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Rischi di marginalizzazione

Italia/Ue: crisi di governo nel periodo peggiore

21 Ago 2019 - Gianni Bonvicini - Gianni Bonvicini

Questa nostra ‘pazza’ e irresponsabile crisi di governo politica estiva, quale ne sia l’esito dopo le comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, capita nel periodo peggiore per noi. Non tanto perché essa avviene a ridosso dei tradizionali e decisivi passaggi verso la nuova legge di bilancio nazionale, ma soprattutto perché essa va a coincidere con un periodo chiave per la prossima legislatura dell’Unione europea: la transizione verso la composizione delle nuove istituzioni europee all’indomani dell’elezione del Parlamento di Strasburgo. Vale la pena ripercorrere il calendario delle tappe verso la definizione dei nuovi equilibri politico-istituzionali all’interno dell’Ue.

Il calendario europeo
Entro fine agosto (lunedì 26) la nuova presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, dovrebbe ricevere da parte dei governi la proposta di un nominativo da inserire nel prossimo collegio di Bruxelles. La data non è vincolante, ma già una ventina di Paesi hanno presentato il loro candidato, di solito accompagnandolo con un suggerimento o una richiesta quanto alla competenza da ottenere. Da parte italiana, come è noto, non è arrivata alcuna indicazione, neppure durante o dopo l’incontro della von der Leyen con Conte all’inizio di agosto.

A seguire, nel mese di settembre la presidente in pectore della Commissione, in accordo con il Consiglio dell’Unione, comunicherà al Parlamento europeo la bozza dei nominativi e delle competenze attribuite ai singoli commissari. A quel punto, l’Assemblea di Strasburgo avvierà le audizioni dei singoli commissari distribuendoli nelle diverse commissioni parlamentari competenti per materia: gli ‘esami’ si terranno tra il 30 settembre e il 7 ottobre. Il successivo Consiglio europeo del 17/18 ottobre approverà la lista definitiva e il Parlamento europeo in seduta plenaria il 24 ottobre voterà la propria fiducia all’intero collegio che, a completamento dell’iter, si insedierà ufficialmente il 1° novembre prossimo.

I giochi sono in atto, l’Italia è in panchina
Se questo è il calendario appare abbastanza evidente che i giochi veri, in termini di attribuzione di portafogli, si svolgano nei prossimi giorni, nel pieno di una crisi di governo dichiarata. Anzi, probabilmente essi sono già in gran parte avvenuti. L’Italia quindi, rischia di rimanere a bocca asciutta dovendosi accontentare di un posto marginale. È quello che lo stesso presidente Conte ha paventato nel discorso in cui ha preso congedo dal governo italiano, prima di recarsi da dimissionario dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Sarebbe davvero un fatto clamoroso, soprattutto se messo a confronto con il recente passato, allorquando dopo un Romano Prodi presidente della Commissione abbiamo potuto anche contare su una posizione di prestigio e di responsabilità nella posizione di Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza comune dell’uscente Federica Mogherini.

In effetti, come è tipico in un’istituzione multilaterale quale è l’Ue, i risultati si ottengono attraverso un’azione continuativa di contatti e negoziati ripetuti con i propri partner e con le istituzioni di vertice dell’Unione. Pensare semplicemente che un Paese fondatore e grande come il nostro possa avere quasi in automatico un posto che conti davvero all’interno dell’Unione è una pia e pericolosa illusione. Essere presenti e credibili in questo delicato periodo di transizione verso le nuove istituzioni dell’Unione è un fatto di vitale importanza. La crisi di governo rischia di indebolire ulteriormente il nostro Paese nel contesto europeo e renderlo ancora più marginale.

Le lezioni del passato (dimenticate)
Non è sempre stato così. Proprio in questi giorni in Trentino, a Pieve Tesino, si onora la memoria di Alcide De Gasperi scomparso 65 anni fa, il 19 agosto del 1954, un paio d’anni dopo il varo della Ceca, la prima tappa del nascente processo di integrazione europea. Uno degli obiettivi dello statista di allora era di rendere l’Italia protagonista della grande avventura europea, trasformandola in un partner credibile e indispensabile. Oggi, ed è questo il punto più dolente nel confronto con il periodo degasperiano, l’Italia sembra non avere più quella volontà pionieristica. Mai come in questo periodo il Paese è stato tanto isolato nell’Unione. Non veniamo considerati né credibili né necessari. Ci limitiamo, da parte delle forze politiche di governo, a minacciare sfracelli con Bruxelles o a battere i pugni sul tavolo.

Tutti questi lunghi anni di nostra partecipazione alle vicende europee sembrano non averci insegnato nulla. È solo attraverso le alleanze con altri partner chiave, a cominciare da Francia e Germania, che possiamo sperare di salvaguardare i nostri interessi, in gran parte giusti ma che possono trovare soluzione solo all’interno dell’Ue. I pessimi rapporti bilaterali con Parigi e la freddezza nei confronti di Berlino non rappresentano una politica intelligente. Da soli conteremo sempre meno. Occorrerebbe da parte della classe politica un buon ripasso della prudenza e della lungimiranza delle scelte degasperiane, di gran lunga più difficili di quelle di oggi per un Paese uscito sconfitto dalla guerra.

I rischi dell’isolamento e della marginalizzazione
Andando avanti così rischiamo infatti di riaprire i dubbi su una Italexit, che per quanto paradossale possa apparire, può trovare ragioni oggettive nelle previsioni di una nuova grande recessione che sta manifestandosi nell’economia mondiale, all’interno della quale il nostro Paese è il più fragile fra quelli grandi europei. Ma anche se questo scenario da incubo non dovesse manifestarsi, l’altro rischio derivante dal nostro isolamento può essere quello di assistere impotenti alla nascita di un gruppo di Paesi dell’Ue decisi a procedere in alcuni settori di integrazione, lasciandoci fuori.

È già accaduto nel passato (vedi Schengen) e vi sono oggi buone ragioni perché ciò si ripeta nel futuro, magari in settori chiave come la difesa o perfino l’immigrazione. Segnali in questa direzione si stanno già manifestando nell’Ue. Perfino la mancata o ritardata designazione di un nostro rappresentante nella Commissione può convincere i nostri partner sulla nostra scarsa volontà di procedere assieme agli altri. Essere presenti a Bruxelles è quindi essenziale anche per la nostra credibilità nazionale. Chissà che prima o poi nel nostro mondo politico non si assista ad un soprassalto di responsabilità per rimetterci in carreggiata con l’Europa. Abbiamo ancora qualche settimana a disposizione.

Foto di copertina © Cosimo Martemucci/SOPA Images via ZUMA Wire