Mediterraneo: Taylor; sicurezza, cosa devono fare Francia e Italia
“L’intervento francese in Libia del 2011 è stato considerato dall’Italia come un insulto. Si è trattato di una sorta di monito dal quale si poteva capire che stava per nascere un conflitto tra i due Paesi europei con conseguenze significative in termini di immigrazione e di destabilizzazione dei Paesi del Sahel” ha dichiarato Paul Taylor, senior fellow di Friends of Europe ed editorialista di Politico, ad Affarinternazionali in occasione della presentazione di una nuova indagine di Friends of Europe, un think-tank con sede a Bruxelles che analizza le politiche dell’Unione europea. Il rapporto, scritto da Taylor, analizza le nuove sfide della sicurezza nel Mediterraneo e il ruolo dell’Italia nell’influenzare la risposta europea.
In questo momento, quali sono le maggiori difficoltà che l’Italia sta affrontando nel Mediterraneo?
Paul Taylor – Oggi la regione che va dal Corno d’Africa al Sahel è caratterizzata da una forte instabilità, dovuta a forti tensioni, fragilità interne dei singoli Paesi, e spesso scenari di guerre civili. Ai conflitti per l’accaparramento delle risorse, in aree che fino a poco tempo fa erano soggette al colonialismo e successivamente a conflitti etnici, si aggiunge il problema del cambiamento climatico, della desertificazione e dell’esponenziale crescita delle popolazioni. Nel futuro, tutti questi fattori sono destinati a creare nuove guerre. Oggi invece si riversano in modo confusionario sulle coste dell’Europa meridionale e l’Italia, data la sua posizione geografica, è la nuova frontiera delle migrazioni africane.
Cosa deve fare l’Italia per far fronte all’immigrazione?
Paul Taylor – Per riuscire a risolvere questo problema, che non può essere affrontato con mezzi militari, l’Italia, ancora più degli Stati del Nord Europa, deve attuare una seria collaborazione con l’Unione europea e la Nato. Il Mediterraneo è sempre stato teatro di conflitti ma anche di cooperazione, di commercio e di interazioni umane. Per gestire i flussi da Sud verso Nord c’è bisogno di un’azione congiunta: non possiamo risolvere questi problemi nel loro complesso, ma possiamo provare a mitigarli attraverso la cooperazione. Se avviamo una politica per la quale l’unico modo per entrare in Europa è attraverso la richiesta di asilo politico, allora stiamo creando problemi prima di tutto a noi europei.
L’unico modo per ridurre la pressione sui nostri Stati è creare più opportunità per un tipo di immigrazione legale, ad esempio attraverso la concessione di permessi lavorativi temporanei e così via. In sintesi la domanda che l’Italia dovrebbe porsi in questo momento è: quale strada bisogna intraprendere per attuare una collaborazione solida con l’Ue e la Nato che sia in grado di risolvere la crisi migratoria?
L’Italia è quindi responsabile di un certa passività all’interno dell’Ue in alcuni settori chiave?
Credo che in questo momento l’Italia stia vivendo un conflitto con i suoi più importanti partner europei, in particolare Francia e Germania. Pensiamo al conflitto libico, dove in questo momento la Francia e l’Italia hanno posizioni opposte. È vero che non sono gli unici Paesi scesi sul campo libico e anche se iniziassero una stretta collaborazione, non è detto che potrebbe essere sufficientemente forte dal fermare la guerra civile e arrivare ad una soluzione politica. E questo per via della moltitudine degli attori in campo: da una parte ci sono l’Arabia Saudita, l’Egitto, gli Emirati arabi uniti e la Russia; dall’altra la Turchia e il Qatar.
Ma tornando all’Italia e l’Ue, il mese scorso, ad esempio, mi trovavo a Bruxelles al summit dell’Ue dove i leader europei dovevano discutere delle strategie politiche da adottare nei prossimi cinque anni e delle nomine dei nuovi leader delle istituzioni europee chiave. L’Italia era in difficoltà: da una parte sembrava non essere del tutto coinvolta nei dialoghi, dall’altra se ne stava sulla difensiva, dovendo però cooperare comunque con le autorità europee.
Tornando alla Libia, e mettendo da parte l’Italia, come spiegare la mancanza di un’azione collettiva europea
Paul Taylor – L’Ue prende le sue decisioni all’unanimità. Ogni Paese dell’Ue ha i propri interessi storici, ad esempio la Francia con l’Algeria o l’Italia con la Libia. Nel conflitto libico però, posizionandosi su due schieramenti opposti, l’Italia e la Francia si sono neutralizzati a vicenda. Oggi, ciò che è davvero importante è che gli Stati europei che hanno forti interessi in Libia intervengano con l’idea di una collaborazione finalizzata alla riconciliazione con gli altri Paesi dell’Ue. Questo è un buon momento per trovare una soluzione comune. Bisognerebbe prendere l’esempio dalla Francia e dalla Germania, che partono sempre da posizioni diverse, a volte opposte, e dialogano fino a quando non trovano un compromesso.
Prima, però, bisognerebbe provare a fermare le frizioni tra Italia e Francia…
Paul Taylor – Esattamente. Nel mio report è possibile capire cosa c’è all’origine di queste incomprensioni tra i due Paesi: l’intervento francese in Libia nel 2011 è stato considerato dall’Italia come un insulto. Si è trattato di una sorta di monito dal quale si poteva capire che stava per nascere un conflitto tra Italia e Francia con conseguenze significative in termini di immigrazione per l’Italia e di destabilizzazione dei Paesi del Sahel per la Francia. Oggi i due schieramenti dovrebbero farsi un esame di coscienza al fine di riparare i danni compiuti nel passato, assumersi la responsabilità del conflitto e, conseguentemente, il compito di risolverlo. ”