IAI
Scenari di crisi nel mare che fu nostrum

Mediterraneo: mutamenti che incidono su politica estera Italia

7 Ago 2019 - Mario Savina - Mario Savina

Negli ultimi anni il Mediterraneo è stato attraversato da profondi cambiamenti: non temporanei, ma veri e propri mutamenti strutturali, che per molti aspetti rispecchiano le trasformazioni dell’ordine mondiale. A causa di questi cambiamenti, l’Italia si trova oggi costretta ad affrontare in maniera più sistematica la propria politica estera. Il fenomeno migratorio costituisce un esempio evidente di una dinamica che caratterizzerà l’aerea Mena per i prossimi decenni, e che necessita un approccio strategico lungimirante ed indirizzato alle cause di tale fenomeno.

Migrazioni
Mare nostrum per noi italiani lo è ancora, almeno in parte. Se non altro per il modo in cui l’intera Unione europea cerca di giocare il minimo ruolo nella gestione delle rotte migratorie che provengono da sud, lasciandone a noi quasi interamente la responsabilità. Il richiamo dell’Italia al ruolo europeo nell’aerea è stato costante: se da un lato, l’insistenza italiana è stata additata come un tentativo di scaricare responsabilità verso un livello sovranazionale, dall’altro la gestione Ue del fenomeno migratorio dimostra come l’approccio di politica estera dell’Unione necessiti di una profonda revisione.

Negli ultimi anni, a questo isolamento politico, si è aggiunta anche la ‘questione Ong’: la maggioranza di esse, battente bandiere straniere, soccorrono e scaricano nel territorio italiano, considerato la terraferma e il porto sicuro più vicino. Ong che sono diventate il bersaglio di una parte della politica che li considera attori protagonisti nell’intera catena del traffico di essere umani.

Energia
Con gli anni le sorti energetiche dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo si sono intrecciate, soprattutto con l’Italia grazie al lavoro svolto dall’Eni. Non è un caso che proprio a questa azienda si deve la scoperta del mega-giacimento di gas Noor (il più grande del bacino) succedutasi a quella di Zohr, entrambi in acque egiziane. Questi vanno ad affiancarsi ai giacimenti di Leviathan (al largo di Israele) e di Afrodite (in acque cipriote), a dimostrazione delle potenzialità estrattive di questa parte del Mediterraneo.

Le dispute restano sui diritti di estrazione e sfruttamento, da una parte, e tutta la rete di infrastrutture per portare l’energia all’utente finale, dall’altra. L’Eni si è sempre mossa molto bene nel settore, anche se in alcuni casi è stata lasciata un po’ isolata dal governo italiano. A questo proposito, la sfida più importante è relativa al fatto che la politica estera italiana nell’area non abbia unicamente carattere reattivo: l’Italia, dove non sia possibile operare con altri soggetti, dovrebbe avere la capacità di agire unilateralmente a salvaguardia dei propri interessi.

Gli altri attori in campo
Nei secoli il Mediterraneo ha cambiato padrone più volte. Da metà Ottocento è stato dominato da un triumvirato composto da due grandi Imperi, Francia e Gran Bretagna, e dalla piccola Italia, che si faceva forte della sua posizione geografica. La catastrofe delle due guerre mondiali ha cambiato la situazione radicalmente, consegnando l’intero mare agli Stati Uniti; per un periodo l’Unione Sovietica ha tentato di mantenere una presenza limitata ma significativa, per poi ridursi all’utilizzo di porti siriani.

L’assoluto dominio americano cambia alla fine del primo decennio del XXI Secolo, quando il presidente Usa Barack Obama con una nuova strategia militare estera decide di farsi da parte per lasciare la responsabilità alle medie potenze regionali, amiche degli Stati Uniti (un ritiro mai avvenuto completamente). I risultati sono stati molto deludenti, non soltanto nell’area in questione ma anche in tutta quella zona che arriva fino al Golfo, indicata col termine ‘Mediterraneo allargato‘. I disastri che hanno coinvolto Siria e Iraq, la continua anarchia in cui è caduta la Libia, i problemi irrisolti dell’Egitto, l’instabilità del Sahel sono tutte conseguenze di quel mal calcolato ‘ritiro’ statunitense, alla vigilia delle primavere arabe e con un’Unione europea paralizzata e incapace di elaborare una politica estera comune.

Ad oggi Washington mantiene un netto vantaggio militare, resta  il principale interlocutore di ogni governo autoctono: in Libia, dove gli esecutivi sono più di uno, sceglie di schierarsi con tutti e contro tutti. Senza garantire investimenti, senza vendere eccessive quantità di armi, senza acquistare gli idrocarburi locali. In Egitto, importante per la sua dimensione strategica, per il possesso del Canale di Suez e per i confini con Israele, l’ingerenza americana impedisce a Cina e Russia di imporsi, nonostante la formale adesione egiziana alla Nuova Via della Seta e le esportazioni di armi e mezzi russi.

Le ‘novità’ Russia, Cina, Turchia
Ma le lacune lasciate in alcune aree hanno attirato altri attori. La Russia ha aumentato la sua presenza. Stabilita la difesa della presenza e degli interessi in Siria, il Cremlino si è rivolto verso i Paesi settentrionali del Nord Africa, ancora scossi dalle rivoluzioni, puntando sul commercio delle armi, sul settore degli idrocarburi, dell’energia nucleare e sulle forniture cerealicole; oltre a poter evidenziare, dopo il successo in Siria, il proprio ruolo di nemico degli jihadisti e delle visioni politiche islamiche radicali. La Russia è cosciente di non poter avere un ruolo egemone nel Mediterraneo, ma sta cercando di ritagliarsi e difendere degli spazi di manovra indispensabili e riempire quei vuoti lasciati negli scorsi anni dagli Usa (oggi ritornati un po’ più vigili).

La Cina, particolarmente attiva, sta puntando molto sulla Belt and Road Initiative, destinata a trasformare il commercio fra il Mediterraneo e l’Asia. Considera il Nord Africa (e di conseguenza il Mediterraneo) una significativa fonte di risorse energetiche, uno snodo essenziale delle tratte marittime e un punto di osservazione rivolto all’Europa. Nucleo della tattica cinese è l’area tra Gibuti e il Canale di Suez, dove scorre il 60% delle esportazioni cinesi dirette in Europa. Da Gibuti si riversano le principali attività infrastrutturali, commerciali e militari cinesi verso il Mediterraneo.

La Turchia è desiderosa di primeggiare da Cipro alla Libia, mentre le monarchie del Golfo, attraverso finanziamenti e armamenti, agitano il Mediterraneo. Lo scontro tra le due fazioni, Arabia Saudita ed Emirati, da un lato, e Qatar (e Iran) dall’altro, ha delle conseguenze nei Paesi nordafricani: gli esempi sono l’Egitto e la Libia.

In questo scenario è importante che l’Italia riconfiguri la propria politica estera sulla base  di questo riassetto, adoperandosi per rapportarsi con numerosi attori laddove in passato si relazionava  con uno solo e valorizzando la propria posizione geografica, che costituisce motivo di vulnerabilità ma anche di grande opportunità.