Vaticano-Russia: le convergenze tra Francesco e Putin
“C’era un caldo insopportabile in quei primi giorni di luglio”. L’incipit di “Delitto e castigo”, il romanzo pubblicato da Fëdor Dostoevskij nel 1866, sembra scritto apposta per l’ennesimo incontro vaticano tra il presidente russo Vladimir Putin e papa Francesco, giovedì 4 luglio. Il terzo, per l’esattezza, dopo il primo nel 2013 e l’ultimo di quattro anni fa. Durante il magistero bergogliano, soltanto la cancelliera tedesca Angela Merkel è stata ricevuta più volte dal Santo Padre. Non certo un caso, per quello che, ad oggi, è un dei leader più vicini al pontefice.
Affermazione impensabile per molti, conseguenza logica per pochi. Quei pochi che, nel 2004, avevano prestato particolare attenzione alle parole dell’allora cardinale – oggi Papa emerito – Joseph Ratzinger, che aveva spiegato come la Chiesa dovesse sottrarsi alla categoria di “Occidente”.
La “geopolitica dello spirito”
Francesco, il Papa che è venuto “dalla fine del mondo”, ha fatto proprie le parole del suo predecessore Benedetto XVI. Principale obiettivo della sua politica domestica, infatti, è la cesura definitiva con il romanocentrismo, che assegna al cattolicesimo il ruolo di mero incensiere della civiltà occidentale. Un passo imprescindibile per chi vuol portare avanti un dialogo sistematico con il continente asiatico, ultima frontiera della missione cattolica e mercato di anime sempre più vasto.
Svincolarsi dall’Occidente significa, contestualmente, rapporti sempre meno fitti con le cancellerie euroatlantiche e (in)attese convergenze con partner come Mosca. La narrazione banalizzante e manichea, del resto, mal si sposa con le relazioni internazionali: papa Francesco e Putin, parlando di Ucraina, Medio oriente e pace internazionale, usciranno senz’altro dagli schemi stantii che riducono la storia a una contrapposizione tra buoni e cattivi. Con buona pace dei nostalgici di equilibri ormai andati.
Sul tavolo Ucraina e Medio oriente
Per la Santa Sede, aprirsi a Oriente significa innanzitutto confrontarsi con il mondo ortodosso. L’incontro all’aeroporto di Cuba del 2016 tra papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill ha dato inizio al riavvicinamento di quel che il Grande scisma del 1054 aveva diviso. Il ristabilimento della piena comunione tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa è parte integrante dell’agenda di papa Francesco, ma il conflitto ucraino e le faglie geo-religiose che separano Mosca e Kiev rischiano di rendere ancor più complicato il ricongiungimento tra i cristiani europei.
Bergoglio, già nel 2015, aveva invitato Putin a compiere uno sforzo per raggiungere la pace in Ucraina. Gli ultimi sviluppi, però, non facilitano i piani del pontefice: l’autocefalia concessa sul finire dello scorso anno dal patriarca di Costantinopoli alla Chiesa ortodossa ucraina, sganciandola da Mosca, ha creato un’ulteriore frattura all’interno dell’ex spazio sovietico. Come se non bastasse, poco più di un mese fa, lo stesso presidente russo ha annunciato che la popolazione russofona del Donbass ucraino avrebbe presto goduto della cittadinanza della Federazione. Un vero e proprio ginepraio.
Così come quello mediorientale, dove la Russia, ormai da tempo, ha messo le mani fino ai gomiti. Putin, sin dalle prime mosse in Siria, ha ritagliato per il proprio Paese il ruolo di protettore dei cristiani d’Oriente. Fatto che, anche in Vaticano, trova apprezzamento diffuso, visto che la stragrande maggioranza degli aiuti ai fedeli della Mezzaluna fertile proviene proprio da Mosca. La lettera che papa Francesco scrisse a Putin nel 2013 per il raggiungimento della pace in Siria, del resto, corrobora la tesi per la quale la Santa Sede vede nella Russia un attore imprescindibile per gli equilibri del Vicino e del Medio oriente. Una considerazione ben diversa rispetto a quella che l’ex presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, aveva per la Federazione russa, relegata a mero “attore regionale”.
Tra Santa Sede e Mosca spunta Trump
Ucraina e Medio oriente, dunque, i principali dossier sul tavolo di papa Francesco e Putin. Ma non i soli. I due principali – e più recenti – eventi della cronaca internazionale, del resto, non potranno sfuggire al dialogo bilaterale. E il destino vuole che in entrambi ci sia lo zampino dell’attuale inquilino della Casa Bianca, Donald Trump. Qualche giorno fa, il tycoon newyorchese ha mosso i primi, storici passi di un presidente statunitense sul suolo nordcoreano, alla presenza di Kim Jong-un. Dopodiché, a latere del G20 di Osaka, ha espresso in maniera chiara l’intenzione di procedere alla normalizzazione dei rapporti tra Washington e Mosca.
Due temi che Putin e – soprattutto – papa Francesco non potranno non considerare. Del resto, Bergoglio, durante il suo pontificato, si è speso in prima persona per l’unità della penisola coreana, visitando la Corea del Sud nel 2014 e ricevendo il presidente Moon Jae-in in Vaticano lo scorso ottobre. La pace tra Seul e Pyongyang è corollario di una diffusa pace internazionale, che papa Francesco e la diplomazia vaticana vanno cercando, temendo il radicamento di quella che il pontefice, proprio di ritorno dalla Corea del Sud, definì come “Terza guerra mondiale a pezzi”.
Per una pace internazionale, l’intesa tra Russia e Stati Uniti è requisito fondamentale. Le ultime mosse di Trump e una possibile convergenza tra le due potenze potrebbero portare papa Francesco ad un ripensamento – almeno parziale – sul presidente americano, non certo il leader preferito di Bergoglio. E se un cambio di rotta nei rapporti tra Santa Sede e Stati Uniti dovesse avvenire per mano della Russia, allora sì che lo schema stantio dei buoni e dei cattivi salterebbe. Con buona pace, di nuovo, dei nostalgici.
Foto di copertina © Evandro Inetti/ZUMA Wire