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Gli elicotteristi italiani in Libano

Unifil: Italair, presente e futuro della più antica missione

18 Ago 2019 - Marco Petrelli - Marco Petrelli

Quarant’anni e non sentirli: quelli di Italair, task force dell’Aviazione Esercito (Aves) impegnata in Libano dal luglio 1979 e, di fatto, la più antica missione in seno alla United Nations Interim Force in Lebanon (Unifil). Quattro decenni durante i quali gli elicotteristi italiani hanno garantito supporto e sicurezza alla popolazione libanese: attività che, con ogni probabilità, continueranno a svolgere ancora per molto tempo.

I primordi della missione
La presenza di militari italiani in Libano risale alla fine degli Anni 70, quando le Nazioni Unite autorizzano un intervento nel Sud del Paese allora occupato dalle forze israeliane. 
E’ in questo contesto che si inserisce Italair (costituita il 3 luglio di 40 anni fa), la cui base operativa è Naquora (quartier generale di Unifil) e che, nelle prime fasi, ha il compito di collegamento fra le unità della missione. Compito svolto da Italair con l’ausilio di AB-204B, poco dopo sostituiti dagli AB-205, aeromobili estremamente versatili nonché icona del mondo dell’aviazione – è l’elicottero per antonomasia della Guerra del Vietnam -. 

L’impegno italiano prosegue negli Anni Ottanta con le operazioni Libano 1 e Libano 2: la prima durata appena un mese; la seconda fino al febbraio 1984, in un contesto molto più duro e cruento. Il contingente arriva infatti a poche settimane dai massacri maroniti di Sabra e Chatila.

Italcon 2 è un successo sia sul campo sia in Italia, anche per le modalità con cui è condotta. Privata del cappello Onu dopo il veto sovietico, l’operazione è a sforzo nazionale: la prima dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Diciotto mesi nei quali il contingente (per la maggior parte formato da militari di leva) del generale Franco Angioni assolve al suo compito di protezione dei civili a Beirut e di sostegno alle autorità locali, ottenendone il rispetto e la stima.

L’attuale fase della missione
L’attacco israeliano del 2006 spingerà l’Onu a rinnovare l’impegno di Unifil, con la risoluzione 1701 del luglio 2006. 
Inizia una nuova fase della missione, con un incremento di 15 mila unità (di 42 Paesi) e il conseguente adeguamento di Italair che, da contingente, passa a task force con un aumento di aliquote da 50 a 65 militari in servizio. Anche la flotta, fino ad allora costituita da AB-205, subisce un aggiornamento con elicotteri multiruolo AB-412 e AB-212, versioni più moderne e di maggiore impatto nel teatro operativo. Oggi, la forza complessiva è di sei aeromobili per operazioni Casevac e Medevac (Casualties evacuation e Medical evacuation) a sostegno dei militari Onu e della popolazione civile. 

Con 1072 militari impegnati nell’area, 272 veicoli e i sei elicotteri del Reggimento Sirio dell’Aves, l’Italia è il Paese dell’Onu che più contribuisce a Unifil, tanto che dal 2006 il ruolo di Head of Mission e Force Commander è stato ricoperto da quattro italiani: i generali di Corpo d’Armata Claudio Graziano e Paolo Serra, il generale di Divisione Luciano Portolano e, ora, il generale di Divisione Stefano Del Col. 

Non va poi dimenticata la Mibil (Missione Bilaterale Italia Libano, gennaio 2015) con cui l’Esercito italiano contribuisce alla formazione e all’addestramento dei soldati delle Lebanese Armed Forces e che si inserisce nel contesto di International support Group for Lebanon (Isg), costituito a New York nel 2013 per assistere le autorità e le forze di sicurezza del Libano nel fronteggiare le criticità emerse nel corso della guerra civile siriana.

Dalla sua costituzione, la missione Unifil è costata la vita a 250 uomini: sette italiani (quattro dell’Aves inquadrati in Italair).

I costi e l’impatto economico
Al 2015, la spesa per Unifil e Mibil è di poco più di 160 milioni di euro. Più che di spesa, però, si potrebbe parlare di investimento: nel 2004, infatti, l’Italia ha siglato con il governo libanese un Accordo di cooperazione nel settore della difesa finalizzato allo sviluppo della cooperazione tra i due Paesi e alla promozione di rapporti amichevoli e forme di collaborazione tra le rispettive Forze armate”. 
E fra le voci dell’accordo una parla di “promozione degli scambi di materiali d’armamento appartenenti a tipologie aeree, navali e terrestri, nonché di materiali delle trasmissioni; tali scambi potranno avvenire per opera delle due Amministrazioni statuali, o anche di privati debitamente autorizzati”.

Il contatto sul territorio e la cooperazione per la pace e la stabilità dell’area facilitano le relazioni diplomatiche e commerciali fra il governo di Beirut e le nazioni storicamente più vicine e affini. Da questo punto di vista gli italiani sono riusciti a guadagnare considerazione e stima di istituzioni e popolo. Lo testimonia la visita a febbraio del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, appena una settimana dopo l’insediamento del governo di Saad Hariri. Nell’occasione, il premier libanese ha tenuto a sottolineare come il suo Paese potrebbe diventare “a regional centre for the Italian private sector”. 

Non è un mistero che il Libano abbia fame di investimenti sia per rilanciare l’economia sia per ‘tappare’ il forte debito pubblico accumulato (e che ha ormai superato il 150% del Pil): due anni fa, Beirut ha accordato a una joint venture franco-italo-russa (Total, Eni, Novatek) lo sfruttamento di due blocchi gasiferi lungo le sue coste, un accordo importante in cui l’Eni ha una quota di partecipazione del 40% per ciascun blocco, estendendo così la sua attività nel Mediterraneo orientale oltre l’Egitto e Cipro.

L’Italia è al secondo posto dopo la Cina per valore delle esportazioni in Libano: 1,4 miliardi di dollari nel 2016, 369 milioni nel primo trimestre di quest’anno per materie prime, macchinari industriali, dispositivi tecnologici, chimica e abbigliamento.

Dalla politica estera all’economia, dalla diplomazia alla sicurezza Italia e Libano sono dunque legate da rapporti di fiducia e di stima che si sono consolidati nel tempo, grazie anche alle missioni internazionali quali Unifil e Mibil, con il coinvolgimento di Italair.

Dal punto di vista militare, pare escluso un ritiro in tempi brevi di Unifil, da un angolo di mondo dove i tempi della diplomazia sono molto lunghi e i rischi di guerra, al contrario, immediati e potenzialmente dirompenti. Le tensioni fra Israele e Libano continuano per i diritti di sfruttamento delle risorse energetiche sottomarine e si materializzano in sconfinamenti di motovedette lungo la Buoy line, continuazione in mare del confine israelo-libanese.