andando con i piedi di piombo, controllando minuziosamente tutti i suffragi prima che il presidente Rivlin cominci il giro di consultazioni. Giro che potrebbe, secondo indiscrezioni di stampa, iniziare domenica. Ma non è escluso che il presidente, in un contesto d’incertezza, dia più tempo ai partiti per trovare la quadra.
Il successo (inutile?) dei partiti arabi
Il dato che emerge netto è che il voto contro Netanyahu ha prodotto un aumento dei suffragi ai suoi avversari o, comunque, a quanti lo vedono come un nemico, partiti arabi in testa. La vittoria è proprio di questi: ad aprile l’astensionismo cronico degli arabi israeliani aveva favorito gli altri partiti e sancito anche la quasi scomparsa della sinistra; stavolta, invece, l’aumento della partecipazione degli elettori arabi ha comportato un aumento dei voti (e dei seggi) per i partiti arabi e la sinistra.
Voti (e seggi) che probabilmente non saranno però utili per la formazione del governo, per cui ci vogliono almeno 61 seggi. Ciosì come stanno le cose (la commissione elettorale è al 98% dei voti scrutinati), i risultati vedono il Blue and White di Benny Gantz, l’ex capo di Stato maggiore ai tempi della guerra con Gaza nel 2014, con 1.148.700 voti, pari al 25,93% che danno 33 seggi; il Likud dell’attuale premier con 1.111.535 voti, il 25,09%, e 31 seggi. Al terzo posto, la lista unica dei partiti arabi con 470.611 voti, il 10,62% con 13 seggi.
L’ipotesi governo di unità nazionale
Questi ultimi, è però improbabile che entrino in un governo (cosa mai successa), anche per una questione di veti incrociati: al massimo, potrebbero dare un sostegno esterno. Ed è su questo che puntano gli anti-Netanyahu. Perché alla fine, conti alla mano, nessuno ha i numeri per formare un governo e il presidente Rivlin avrà una brutta gatta da pelare per scongiurare le terze elezioni in poco tempo.
In verità, una soluzione ci sarebbe: basterebbe che Netanyahu faccia un passo indietro e Israele potrebbe avere un governo già nelle prossime settimane. La soluzione più praticabile è un governo di unità nazionale che metta insieme i centristi di Gantz, il Likud di Netanyahu e i destrorsi di Yisrael Beytenu di Avigor Lieberman, che viaggiano tra gli 8 e i 9 seggi; insieme, quindi, arriverebbero a una buona maggioranza di 72/73 voti, sicuramente solida rispetto a quella risicata composta dai soli Gantz e Netanyahu. Lieberman, però, è quello che, pur essendo alleato di Netanyahu, non ha accettato l’ingresso nel governo dopo le elezioni dello scorso aprile, rimandando il Paese alla tornata elettorale di martedì scorso.
Il peso della vicenda giudiziaria di Netanyahu
Sia lui che Gantz non avrebbero difficoltà a entrare in un governo di coalizione, ma Bibi dovrebbe esserne fuori. Improbabile che i due accettino la proposta dell’attuale capo del governo di un premierato a rotazione: sì al Likud ma senza il nemico Netanyahu. A questo punto, è probabile che per senso di responsabilità (o più facilmente per non perdere altri consensi), il Likud possa chiedere al suo capo un passo indietro. Passo che gli costerebbe non poco, dal momento che fra meno di un mese dovrebbe difendersi in tribunale dalle accuse mossegli dal procuratore generale.
Facendolo da parlamentare, non avrebbe lo scudo che invece gli viene garantito da premier. A Netanyahu non resterebbe quindi che offrire qualsiasi cosan a Lieberman per portarlo nel governo insieme agli altri partiti di destra, che insieme fanno 24 seggi e che, sommati ai 31 del Likud, arrivano solo a 55. Gli 8-9 dei russi di Lieberman ssarebbero quindi fondamentali per raggiungere la maggioranza.
Gantz, invece, se prende su gli arabi (improbabile), perderebbe sicuramente Lieberman e viceversa. Alla fine, come oramai da qualche tempo, Netanyahu è l’unico che può sciogliere i nodi dell’incertezza.