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Al voto martedì 17 settembre

Israele: elezioni, Netanyahu fra annessione, processi ed escalation

16 Set 2019 - Leone Radiconcini - Leone Radiconcini

Martedì 10 settembre, ad una settimana dal voto per le elezioni politiche in Israele, il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu ha affermato che in caso di vittoria procederà all’annessione dei territori nella valle del Giordano. Tale zona si trova in Cisgiordania, sotto il controllo dell’Autorità palestinese nell’Area C, come previsto dagli accordi di Oslo del 1993. La dichiarazione di Netanyahu è stata ufficialmente condannata da diversi Paesi arabi (fra cui Arabia Saudita, Emirati, Bahrain), ma sembra essere in linea con le politiche finora proposte dal Likud, partito di centro-destra guidato dal primo ministro, sostanzialmente appoggiato in tali scelte dall’Amministrazione statunitense.

Le ragioni non solo politiche del costante spostamento a destra
Quanto proposto da Netanyahu rispecchia una prospettiva ormai adottata da qualche anno dal primo ministro e dal suo partito: procedere progressivamente a un’annessione dei territori già ufficiosamente sotto il controllo israeliano. Il sostanziale spostamento del primo partito israeliano verso posizioni sempre più simili a quelle prese dai partiti della destra – sia religiosa che secolare – deriva da diversi fattori. Il principale sembra essere quello di una sostanziale rinuncia alle prospettive di dialogo con la controparte palestinese e un conseguente spostamento dell’opinione pubblica verso soluzioni alternative a quella del dialogo e ancor di più di distanza dalla prospettiva della potenziale nascita di due Stati. Netanyahu ha pertanto promosso una serie di politiche volte ad attirare il consenso della popolazione verso un nazionalismo sempre più netto e un espansionismo costante. In tal senso la legge dello ‘stato nazione’ è stato un importante tassello, a cui va aggiunto l’avallo del presidente statunitense Donald Trump all’annessione delle alture del Golan e lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme.

La ricerca di questo consenso da parte del primo ministro non è legato esclusivamente alla competizione elettorale. Netanyahu si trova, infatti, a dover affrontare a breve dei processi per frode ed abuso di fiducia. Nel caso in cui dovesse fare ciò non da primo ministro ma da membro della Knesset si troverebbe in una situazione fortemente problematica, impossibilitato a tutelarsi attraverso il potere esercitato tramite la direzione dell’esecutivo. Per questo motivo appare centrale non solo politicamente, ma anche personalmente per il primo ministro mantenere la propria carica.

Per raggiungere tale obiettivo Netanyahu ha continuato a spingere il proprio partito sempre più lontano dal centro, verso posizioni di definizione etnico-religiosa dello Stato, di supporto alle istanze della componente ultra-ortodossa della popolazione e anche di confronto e scontro con i nemici di Israele. La promessa dell’annessione della Valle del Giordano va quindi inquadrata in una prospettiva fortemente connotata dalle prossime elezioni: rappresenta un tentativo esplicito da parte di Netanyahu di massimizzare il proprio consenso a discapito dell’effetto che tale scelta può avere sulle pessime relazioni con la Palestina e in generale sull’opinione pubblica internazionale, già fortemente critica verso le azioni del governo israeliano in Cisgiordania.

Un altro aspetto che denota quanto il premier uscente veda come fondamentali queste elezioni è riscontrabile in alcune dichiarazioni rilasciate dopo le elezioni di aprile, il cui esito non ha portato alla formazione di un nuovo governo. Netanyahu ha in più occasioni attaccato la legittimità del voto tenutosi in primavera e sostenuto teorie che vedono un complotto ai suoi danni e che coinvolgono il cosiddetto ‘Deep State’, ossia tutti quei rappresentati, istituzionali o meno, della realtà pubblica – giornalisti, giudici, procuratori, funzionari pubblici – che non gli sono favorevoli. Sembra pertanto che il premier uscente sia disposto a mettere in dubbio il funzionamento del sistema istituzionale, come fin qui concepito in Israele, pur di mantenere la propria posizione.

L’escalation con l’Iran
La centralità di questo passaggio elettorale per il premier è stata testimoniata anche in un’altra occasione. Lunedì 9 settembre Netanyahu ha infatti sostenuto che l’Iran sta lavorando alla creazione di un ordigno atomico, indicando la regione di Fars come quella dove i preparativi nucleari iraniani si svolgono. L’opposizione ha criticato tale scelta come un’azione mediatica il cui unico scopo è stato quello di ottenere consensi elettorali senza tenere conto della potenziale compromissione di informazioni di intelligence ed aumentando i rischi di un’escalation con la repubblica islamica.

Da tempo infatti il primo ministro è stato molto attento a sottolineare tutte le azioni aggressive intraprese dall’Iran più o meno direttamente contro Israele e dallo stato ebraico in risposta: in parte perché la politica regionale promossa dall’Iran offre supporto a diversi gruppi che costantemente attentano alla sicurezza dello Stato di Israele; in parte perché il presidente Trump sembra sempre più interessato a trovare una soluzione (quantomeno mediatica) ai pessimi rapporti fra Stati Uniti ed Iran e ciò spaventa il governo israeliano; in parte perché Netanyahu sembra vedere in questo scontro costante a bassa intensità (per il momento) un fattore importante per il mantenimento dei propri consensi.

Un futuro incerto
Non è detto che le elezioni di martedì 17 settembre riescano a far uscire dall’impasse la situazione governativa in Israele. Appare però chiaro che il premier uscente cercherà in ogni modo di mantenere la propria posizione, aspetto certamente legittimo e naturale nell’ambito della competizione elettorale, ma in questo caso fortemente marcato dall’interesse personale e da un certo cinismo verso il sistema istituzionale e mediatico. Se Netanyahu dovesse rimanere in carica, sembra plausibile aspettarsi una politica ancor più marcatamente a destra rispetto a quella fin qui tenuta dal primo ministro.

L’annessione della valle del Giordano potrebbe essere un passo in avanti verso l’annessione della Cisgiordania nella sua interezza, politica sostenuta dalle destre e non osteggiata direttamente dal Likud. I rapporti con l’Iran rimarrebbero certamente tesi, a prescindere dal governo in carica, ma sicuramente l’attenzione dimostrata dal premier per l’opinione pubblica oltre qualsiasi altro fattore potrebbe portare ad altri casi di scontro con la repubblica islamica e a un’escalation della conflittualità.