Argentina: dalle primarie a una nuova marea rosa in America Latina
Il presidente in carica dell’Argentina Mauricio Macri ha incassato una pesante sconfitta nelle primarie presidenziali di domenica 11 agosto, che hanno invece sancito il ritorno in auge delle forze peroniste-kirchneriste rappresentate dall’alleanza tra Alberto Fernández e Cristina Fernández de Kirchner. Viste come una prova generale per le elezioni presidenziali di ottobre, le primarie hanno fatto registrare un capovolgimento dei rapporti di forza in Argentina che, qualora confermato, avrebbe importanti ripercussioni sull’intera regione latino-americana.
Il sistema delle primarie presidenziali – primarias abiertas, simultáneas y obligatorias (Paso) – fu introdotto nel 2009 dall’allora presidente Cristina Kirchner. Prevede che tutti i partiti che intendano partecipare alle presidenziali presentino almeno un candidato, che dovrà a sua volta ottenere quantomeno l’1,5% dei voti per potere poi correre alle elezioni. Avendo tutte le formazioni elettorali già individuato aspiranti presidenti e vicepresidenti, non è prevista a questo giro alcuna competizione interna ai partiti e – considerate come vere e proprie “pre-elezioni” – le Paso rappresentano di fatto un sondaggio nazionale obbligatorio.
Volti e numeri
L’attuale presidente di centrodestra Mauricio Macri – intenzionato a candidarsi per un secondo mandato – e il suo vice Miguel Angel Pichetto hanno ottenuto il 33% dei voti su 33 milioni di argentini chiamati alle urne. Un risultato pessimo per Macri e per la sua coalizione Juntos por el Cambio, che sconta la grave crisi economica nel Paese e le conseguenti misure di austerità adottate per farvi fronte.
Il leader dell’opposizione peronista Alberto Fernández – professore di diritto penale all’Università di Buenos Aires e già capo di gabinetto durante la presidenza di Nestor Kirchner – e la sua vice ed già first lady e presidente Cristina Kirchner hanno raccolto il 48% dei voti, assicurando alla loro coalizione Frente de Todos ben 15 punti di distacco rispetto a quella dell’attuale inquilino della Casa Rosada.
Sono quattro i “ticket presidenziali” che hanno raggiunto il quorum per il prossimo turno elettorale. Oltre alle coppie Macri-Pichetto e Fernández-Kirchner, parteciperanno alle elezioni del 27 ottobre anche la coalizione di centro Consenso Federal (8,6%) e il Frente de Izquierda y de los Trabajadores (2,9%).
Austerità e timore dei mercati
Diversi i fattori che hanno pesato sul risultato delle primarie, preludio di quelle elezioni che, come lo stesso Macri ha avuto modo di precisare, saranno “fondamentali nella definizione dei prossimi 30 anni”.
Se da una parte hanno influito i malumori verso un ritorno di Cristina Kirchner, investita da uno scandalo di corruzione, ben più decisivo è il prezzo pagato da Macri. Sull’attuale presidente ha evidentemente pesato il ritorno a politiche di stampo neoliberale e il malcontento per la crisi economica che ha trafitto il Paese e costretto all’intervento del Fondo monetario internazionale – 57 sono i miliardi stanziati per il salvataggio dell’Argentina, il maggiore accordo mai siglato dal Fmi.
La reazione dei mercati ai risultati delle primarie è stata immediata, con la Borsa di Buenos Aires crollata del 9%, successivamente sprofondata a -38% e infine rimbalzata di 11 punti percentuali. Il motivo è presto detto: gli investitori temono un ritorno al controllo dei capitali, che allontanerebbe radicalmente il Paese dalle politiche di Macri all’insegna del libero mercato.
Da Buenos Aires avvisaglie di svolta per il continente
Se i risultati delle primarie fossero confermati alle presidenziali di ottobre così come ampiamente previsto, il ticket peronista-kirchnerista otterrebbe la presidenza al primo turno. Ciò avrebbe effetti significativi non solo in Argentina ma in tutto il subcontinente, configurando una netta svolta rispetto alla linea politica che la regione latino-americana ha intrapreso nel corso degli ultimi anni.
Dopo aver contraddistinto gran parte dell’America Latina con un giro a la izquierda in contrapposizione alle politiche liberiste del Washington Consensus, il progressismo latino aveva infatti subito uno decisa battuta di arresto non solo con la vittoria di Macri in Argentina e la più recente elezione di Jair Bolsonaro alla presidenza del Brasile, ma anche con il mutamento improvviso dell’Ecuador, la difficile situazione venezuelana e una Bolivia danneggiata dalla decisione del suo presidente indio di ricandidarsi per un quarto mandato.
L’elezione del progressista Andrés Manuel López Obrador in Messico ha certamente segnato un punto di rottura nella tendenza a destra della regione, ora potenzialmente rafforzato da un’eventuale vittoria del kirchnerismo a Buenos Aires, storico laboratorio politico della regione. La sterzata argentina, sostenuta dal basso da movimenti di massa sociali e di gender, potrebbe infatti configurare una situazione politica regionale segnata da governi di sinistra nella seconda e nella terza economia latina, con possibile spill-over nel resto dell’area e un conseguente ritorno della marea rosa a seguito della stagione neoliberale.
Tutti da definire, invece, i rapporti che l’Argentina potrebbe intrattenere con la Cina che, secondo partner commerciale del Paese, sarebbe in grado di alleviare il crescente deficit commerciale di Buenos Aires.
Foto di copertina © Julieta Ferrario/ZUMA Wire